Cosa significa essere un circolo Acli nella contemporaneità liquida


di Raffaella Dispensa
Sono parte attiva delle Acli perchè credo ancora che ci sia bisogno di soggetti associativi capaci di agire nel territorio come agenti di sviluppo, come organizzazioni capaci di creare occasioni e stimoli per coinvolgere quelle persone meno dotate di risorse economiche e culturali e più lontane dalla politica. 
Molte delle persone che accogliamo e con cui condividiamo un pezzo di strada, per quanto breve e temporaneo, appartengono alla fascia costituita da quelli che hanno meno risorse degli altri, meno capacità, che provengono delle periferie geografiche, culturali, economiche di questa nostra società. Ne incontriamo di persone ogni giorno che non sanno dove sbarcare il lunario, che hanno scarsa conoscenza dei propri diritti, che sono in cerca di futuro. persone che vivono con sofferenza e sulla propria pelle le diseguaglianze che caratterizzano questa nostra società; persone che a volte vivono lo stigma della propria condizione. Penso a situazioni che sono quotidianamente sotto i nostri occhi e che cerchiamo di coinvolgere con i nostri progetti: chi si è trovato a vivere una difficoltà di tipo psichiatrico perchè la vita è stata dura per lui; quella degli anziani non autosufficienti che ne infatti sembrano oggi ancora non avere diritto ad un invecchiamento dignitoso e a morire nella propria casa; quella della donna che non riesce a rientrare nel mondo del lavoro dopo la maternità, quasi che la scelta di avere un figlio abbia segnato la sua nuova condizione di marginalità. Si tratta di persone vulnerabili, “in silenzioso esodo dalla cittadinanza” che nutrono spesso forme di risentimento nei confronti delle istituzioni, a volte anche nei riguardi di quelle organizzazioni da cui vorrebbero essere riconosciute e difese. Le Acli non sono esenti da questo rischio e sono dunque chiamate ad esercitare la propria funzione sociale rassicurando senza illudere, coinvolgendo e indicando percorsi senza atteggiamenti retorici e paternalistici, cogliendo fino in fondo la sfida della costruzione di esperienze nuove di welfare locale.
Ci siamo detti tante volte che i servizi di welfare non sono più adeguati per leggere e gestire i problemi espressi dalle persone, che occorre un welfare promozionale e non riparatorio, un welfare che non sia elitario o di nicchia, un welfare riprospettato insieme a molti – cittadini, associazioni…. -per ricostruire un senso comune e non solo servizi dall’alto. E’ un responsabilità politica e in questo senso ci interpella, ci chiama a rispondere ad una sfida del creare nuovi servizi, nuove esperienze, attraverso processi partecipativi che sappiano inventare politiche nuove in contesti frammentati ma comunque costruiti insieme ai cittadini, insieme ai nostri associati, attraverso un fare partecipato, interattivo, orientato all’ascolto attivo, co-costruito.
Con i nostri servizi e con i nostri circoli questo nuovo welfare costruito dal basso lo stiamo già cercando di realizzare, ma occorre cogliere la sfida fino in fondo, essere aperti al cambiamento, disponibili superare i confini che ci dividono anche internamente al nostro sistema. Occorre essere più disponibili alle contaminazioni e più creativi nel costruire il welfare di oggi. Il nostro sistema associativo è oggi suddiviso in tanti segmenti, in tante organizzazioni che hanno senso solo se ci aiutano con la propria specificità nel nostro compito comune che è la promozione sociale. Altrimenti vanno semplificate, accorpate, fatte convergere, ripensate come organizzazioni più stabili, più ampie, più versatili, più orientate all’innovazione e più snelle e gestibili anche da un punto di vista economico e amministrativo. Le nostre organizzazioni non possono essere governate come luoghi in cui esprimere rendite di posizione, luoghi istituzionali che hanno perso vivacità. In questo la nostra associazione ha enormi potenzialità proprio perché può agire contemporaneamente come associazione ma con la struttura, le competenze e le capacità di risposta che possono essere offerte da    i servizi. Non una delle due aree (quella associativa e quella dei servizi) a servizio dell’altra. Ma due cervelli che insieme si mettono a girare e che agiscono insieme, in un medesimo processo di trasformazione, verso obiettivi individuati come comuni e prioritari, in una governance rinnovata, più efficace più snella, più generativa e meno ingessata. Se le due aree trovano il modo per lavorare in piena collaborazione, le Acli faranno nascere molte esperienze capaci da un lato di attivare un percorso concreto di risposta in termini di welfare locale e dall’altro lato costruire legami di senso capaci anche di riorientare l’immaginario delle persone. Per ogni persona che incontriamo nella nostra associazione dobbiamo avere il tempo e la cura per costruire un’idea, restituendola possibilmente indietro a quella stessa persona come proposta di azione volontaria nel nostro sistema, per passare da un ruolo passivo di utente a un ruolo attivo.
