A quattro mani


Di Mauro Platè e Cristiana Paladini 
Un post a quattro mani, qualche spunto di riflessione condivisa sull’associazione, perché le Acli ci hanno accompagnati in questi anni di esperienza associativa, di crescita professionale (in modo diverso per ognuno), ma anche di vita familiare, facendoci maturare l’idea di un’associazione in cui sia possibile, e proficuo anche, desiderandolo, impegnarsi come soci e lavoratori e trarre da ciò un arricchimento. 
Anche se le peculiarità della nostra esperienza non sono generalizzabili, siamo convinti che un tipo di coinvolgimento che tessa insieme dimensione relazionale, territorio e professionalità, rappresenti per l’associazione un punto di forza da valorizzare, non solo per le potenzialità (unite, inevitabilmente, ad alcuni limiti) che tale integrazione contiene, ma soprattutto in virtù delle possibilità di conoscenza e radicamento nelle comunità che questa modalità porta con sé e le conseguenti ricadute sul lavoro e soprattutto sulla progettazione.
In contesti dinamici in rapita evoluzione, che da un lato pongono vincoli stringenti sulle risorse e dall’alto sono caratterizzati da una domanda sociale crescente, le comunità meglio attrezzate sembrano essere proprio quelle in grado di interpretare la programmazione non strettamente come gestione di un budget predefinito ma come capacità di offrire strumenti per la connessione ed integrazione di reti e risorse, di conoscenze e bisogni inespressi. 
Se le Acli hanno l’ambizione di porsi come attori coprotagonisti della promozione sociale sul territorio, in contesti complessi in cambiamento, questa apertura ad una programmazione partecipata e integrata nei luoghi, attraverso anche le persone e le loro relazioni, non può essere considerata secondaria.
Abbiamo visto aclisti “vecchi” e nuovi, in Italia e all’Estero, per il Servizio Civile, come collaboratori, come personale espatriato, per esperienze di volontariato, giovani (ci sono ancora i giovani intorno alle Acli), e non solo. Ma cosa succede dopo? Quando termina il rapporto lavorativo, o l’esperienza di volontariato, quando per motivi diversi le strade si dividono, in modo consensuale o meno, cosa rimane? Molti si sono allontanati perché hanno preso strade diverse, perché il legame associativo oggi, lo sappiamo, si fa più fluido e momentaneo, a spot, ad evento.
Alcuni sarebbero rimasti, alcuni avevano energie, competenze, esperienza per accompagnare il cambiamento di cui si parla. Abbiamo visto anche meno giovani, che in Acli hanno passato più di mezza vita, che hanno costruito relazioni, ponti, progetti, investito energie e tanto tempo. Li abbiamo visti andare via, perché in un momento di crisi associativa erano difficili da ricollocare.
Conosciamo cosa significa lavoro in tempi di crisi ed incertezza, siamo la generazione nata negli anni di piombo, quella dei giovani universitari del duemila, della speranza implosa dei movimenti e del ritorno alla partecipazione, la prima generazione di giovani adulti che ha conosciuto il precariato come forma di lavoro permanente. Eppure ci siamo convinti che un’associazione “cristiana di lavoratori” possa essere più di un luogo a cui dedicare qualche ora di lavoro e questa convinzione è nata proprio dalle persone e dai soci lavoratori che abbiamo incontrato. 
In tal senso forse è necessario ragionare non solo su chi resta, ma su chi si allontana, sull’uscita di quanti hanno vissuto le Acli ed hanno contribuito in maniera differente a traghettarle nel presente. Se, come ci ripetiamo da anni, gli individui non sono numeri, è necessario riflettere sulle vie possibili di mantenimento dei legami. Per non perdere risorse, per non sprecare innovazione e competenze acquisite ma soprattutto, perché sono quelle persone, le loro esperienze, le reti che attivano ed hanno attivato a dare radicamento al progettare e corpo al rinnovamento.

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