Il gioco collettivo riesce a far emergere i pregi di ognuno

Chiedo scusa dal principio, perché più che un discorso sensato, il mio sembrerà un flusso di coscienza, che viene dalla pancia…la pancia di una persona che vive le acli da dipendente e non da aclista.
Da ex-giocatrice di pallavolo incallita, credo che la metafora degli sport di squadra possa offrire degli spunti (sicuramente banali, ma probabilmente che proprio per questo a volte restano solo sottointesi) di riflessione sulla metodologia del cambiamento a cui le ACLI aspirano.
Julio Velasco, ben lungi da ragionamenti moralistici, dalla sua posizione di dirigente di una squadra di calcio, sosteneva che il “gioco di squadra” diventa fondamentale in una società cosi competitiva, globalizzata e individualista; ma sottolineava anche che il mero “tutti per la causa” non è sufficiente. Tattica, condivisione degli obiettivi e dei risultati attesi, rispetto, fermezza e consapevolezza dei limiti e dei pregi, sono gli elementi fondamentali per un gioco di squadra vincente.
E’ chiaro che in questo momento storico di mutazioni sociali e di evoluzione delle priorità collettive ed individuali, le ACLI hanno bisogno di ritrovare la propria dimensione nella e per la collettività.
Ma quali sono le sue tattiche, i suoi obiettivi? I pregi, i difetti? Si riesce a mettere insieme i pezzi e definire una strategia condivisa, anzi, condivisibile?
Prendendo spunto dal lessico della progettazione, quali sono i suo obiettivi specifici, i risultati attesi e gli indicatori oggettivamente verificabili e misurabili, la sua strategia? Perché forse di un progetto si tratta e come tale ha bisogno anche di partner per la realizzazione, sia interni che di altri “portatori di interesse” che non necessariamente gravitano nell’universo ACLI.
Ma a parte tutto, senza una guida chiara ed un gioco ben delineato, conosciuto e condiviso da tutti, e non solo dall’allenatore, non si va lontani. Il gioco di squadra non è “il capo pensa e i giocatori eseguono”; un buon allenatore “costruisce un gioco in collaborazione con i giocatori”, fino a quando i giocatori arrivano al punto di sapersi muovere per conto loro perché conoscono la tattica.
In diversi post si è fatto richiamo alla pluralità delle ACLI che spesso si fa fatica a “governare”, o meglio, sulla quale a volte non si riesce a far sintesi, o che comunque apre la strada a doppioni, scarsa efficacia degli interventi, autoreferenzialità, ecc., ecc. Di nuovo: quale sarà la tattica dell’”allenatore” delle ACLI? I “giocatori”, i pezzi delle ACLI fino a che punto sentono di poter o voler collaborare alla costruzione della tattica?
Certo, il lavoro di costruzione e condivisione è difficilissimo, soprattutto nell’universo mondo delle ACLI, ma sempre prendendo in prestito le parole di Velasco, “le difficoltà non devono essere viste non come un qualcosa che ti impedisce di fare, ma come la possibilità di allenarsi a superarle”. Il tutto spinti da valide motivazioni, che definirei in primis basilari, cioè i valori delle ACLI, poi economiche (non nascondiamocelo) ed infine “la sfida”.
E’ indubbio che chi fa le ACLI è mosso da una condivisione dei valori e della mission, e che ci siano persone a cui piace fare quello che fanno. Ma siamo sicuri che questo basti?
Ad esempio, il “lavoro” immagino sia (fino a prova contraria), ancora uno dei punti fermi dell’Associazione, ma siamo sicuri che sia ancora profondamente rispettato? Siamo sicuri che tra le priorità dell’allenatore ci sia ancora il miglioramento delle condizioni lavorative e dell’ambiente di lavoro? Che il lavoratore non sia una mera risorsa che ha un costo o che il lavoratore consideri il proprio posto di lavoro solo come una fonte di reddito? Dove sta qui il valore aggiunto di quello che si fa rispetto ad una semplice azienda?
Non demonizzo assolutamente la strada aziendalista che l’Associazione può voler intraprendere, anzi, che a tratti ha già intrapreso; mi interrogo solo sul contesto valoriale in cui ci si vuole muovere.
Ultima tra le motivazioni c’è “la sfida”, motivazione che personalmente sento molto: credo che per “rinascere” ci sia un gran bisogno di sentirsi parte di qualcosa che vada al di là della routine, di competere per una impresa straordinaria”.
Quale sarà l’impresa straordinaria delle ACLI?

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