Uno e molteplice: rimanere fedeli nel cambiamento!


di Massimo Asero  (Acli Catania)
Coraggio di cambiare, dialogo e identità aclista 
Nel provare a costruire attraverso il dialogo una “intelligenza collettiva” delle sfide sociali da raccogliere (Paola Villa invita a non guardarci … più… l’ombelico perché i tempi della vita sono dettati dalla realtà e non dai ritmi dei nostri infiniti congressi) questo nostro blog ci convoca uno ad uno e tutti insieme, interroga l’identità e l’avvenire della nostra associazione e con esso di ciascuno di noi. Eccomi…
Consapevolezza e vocazione.
Il dialogo che si intende promuovere, e alla cui costruzione ognuno di noi prova a contribuire, è segno di amore e ri-conoscimento identitario nella e della comunità. Esso è un segno forte – dobbiamo riconoscercelo! – della volontà di rinnovare la nostra azione e capacità di andare oltre ogni realistico timore del presente, del futuro, del cambiamento, della nostra condizione di associazione chiamata anch’essa a solcare le acque agitate di una crisi che segna il mondo transformandolo e immiserendolo, attraverso il “silenzioso” diffondersi, nel nostro “genoma di individui e di comunità”, del demone della paura – capace di rendere sempre più liquida la dinamica sociale, e scuotere sino alle radici (storiche, territoriali, antropologiche) il nostro stesso essere ACLI.
Identità è dunque, e sempre sarà, la parola chiave.
Sono uomo e nulla di ciò che è umano considero a me estraneo, è la premessa ontologica necessaria ad aprirsi radicalmente a relazione e dialogo e insieme alla comprensione autentica del bene, nel suo necessario carattere di bene comune. Ma chi e che cosa mi definisce in quanto uomo e in quanto Massimo (persona specifica, segno di un amore creatore) al di là di ogni cambiamento? E poi, chi e cosa ci definisce in quanto ACLI (comunità aperta, associazione) al di là della estensione d’acronimo? Viviamo oggigiorno una condizione umana di identità per così dire multitasking ma spesso (anche per questo) smarriamo l’identità fondante, dimenticando la quale perdiamo la nostra stessa umanità… tra liquidità delle dinamiche sociologiche, relazionalità compromesse da precomprensioni e statuti politico-epistemologici (l’altro è amico/nemico, il conflitto è condizione della politica), relativismi etici e quant’altro… Ebbene, la forza delle aCli risiede proprio nell’avere (e saper mantenere) radici e orizzonte in un’Identità capace di ricondurre ad unità ogni altra, ad essa “meramente” strumentale, e di aprire le menti permettendogli di comprendere (intelligere) lo scenario di crisi e grande cambiamento sociale dei nostri giorni.
Ascoltare (leggere) e dialogare.
Tante le riflessioni che mi “appartengono” (appunto in quanto homo sum…) tra quelle che ho letto, e rispondono da varie prospettive a quella domanda fondamentale. Provo a mia volta ad “entrare in dialogo”Come essere associazione cattolica se non preserviamo la nostra anima?, ci dice Nico Curci, ricordando l’agire essenziale di Arcangelo (nomen est omen…) Se cioè, il nostro stareessere insieme non è declinazione responsabile di libertà individuali e plurali verso il (ogni) prossimo e fedeltà alla democrazia che ci appartiene ed identifica in quanto serva della Verità (la C che è fondamento primo e risposta di tutto!), e giammai mera forma della politica – capace di condannare a morte l’Innocente, violare la dignità dei poveri, dei rifugiati, dei senzatetto, degli ultimi e ormai anche dei penultimi e terz’ultimi di questo mondo…
Abbiamo la voglia e la forza di affrontare le sfide del presente? – la nuova frontiera verso la quale dirigere il nostro cammino della quale parla Davide Caviglia. Io credo che possiamo farlo insieme e con la forza e la fede richiesta dai tempi, anzitutto con la prudenza di cercare ogni giorno una risposta nelle parole del Papa, che ammaestrandoci lo scorso 23 maggio ci ha ricordato che a 70 anni dalla loro nascita la vocazione delle Acli ha carattere di permanente attualità. Le Acli, mi dico, sono segno (cioè devono esserlo, altrimenti rin-negando se stesse) di una consapevolezza evangelica rispetto alla Crisi: per tras-formare il mondo occorre che il cristiano prenda il lievito e lo unisca alla farina perché tutta si fermenti (Matteo, 13, 33-35). Promuovere “una società in cui sia assicurato, secondo democrazia e (più!) giustizia, lo sviluppo integrale di ogni persona” (art. 1) richiede perciò oggi più che in ogni altro tempo passato un’azione di discernimento sul tempo nel quale siamo chiamati ad operare.
Certo, i tempi cambiano e ci cambiano, nel fisico e nello spirito (e come noi persone, cambiano anche le comunità), rimettono in discussione, nel nostro divenire di singoli e di comunità, le nostre identità: incutono timore… Come vivere questo nostro tempo di crisi, non solo finanziaria, economica, e di ogni Ordine, politico, sociale, ma più essenzialmente antropologica?
Siamo figli e viviamo un tempo che significativamente affronta a suo modo il tema della identità per “eluderlo”, definendo se stesso solo per differenza: l’era del post (ideologico, moderno). Un tempo che ci interroga sulla nostra capacità di saper essere ancora cittadiniuomini e finalmente cristiani e per tale via sulla capacità di affermare un orizzonte di senso per la nostra condizione umana dentro e oltre la Crisi. Sapremo raggiungere l’altra riva, mentre le acque agitate mettono a dura prova la barca della nostra Umanità? … E però, chi – se nemmeno noi – nell’unità di popolo cristiano – troverà radici (identitarie) abbastanza profonde per resistere alla paura della morte (di un progetto, del nostro stare insieme, del futuro, della luce nella notte)?
