Il punto di rottura


di Eleonora Manni
Il mio contributo voleva essere analitico e propositivo; poi mentre traducevo in parole scritte i miei pensieri, domande su domande mi si ponevano. E non a tutte ho saputo dare una risposta. Quindi provo a condividerle con voi.
Quando penso alle ACLI verso il cambiamento, mi viene in mente l’immagine dell’Esodo degli Ebrei dall’Egitto: una grande massa di persone in movimento.Aldilà dell’immagine biblica evocativa, credo che innanzitutto dovremmo considerare la nostra associazione proprio per quello di cui è costituita: un (grande) gruppo di persone che tendono verso un obiettivo (il bene) comune. Spesso ce ne dimentichiamo e questo ci allontana dal centro della questione, soprattutto oggi, in questa nostra fase storica, in cui siamo ad un punto di rottura. E non parlo di conflitto o divisione; uso il termine rottura in un’accezione positiva, poichè tutto intorno ci dice che la nostra associazione non può rimanere statica com’è.
Anzi, recepiamo molteplici sollecitazioni dall’esterno (ma anche dall’interno!) di movimento ed evoluzione: si, ma dove? E come? Cosa portare con noi? Cosa lasciare?
Innanzitutto non dobbiamo dimenticare le nostre radici, la nostra storia e il nostro modo di “sentire le cose”. Questi sono fattori che ci rendono una realtà unica e che nel tempo ci hanno garantito di essere collante nella nostra mutevole società. Ma non bastano.
In questi anni, ci siamo dimenticati che siamo un sistema organizzato, ed un sistema come il nostro deve essere caratterizzato da un forte legame, da una collaborazione, da una mission condivisa, il tutto prevedendo anche buone prassi. Invece, molto spesso, il pensiero era comune e trasversale in tutti i settori, ma le azioni che ne conseguivano erano disomogenee, con la conseguenza di dispendio di energie e perdita (in alcuni casi) di persone (soci e non solo), che non si riconoscevano più nella nostra associazione.
Non solo: a questa perdita dobbiamo aggiungere che non siamo stati in grado di attrarre nuove persone che volessero far parte delle ACLI; quando uso l’aggettivo “nuovo” non penso solo a giovani leve e al ricambio generazionale che ci manca totalmente, ma penso anche alla novità di pensiero, all'”altro” con cui confrontarci.
Ecco, il confronto: un altro fattore che stiamo lasciando venir meno. Facciamo in modo che tutti i momenti democratici che segnano la nostra vita associativa siano pieni di confronto e non passaggi dovuti e statici. Anche questo fa parte del cambiamento.
Quest’ultima considerazione mi fa sorgere un nuovo interrogativo: quand’è che siamo diventati stanchi, impolverati e fermi? Perchè non siamo stati in grado di sviluppare nuovi percorsi e nuovi linguaggi per restare tra la gente? Quando è iniziata la fase dell’autoreferenzialismo?
Noi che nel tempo siamo stati interpreti dei bisogni della comunità e le abbiamo dato voce, ora non sappiamo più farci riconoscere e scegliere dalle persone, che vengono alle ACLI per i nostri servizi ed ignorano o scelgono di ignorare tutte le opportunità che si celano dietro il nostro acronimo.
Non sto puntando il dito contro il Patronato e il CAF, anzi. Se siamo ancora qui a dire la nostra è proprio perchè i servizi ci hanno dato modo di rilevare i bisogni, interpretare gli animi e concordare strategie per il futuro. Inoltre, ritengo che gli operatori che vi lavorano svolgano una vera e propria “mansione di cura” nei confronti della nostra utenza, che molto spesso non è facile.
Ecco che qui nasce un altro fattore che non dobbiamo sottovalutare in termini di cambiamento: non esiste l’associazione senza servizi e non esistono servizi senza l’associazione. Come far coesistere questa dicotomia e metterla in rete con tutte le realtà che ci compongono?
È complesso, ma chi ha costituito le ACLI nel 1944 aveva già previsto che tutte le nostre diverse componenti si sviluppassero e formassero una rete, basta leggere l’articolo 3 del nostro Statuto.
La totale assenza di rete tra Associazione, Servizi Sociali e Associazioni specifiche ci rende immobili nei processi di governance e minano la nostra sopravvivenza come sistema articolato. Rete tra di noi, ma anche rete con gli attori sociali(competitors e non) per non rimanere isolati e per metterci in discussione, altro fattore che spesso ci manca.
Inoltre, cambiare potrebbe anche voler dire rinuciare a soggetti sociali creati al nostro interno per rispondere a delle esigenze storiche che ora non persistono più e che attualmente, invece, costituiscono sovrastrutture pesanti e prive di senso. Il cambiamento passa anche dal dare un taglio netto ai rami secchi, affinchè possano nascere nuovi germogli.
Infine, non smettiamo mai di porci delle domande, come sto facendo io oggi, perchè se diamo tutto per scontato e pensiamo di navigare sempre in acque tranquille, c’è qualcosa che non va. Dobbiamo essere innanzitutto i pungolatori della nostra associazione e delle nostre realtà e insieme trovare le risposte.

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