Dark: ingabbiati nel nostro delirio di onnipotenza

 

La sfida è parlare di una serie tv di 4 annualità senza fare nessuno spoiler. 


Ma, prometto, starò dentro questo confine. 

Ho visto Dark ad inizio estate, in un bidgewatching immersivo che è probabilmente l’unico modo possibile di vederlo (le puntate non sono rilasciate una alla volta, ma contemporaneamente).  La complessità è talmente elevata che solo una full immersion permette di seguire il filo senza perdersi. Non è un elemento accessorio, la complessità, nel film, è un personaggio. Quella complessità che è  dimensione essenziale del presente e (si presume) lo sarà ancora di più nel futuro. 

E’ un prodotto tedesco, non statunitense e questo emerge da ogni aspetto. Dai panorami, dai nomi dei personaggi, dal modo di vestirsi, dai riferimenti musicali ma, ancora di più, dai riferimenti filosofici. Tutto è profondamente tedesco. Ma al tempo stesso, tutto è estremamente familiare, quanto meno ad un occhio europeo di persona nata negli anni 70 (mi sono chiesta quale diversità di effetto nei nati nel 2000). E' stimolante nel suo esemplificare la possibilità di realizzare qualcosa di localmente connotato ma destinato a superare i confini territoriali.  

Si potrebbe dire che in Dark è come se non esistesse più la suddivisione tra passato, presente e futuro. Esiste il presente, il momento attuale. Il resto è un’ostinata illusione, recita una citazione del film attribuita ad Einstein. D’altra parte è come se il futuro, perennemente incombente, non riuscisse mai ad arrivare realmente, perché tutto è perennemente bloccato dalle conseguenze del passato. Il tempo ciclico, la filosofia greca, Nietzsche, Shopenouer... c’è tutto questo, ma c’è anche l'assonanza con il mondo che viviamo. 

C’è l’oppressione del non riuscire a comprendere. La logica temporale lineare, il nostro modo di pensare, è messo in crisi da ciò che appare  non logico e non comprensibile. I personaggi non condividono le informazioni, non si fidano reciprocamente e brancolano disorientati tra gli eventi finendo per essere, anche quando non lo vogliono, gli uni i carnefici degli altri. Anzi, ognuno finisce anche per essere il nemico di se stesso.

Come se ne esce, da tutto questo? Esiste un'alternativa al disorientarsi? Il ruolo dell’essere umano sembra essere quello di ingaggiarsi strenuamente in una lotta titanica tra il bene e il male. Di compiere i più grandi sacrifici, per il bene della causa. Eppure, più si ingaggia, con intenti generosi, nella lotta, più ne resta schiacciato. Più tenta di governare il tutto, più ne esce sconfitto e complice del male. 

Nonostante in Dark non ci sia una vera e propria morale didascalicamente espressa, a me non pare che contenga un invito alla passività e all’accettazione. A me pare che esprima invece una profonda critica ad alcuni assunti fondamentali del nostro vivere. In un tempo di pandemia (arrivata a episodi già girati) e di crisi ambientale (già molto presente nel tempo della scrittura) c'è da comprendere che non siamo onnipotenti, che non possiamo governare tutto e tutti. Dobbiamo accettare che "tutto" è una dimensione per noi inafferrabile. La nostra comprensione è talmente limitata che quando qualcuno ci offre una spiegazione a tutto, il momento esatto in cui noi crediamo di liberarci dalle nebbie e di comprendere, è in realtà il momento esatto in cui siamo manipolati. 

E' l'epoca dei complotti, quindi? Si, ma non c'è una realtà superiore a manipolarci, siamo noi stessi a farlo, reciprocamente, nel momento in cui proviamo a diventare i salvatori del mondo. Non solo non riusciamo ad essere gli eroi che vorremmo, ma non abbiamo successo nemmeno nell'evitare di nuocere a noi stessi. 

I riferimenti religiosi del film sono confusi e pasticciati. Ma... 

L’uomo non è Dio. Ed ogni volta che cercherà di esserlo, anche se parte con le migliori intenzioni, finirà per fare la fine di Lucifero. Da angelo che porta la luce a distruttore. 

L’essere umano non è nemmeno l’unità di misura unica del mondo. E se non proverà a guardare al tutto in modo meno autocentrato finirà per causare la sua stessa rovina. 

Poi c’è una ottima scrittura, una cura della fotografia incredibile ed una colonna sonora notevole. E ad un certo punto, con l’andare delle serie, pur perdendo un po’ in spontaneità, seguire diventa quasi un gioco estetico di simboli e simmetrie (che poi, simmetrico rispetto a che? L’opposto di qualcosa può essere molte cose). 

Anche a chi non volesse vedere la serie, consiglio di vedere la sigla. Che è notevole già di per sé. 

