Culture visionarie - Un territorio può diventare comunità?


Un territorio può diventare comunità? 

Il territorio può diventare comunità, anzi deve diventare comunità e luogo della cura.

Purché facciamo operazione di scomposizione e ricomposizione della parola, cui corrispondono percorso di azione verso la comunità. 

Noi abitualmente usiamo in maniera indifferenziata il termine territorio e il termine terra. Se impariamo ad usarli tutti e due impariamo a capire il senso del fare comunità. Perchè la terra rimanda alla crisi ecologica e ambientale. La terra è il suolo, è quel bene comune che calpestiamo. Quindi, ovviamente sul territorio inteso come terra si sta dispiegando la grande questione della crisi ambientale. La crisi dell'antropocene, del rapporto squilibrato tra uomo e natura. 

Il territorio è una costruzione sociale. Non è un dato in sè. Il territorio rimanda alle lunghe derive della storia, del fare società, delle economie ed il territorio è il luogo della crisi sociale. 

Perchè si arriva a costruire comunità? Perchè dal punto di vista della crisi ambientale e sociale il territorio è quel luogo, sia come terra che come costruzione sociale, ove precipitano i flussi. La finanza è un flusso, le transnazionali sono un flusso, le internet company sono un flusso, l'altavelocità è un flusso... Nel rapporto tra flussi e luoghi riappare il territorio come luogo da percorrere, sia ambientalmente che socialmente. Quindi non si dà volontariato, terzo settore, azione sociale se non partendo e ricostruendo il tessuto territoriale. 

La pandemia ha dato un rapporto nuovo tra vuoto e pieno. 

A fronte dei flussi che impattano nei luoghi, stare sul territorio non è buono in sè. Molti a fronte dei flussi che hanno prodotto quello che Ernesto De Martino chiamava apocalisse culturale (non riconoscerci più in ciò che era abituale). le comunità come le conoscevamo noi, sono state tutte impattate dai flussi. Molti si sono rinserrati. Noi usiamo la parola comunità come "la roba buona". Ma attenzione, c'è il rinserramento, la paura dell'altro da sè. Non c'è solo la comunità del rancore, sul territorio, ma c'è anche quella. 

La comunità di cura non è solo volontariato, associazionismo, terzo settore. La comunità di cura oggi va letta come comunità di cura larga. La comunità di cura andando sul territorio significa che il sindacato è un pezzo della comunità di cura, non è solo rappresentanza del lavoro o dei lavori. Le forze sociali, se in questo periodo sul territorio abbiamo visto aumentare i suicidi economici del disagio, non riguarda solo la Caritas ma anche le forze sociali. Fare confcommercio, fare confartigianato è prendersi cura di ciò che avviene sul territorio. Fare l'insegnante significa essere un pezzo della comunità di cura. 


Con Aldo Bonomi (Consorzio Aster) e Riccardo Bonacina (Vita). 



Culture visionarie


CULTURE VISIONARIE Coordinano Francesco d’Angella e Franco Floris PERCHE' QUESTA TRE GIORNI “Là dove c’è il pericolo, cresce anche ciò che salva”: l’anno di Padova Capitale del Volontariato Emanuele Alecci e Niccolò Gennaro (CSV Padova e Rovigo) UNA PRIMA DOMANDA CI STA A CUORE Quando un’azione nel sociale genera cultura nel territorio? Roberto Camarlinghi IN ASCOLTO DELLE ESPERIENZE 1. Postmodernissimo: rifare insieme un cinema per tornare a sognare come comunità, Giacomo Caldarelli, Perugia 2. Officine Gomitoli: la visione emergente della lotta alla povertà, Andrea Morniroli, Napoli 3. Super Il Festival delle Periferie: il progetto di città che nasce in periferia, Chiara Lainati, Milano PRIMA MAPPA DEL METODO A cura di Andrea Marchesi, Daniela Poggiali, Gino Mazzoli

Risorse trasformative:


 
Quando le risorse, oltre l'utilizzo, possono trasformare le storie di un territorio e possono attivare capacità trasformata dei contesti di vita. 

Onestà intellettuale, cura dell'interiorità, compimento senza esitazione del dovere, accettazione senza riserve di ciò che la vita può presentare...





Padre Rotelli alla Presidenza delle Acli Nazionali: 


Non spaventatevi. Questo è quello che dirò (mostra un foglio), questo è quello che ha detto il vostro presidente (mostra un plico). Di tutto questo io riprendo una riga da cui parto per l’intervento che voglio proporvi. La riga che riprendo, è quella dove si dice, “Parlando per la prima volta…  le Acli meritano di ripartire e di servire il nostro paese. Ecco, io prendo questo. Parto da questa frase. 