Le organizzazioni del nostro sistema e le nostre strutture di base devono aspirare a mettere a disposizione le proprie risorse per nuovi progetti di promozione sociale e di partecipazione: le nostre strutture, le nostre sedi dei servizi, le nostre competenze, i nostri libri raccolti nelle librerie, le cose che sappiamo e quello che sappiamo fare, le reti che alimentiamo o di cui godiamo da anni, gli spazi a volte sotto utilizzati o invecchiati. Fare circolare tutto questo, riconoscerlo come una risorsa e sentire l’urgenza di metterlo in valore e di metterlo a disposizione di gruppi/persone/associazioni nuove.
E’ fondamentale coinvolgere nuove persone, nuovi gruppi e costituire nuovi circoli, associazioni che intendano la promozione sociale come la intendiamo noi oggi, nella contemporaneità. L’esperienza di circolo può ancora essere vitale, ma dobbiamo saper allestire occasioni di convivialità e di reciprocità, in cui siano le persone a mettere in campo aspirazioni e intenzionalità, in cui attraverso un fare collettivo possano anche crescere come persone, come individui e quindi riconoscere quelle esperienze come interessanti, come proprie, come affascinanti per sé e per il proprio progetto di vita.
Senza alcuna pretesa di costruire modelli di intervento o modelli di circolo – vorrebbe dire non riconoscere le specificità delle diverse situazioni e dei diversi territori – possiamo forse riuscire ad esprimere meglio e in modo più convincente cosa può significare oggi nella contemporaneità liquida essere un circolo Acli! Mettendo a frutto anche nei territori quelle sinergie tra offerta dei nostri servizi e passione e azione per le urgenze sociali e politiche che ci interpellano nei diversi territori. Circoli vivaci e multifunzionali, che uniscano le tante anime del nostro sistema associativo e che le esprimano insieme contemporaneamente, con molte e diverse sfumature. Esperienze che sappiano comunicare quella capacità di leggere le esigenze e di dare risposte immediate, anticipando le risposte delle istituzioni, che è una caratteristica strutturale e originaria del mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale.
Delirio di onnipotenza? O forse richiesta esplicita di chi, battendo alle porta dei nostri sevizi, quando sente che quella sua richiesta proprio non la possiamo accogliere, perché non ce ne occupiamo, perché non ci siamo ancora attrezzati, ecc., ci risponde candidamente “Ma voi non siete le Acli?”. Non facciamoci tentare dal delirio di onnipotenza, ma non smettiamo di accogliere le fragilità, di scandalizzarci delle ingiustizie e di trovare soluzioni adeguate per chi ce le chiede perché vede in noi un potenziale strumento di emancipazione. Credibilità, affidabilità, affidamento, un patrimonio da alimentare e da non depauperare, perché richiede molto tempo per essere costituito ma in breve si può disperdere….
Credo possiamo essere esigenti con queste nostre Acli… Non abbiamo paura di cambiare!


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