Scuola: il luogo in cui si socializza l'apprendimento

La scuola non è un posto dove si socializza, né un posto dove si impara, ma l’unico posto nel quale si socializza l’apprendimento.

Questo sta mancando a tutti coloro che vivono la scuola nella sua essenza: non il fatto che l’insegnante comunichi un contenuto a Paolo (il che tra l’altro accade anche a distanza) ma che Paolo, Aisha e Babacar condividano i contenuti e ne facciano dei pre-testi per stare insieme. 

Quello che accade è che la III D impari, insieme, fianco a fianco; e che il mio compagno è contemporaneamente un aiuto per l’apprendimento e il fine del medesimo: non imparo per l’insegnante ma per i miei compagni di classe. 

Se poi questo significa passare il pomeriggio insieme a sorridere perché Dante ha scritto «Ed egli avea del cul fatto trombetta», va benissimo così, perché Dante ha scritto quel verso sapendo perfettamente che si riferiva a un tabù, a qualcosa di sconcio che ha avuto il coraggio di immettere in un poema cristiano.

E poi ancora...

Quando si parlava di emozioni a scuola spesso si commetteva la leggerezza di chiedere ai ragazzi di raccontare le loro emozioni: con il risultato di avere scialbe narrazioni che giustamente mantenevano nel segreto le vere dimensioni emotive dei giovani. Se vogliamo parlare di paura ai giovani non chiediamo loro di raccontare «quella volta in cui hai avuto paura» (ma perché dovrebbero raccontarla proprio a noi? E proprio a scuola?) ma facciamo studiare la composizione pittorica dell’Urlo di Munch; la cultura elabora la paura e ci permette di occuparci delle nostre emozioni senza esporci eccessivamente, e mantenendo quel sano schermo che è il senso del pudore.


Raffaele Mantegazza - La scuola dopo il coronavirus. 25 pagine. Da leggere. 

Distanziamenti






"Il nostro obiettivo è quello di contrastare il distanziamento sociale, mantenendo il distanziamento fisico"

(cit.)



Ecco. Così mi piace. 
Fare confusione tra obiettivo da contrastare e obiettivo da raggiungere non è confusione da poco. 
Le parole hanno un senso. Se non le svuotiamo è meglio.

Chiamatelo Luigi


"Ti ameremo per sempre.
Chiamatelo Luigi".


Mi colpisce la dichiarazione.
L'aver dato un nome. 
E soprattutto quel plurale. 


Forse é quello il punto di forza su cui poggiano le prime due. E la capacità di dare all'abbandono la forma di opportunità e non di condanna. 


Resta comunque un terreno dolorosamente insondabile.

Innovazione forzata



Del consiglio nazionale Acli di oggi si potrebbero dire varie cose. A me piace registrare che quel consiglio nazionale che nell'idea sembrava semi impossibile, siamo riusciti a farlo diventare realtà. 
A luglio, durante la settimana, metà in presenza, metà online, distanziati, in spazio enorme, con mascherine, amuchine, cartelli, segnali... Ma l'abbiamo fatto e la tecnologia ha funzionato. 
Il che vuol dire che, quando ci troviamo obbligati, siamo più capaci di sperimentare l'innovazione di quanto noi stessi crediamo. 



Tutti geni...


Continuano ad arrivarmi notizie di scuole "con classi di tutti geni" per i voti alti. 

Ora, io non vorrei deludere nessuno, ma mi pare chiaro che (come ovvio ed in parte pure giusto) i voti di quest'anno rispondano a logiche del tutto diverse. 

C'è il 10 perché "nonostante il caos, si sono impegnati"
C'è il 10 perché "non potendo valutare l'apprendimento, valuto se mi sono arrivati i compiti e se hanno partecipato".
C'è il 10 perché "se metto voti bassi poi magari mi fanno le pulci su come ho insegnato online".
C'è il 10 perché "a casa mi hanno obbligato a studiare il doppio del solito". 
C'è il 10 perché il consiglio di classe ha insistito. 
C'è il 10 perché "se chi non ho più visto lo porto a 6, chi insufficiente a 7, chi è 6 diventa 8 e così via... basta un 8 per fare un 10"...
E c'è il 10 perché rompendo gli schemi alcune cose sono (per errore?) risultate più adatte a chi il metodo classico lo reggeva poco...

Non é un problema. Se lo sappiamo. E se, quando l'anno prossimo a settembre, guardando un po' più nel dettaglio, emergeranno lacune e dubbi e confusioni, non andremo in crisi e non lo troveremo strano. 

L'importante è capire il senso delle cose, non rinfacciarci presunti imbrogli reciproci (come? Ti Ho dato 9 e tu adesso...Come? Gli ha messo 9 e adesso...) 


E rimboccarsi le maniche per il nuovo inizio.

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...