 

Poter, umilmente e insieme con il giusto orgoglio di chi sa di dire la verità, dire che si merita di servire è una affermazione di grande nobiltà, quindi di grande impegno. 

 

Perché il servo è Gesù. Per entrare nel mistero di tutta la vicenda della sofferenza e della morte di Gesù, la comunità cristiana primitiva non ha trovato niente di meglio dei “Canti del Servo di Jahvè. Gli evangelisti ricalcano, come sapete, il IV di questi canti e cioè Isaia 53 per raccontare la passione di Gesù. 

 

Ricordiamo tutti anche le parole di Gesù ai discepoli, quando due di loro si erano messi a chiedere poltrone (una alla sua destra una alla sua sinistra). Gesù, “Chiamandoli tutti esplicitamente a sé” dice il Vangelo. “Chiamati a sé” è un modo che sottolinea l’importanza dell’insegnamento che stava per impartire. E l’insegnamento è: “Voi sapete che coloro che sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimano. Tra voi però non è così, chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuol essere il primo tra voi, sarà schiavo i tutti. Anche il Figlio dell’Uomo infatti  non è venuto per farsi servire, ma per servire e per dare la propria vita nel riscatto per molti” (Mc 10, 41-45). 

 

Anche alle Acli può capitare che coloro che sono considerati i governanti dominino su di esse e le opprimano. Gesù dice: “Tra voi non sia così”. “Sarà schiavo di tutti”. “Venuto per servire e dare la propria vita”. Che è come dire: per servire, cioè per dare la propria vita. Al di là di come possa suonare questo alle nostre orecchie, se Gesù è il servo, servire, come lui, è un onore. Di più, servire come lui è la strada verso la pienezza umana, che ciascuno di noi non può non desiderare, anzi che deve perseguire. Dietro di lui, in quanto lui è la Verità dell’uomo. 

 

Ripropongo un brano che diversi di voi conoscono già, forse tutti. Lo ripropongo perché il piccolo principe diceva le cose per non dimenticare. E’ bene, forse, che ripetiamo le cose, per non dimenticare. 

 

Da generazioni di soldati e di uomini di governo della mia ascendenza paterna ho ereditato la persuasione che nessuna vita dava maggiore soddisfazione di una vita di servizio disinteressato al proprio paese e all’umanità. Questo servizio richiedeva il sacrificio di ogni interesse privato, ma nel contempo il coraggio di battersi fermamente per le proprie convinzioni.

 

Il sacrificio di ogni interesse privato si accompagna alla maggiore soddisfazione. L’abbiamo sperimentato? 

 

Dagli studiosi e dai pastori luterani della mia ascendenza materna ho eredita la convinezione, che, nel vero senso dell’evangelo, tutti gli uomini sono uguali, in quanto figli di Dio 

Qui la Fratelli tutti è anticipata di 50 anni. 

 

Tutti devono essere accostati e trattati da noi come i nostri Signori in Dio

Se vogliamo essere servi, questa è la conseguenza. 

 

La spiegazione di come l’uomo debba vivere una vita di servizio attivo versa la società, in completa armonia con se stesso, l’ho trovata negli scritti di quei grandi mistici medievali (di cui consiglio la lettura) per i quali la sottomissione è stata la via della realizzazione di sé e che hanno trovato nell’onestà intellettuale la forza di dire di si ad ogni richiesta che i bisogni del loro prossimo mettevano davanti. Dire si a qualsiasi destino la vita avesse in serbo per loro… quando hanno risposto alla domanda del dovere così come l’avevano intesa, L’amore – questa parola così abusata e fraintesa - significava per loro semplicemente un sovrappiù di forza di cui si sentivano interiormente colmati quando cominciavano a vivere nell’oblio di sé. E questo amore trovava naturale espressione in un compimento senza esitazione del dovere e in una accettazione senza riserve della vita, qualunque cosa essa recasse loro personalmente in fatica, sofferenza o felicità. 

 

So che le loro scoperte sulle leggi della vita interiore e dell’azione non hanno perso significato. 

(D. Hammarskjoeld, Tracce di Cammino, Qiqajon, 247-2

 

Ecco cioè:

  • onestà intellettuale
  •  cura dell’interiorità, 
  • compimento senza esitazione del dovere,
  • accettazione senza riserve di ciò che la vita può presentare. 

Ecco, questo io oggi auguro a voi, servitori delle Acli all’inizio del vostro cammino, insieme a quel sovrappiù di forza che è l’amore. Niente di eroico, perché rispondiamo di si, oggi, festa dell’annunciazione, alla chiamata ad una vita così, per trovare maggiore soddisfazione.

 

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