La bellezza della concretezza...ripartire dall'incudine



di Lidia Borzì (Presidente Acli Roma) 
Tra tutti i simboli del logo delle ACLI quello che da sempre mi richiama di più all’ impegno concreto è quell’incudine su cui poggia la “L” di “lavoratori”, cuore del nostro carisma; un impegno nel contempo fattivo e lungimirante.
Oggi questa incudine mi fa pensare al nostro presente e alle prospettive che abbiamo davanti: come l’incudine è lo strumento che il fabbro usa come base per forgiare gli oggetti, così il territorio rappresenta per noi la base per forgiare il nostro rinnovato impegno.
Scrivendo da Roma – che è un po’ lo specchio del Paese – mi vien facile pensare alle nostre recenti e turbolente vicende politico–istituzionali che hanno avuto come epilogo l’arrivo di un nuovo inquilino in Campidoglio, il Commissario Paolo Tronca; un fatto che ci richiama fortemente alla necessità di rimboccarci le maniche per evitare che il senso generale di smarrimento e confusione faccia prevalere un sentimento di antipolitica e di sfiducia profonda, che porterebbe a far precipitare la situazione ancora più in basso.
Tutto quello che è successo, oltre a dirci che dobbiamo imparare dagli errori della politica, deve insegnarci a vedere la realtà con l’occhiale della comunità, che è sinonimo di concretezza. Una comunità che deve essere capace di mettere al centro la persona nella propria trama di relazioni squarciando, così, il muro dell’indifferenza generato da una crescente deriva individualistica; ce l’ha ricordato anche il Prof. Mauro Magatti in occasione del 5° Convegno Ecclesiale di Firenze: “Etimologicamente ‘concretezza, significa ‘cum crescere’, ‘crescere insieme’. Dunque, essa ha a che fare con il rimettere insieme. […] è il contrario di ‘separazione’ e al contrario del particolare chiuso, è generativa. […]”.
Risiede proprio in questo, quindi, la bellezza della concretezza: “aprire l’orizzonte chiuso e disumanizzante in cui rischia di finire l’umanesimo esclusivo -ha proseguito Magatti- per tendere a un nuovo umanesimo della concretezza capace di quella postura relazionale, aperta, dinamica, affettiva, generativa, verso cui ci sospinge continuamente Papa Francesco, per rimanere attaccati alla realtà particolare senza perdere la prospettiva dell’universale”.
Un processo fondamentale per poter svolgere appieno il nostro compito di contribuire a promuovere la centralità e la dignità della persona, contrastando l’esclusione sociale e favorendo l’esigibilità dei diritti per far fronte alle crescenti e sempre più complesse emergenze sociali.
Zygmunt Bauman in “Danni Collaterali” parte da una metafora, che uso anch’io per condividere in questo spazio una manciata di chiavi di lettura e piste di impegno, alla vigilia del Giubileo della Misericordia: «Quando un impianto elettrico si sovraccarica, il primo elemento a saltare è il fusibile, l’elemento meno resistente del circuito, messo lì appositamente per salvare il resto della struttura: quando la corrente supera il livello di guardia, il fusibile interviene per salvare il resto dell’impianto. Quando il fusibile salta, l’intero impianto smette di funzionare». Applicando questa metafora alla società, il fusibile, la parte più debole della struttura, ma la più importante perché decisiva per il funzionamento dell’intero sistema, è quella di cui si occupano ogni giorno le ACLI, quella costantemente esposta a danni collaterali, quella destinata ad ampliarsi sempre di più a causa della crisi multi sfaccettata in cui siamo caduti negli ultimi anni.
Il fusibile è il papà che non arriva alla terza settimana del mese con lo stipendio, l’anziano che va avanti a pane e latte per campare aspettando la misera pensione, il familiare che si ritrova ad accudire un congiunto malato o disabile; è la mamma che non sa come conciliare famiglia e lavoro; il giovane che un lavoro non ce l’ha mai avuto, l’adulto che il lavoro lo ha perduto, l’immigrato in cerca di integrazione, il rifugiato in fuga dalla guerra.
Cosa ci rimarrebbe senza questi “fusibili”? Cosa succederebbe ad una società non in grado di salvaguardarli?
Ecco, questo è il cuore del compito di tutela delle ACLI, far sì che questi fusibili non saltino.
Perché il rischio c’è, ed è anche alto: dobbiamo tornare a mettere al centro il territorio, dove si toccano con mano i problemi e i bisogni, dove si tessono legami dal basso, dove si approntano risposte e dove si fa la politica delle piccole cose, che in una logica di insieme, diventano un grande orizzonte di senso, che coniuga Concretezza, Misericordia e Speranza.
Se non facessero più questo, anche le ACLI rischierebbero di allontanarsi dai veri bisogni della gente e non avere più il polso del Paese reale.
Proprio per questo bisogna ripartire dalla concretezza del nostro impegno per l’esigibilità dei diritti, dal Patronato allo Sportello Immigrati, dalla FAP alle ACLI Colf, per attuare politiche attive e promozionali per famiglie, giovani, anziani, immigrati. Abbiamo bisogno di ritornare alla concretezza dell’impegno per il contrasto delle povertà, al quale ci ha richiamato anche Papa Francesco quando ci ha ricevuti in udienza lo scorso maggio
Le ACLI di Roma fanno la propria parte con il progetto di recupero alimentare “Il Pane A Chi Serve”, con il servizio di Taxi sociale per gli anziani fragili o il progetto rivolto ai giovani e al lavoro, “Job to Go, il lavoro svolta!”: tre esempi delle tante iniziative messe ogni giorno in campo, grazie anche al sostegno di numerosi e preziosi volontari. Tutte iniziative significative, ma che, se mancano di una cornice d’insieme, rischiano di scadere nel mero attivismo.
Davanti ai nostri occhi abbiamo un’occasione da non mancare per ridare impulso al nostro impegno, il Giubileo della Misericordia, un tempo propizio per riflettere su nuove modalità di partecipazione, e per trovare nuove strade capaci di valorizzare e capitalizzare quella fantasia della carità che viene profusa quotidianamente nei territori, in mille ambiti di impegno, spesso lontani dai riflettori, ma con un unico denominatore, coinvolgere tutti i “fusibili” di cui sopra, rendendoli protagonisti di una nuova stagione di Speranza e di un circuito elettrico perfettamente funzionante che torni ad illuminare il Paese con lo splendore del Bene Comune.
Non possiamo mancare la grande opportunità di rendere ordinario lo straordinario dell’Anno Santo, innescando un circuito virtuoso in cui dalle opere si traggano stimoli per uno sviluppo di insieme, attraverso un grande cantiere della Speranza dal taglio culturale, educativo e sociale.
Un cantiere durante il quale seminare per raccogliere frutti anche oltre il Giubileo stesso. Un modo per rendere concreta la Misericordia, che, si badi bene, non significa buonismo e non è neanche una prerogativa confessionale dei cristiani. “Misericordia”, infatti, ha un’etimologia bellissima, e ci richiama al termine ebraico “rahamim” che indica le viscere materne che accolgono la vita che nasce.
Le viscere e la Misericordia, allora, indicano lo spazio fatto dentro di sé alla vita dell’altro, per farcene carico, in comunione con lui. Misericordia è tessere legami per una comunità che non lasci indietro nessuno: è questo il nostro Grande Compito per il presente e il futuro.

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