Progetto politico. Per questo l’obiettivo aclista deve essere quello di (ri)trovare la propria vocazione riformatrice! “Ri-formare” anzitutto la classe dirigente della comunità e del Paese, fornendo strumenti di lettura in funzione del territorio. Si tratta anzitutto di (ri)formare la democrazia, promuovere una rivoluzione culturale e con essa il ritorno alla identificazione di quel concetto di essa che – come dicevo – non è mera forma e procedura ma sostanza, e dunque decisione improntata al bene comune e secondo giustizia. E si tratta di rivolgere tale formazione sia ai componenti l’associazione che alla cittadinanza, a cominciare dai giovani che costituiranno la futura classe dirigente del Paese, in una prospettiva di osmosi che nella vocazione dei cattolici alla politica  come ad una forma di martirio quotidiano, consistente nel cercare il bene comune senza lasciarsi corrompere, come ha detto Papa Francesco – importa anche il rinnovarsi del coinvolgimento di componenti l’Associazione nell’agone della politica.
Ricordando sempre che se uno vuol divenire più grande deve farsi servo di ogni altro… Ecco cosa rende la nostra sfida al cambiamento una sfida di servizio: siamo noi che facciamo la politica e la storia di questa associazione e niente ci esime dalle nostre responsabilità, dal reagire contro la “perdita di quel senso di responsabilità per i nostri simili su cui si fonda ogni società civile” (Enciclica Laudato sii), come ricorda Santino Scirè. In questo senso si qualifica il nostro essere come ogni generazione un nuovo popolo capace di vivere la responsabilità liberi dal demone della paura e capaci di avere il controllo del presente e una progettualità per il futuro a servizio, oltre che della nostra, delle generazioni che verranno.
Contribuire a capire che sfide sociali raccogliere e come: la sfida prima ed “ontologica” è (insieme al sociale) riabilitare la Polis, comunità naturale nella quale si realizza nella ricerca del bene comune la vocazione sussidiaria di individui e comunità minori; ritornare ad essere famiglia, cellula prima della società, e chiesa accanto alla Chiesa, comunità critica, esigente, responsabile, a servizio di un nuovo Umanesimo integrale e solidale, di una politica geneticamente sussidiaria – credo sia un altro modo di richiamare insieme all’anima quel minimo comune multiplo, di cui ha parlato un lavoratore delle Acli, al quale siamo chiamati ad essere coerenti nella consapevolezza della nostra condizione di uomini siccome cristiani. Sfida che interroga la nostra identità radicalmente, siccome rappresenta un progetto sociale e politico.
I cristiani, ricorda un lavoratore delle Acli citando il Papa, devono fare quello che vuole Cristo: valutare i tempi e cambiare con loro, restando saldi nella verità del Vangelo. L’Italia è il Paese nel quale più lungo è stato il dibattito sulle riforme: se ne parla dagli anni Settanta… eppure ha finito per essere l’Europa a “chiederci le riforme”, in parte dettandoci perfino l’agenda delle stesse!
Integrando quanto dicevo prima, il nostro progetto politico mi sembra debba essere quello di ritrovare la nostra vocazione riformatrice e metterci a servizio di un nuovo Umanesimo integrale e solidale, di una politica geneticamente sussidiaria per riabilitare la dignità della persona, della famiglia, delle comunità intermedie e insieme a tutto questo – in via autenticamente sussidiaria – della stessa Politica.
Nel dare la mia testimonianza all’incontro con Papa Francesco, ho segnato in questo senso alcune priorità del Centro studi Mons. Cataldo Naro – nella speranza che trovino piena condivisione e il sostegno necessario a renderle pienamente operative.
In significativa continuità con la fedeltà ai poveri e con il “mandato” affidato di lì a poco dal Papa alle Acli di portare avanti “una importante battaglia culturale, quella di considerare il welfare una infrastruttura dello sviluppo e non un costo”, c’è tra quelle priorità la riflessione avviata e le analisi sul ben-essere e su nuovi sistemi di welfare (community) che coinvolgano tutti gli attori sociali per un benessere sussidiariamente fondato e ontologicamente orientato – progettualità che assume la riforma del Terzo settore come punto di prioritaria e qualificata osservazione ed analisi. Nel desiderio, che si fa esigenza, di essere cittadinanza attiva ed interlocutori capaci di avviare una riduzione della frattura della politica con la società civile e insieme osservatori esigenti c’è anche la consapevolezza critica che dobbiamo evitare di affidare alle sole dinamiche della dialettica politica la definizione del nuovo ruolo da riconoscere al Terzo settore – anzitutto, con una verifica in corso d’opera, vale a dire in parallelo alla stessa approvazione della legge delega e alla esecuzione della delega e scrittura del testo delegato.
Infine, i congressi delle associazioni, a cominciare da quelli dei partiti politici, possono unire o dividere (secondo la ricordata ricostruzione epistemologica della politica), unire o riunire alcuni e dividere altri, ma la democrazia dei cristiani è altro, come dice Marco Livia, e chiede a ciascuno di mettersi in gioco per andare oltre l’ostacolo, oltre la morte della relazione d’amore che ci costituisce e viviamo nel e col prossimo, ri-conoscere il valore assoluto dell’ideale evangelico dell’unità anche nella decisione politica: ut omnes unum sint. Questa, nel discernimento cristiano, è l’unica risposta definitiva al problema di una sintesi tra l’uno e il molteplice, che non ferisce solo il nostro noi di Acli e Aclisti oggi, se si accompagna nella forma di contrapposizione altrimenti non superabile alla stessa storia del pensiero filosofico e politico.

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