Cali numerici e umiliazione


"Quando sono entrato in noviziato, eravamo 33.000 gesuiti. Ora quanti siamo? Più o meno la metà. E continueremo a diminui­re di numero. Questo dato è comune a tanti Ordini e Congregazioni religiose. Ha un significato, e noi dobbiamo chiederci quale sia. In definitiva, questa diminuzione non dipende da noi. La vocazione la manda il Signore. Se non viene, non dipende da noi. Credo che il Signore ci stia dando un insegnamento per la vita religiosa.
Per noi ha un significato nel senso dell’umiliazione. Negli Esercizi Spirituali Ignazio punta sempre a questo: all’umiliazione. Sulla crisi vocazionale il gesuita non può rimanere al livello della spiegazione sociologica. Questa è, al limite, la metà del vero. La verità più profonda è che il Signore ci porta a questa umiliazione dei numeri per aprire a ciascuno la via al «terzo grado di umiltà»[5], che è l’unica fecondità gesuitica che vale. Il terzo grado di umiltà è l’obiettivo degli Esercizi".
(papa Francesco ai #gesuiti in Grecia) da civiltà cattolica


Desmond Tutu


3 obiettivi:
Sacerdozio delle donne
Suddivisione in unità pastorali
Liberazione di tutta la nostra gente, bianca e nera.

PNRR: scadenze tra sogno e realtà


Nel corso della conferenza stampa di fine anno il presidente del consiglio Mario Draghi ha affermato che uno dei grandi risultati raggiunti dal suo governo nel 2021 è stato il completamento di tutte le scadenze legate all’attuazione del Pnrr. Tale affermazione ha destato sorpresa anche tra gli osservatori che nelle settimane precedenti avevano delineato una situazione decisamente diversa.

Poche ore dopo l’annuncio di Draghi poi è iniziata a circolare la notizia dell’approvazione dei cosiddetti operational arrangements. Cioè le modalità attraverso cui le istituzioni europee effettueranno le verifiche sui risultati raggiunti dai singoli stati e successivamente erogheranno le risorse del Next generation Eu nei prossimi anni. Questi annunci hanno generato un po’ di confusione facendo sembrare che le istituzioni europee si fossero già espresse favorevolmente su quanto fatto sin qui dall’Italia. In realtà non è proprio così. Bruxelles infatti valuterà l’operato del nostro paese solo nelle prossime settimane.

https://www.openpolis.it/le-scadenze-del-pnrr-il-rischio-di-confondere-i-desideri-con-la-realta/?fbclid=IwAR2O42xADs0ukh3-9bCa3p0wtD08asEjQjWhXG7_UW5B3C-1Y4L55II05S0


Terza dose


- Patologie? nessuna
- Farmaci abituali? nessuno
Complimenti
alla signora del 1942 in fila per il vaccino per il suo stato di salute invidiabile.

Il rischio è ineliminabile


Seminario serale: la responsabilità giuridica dell'educatore scout.
Il succo:
Il rischio é ineliminabile dalla attività scout.
Eliminare il rischio sarebbe snaturare la proposta.
È il bilanciamento tra rischio che si corre e finalità educativa ciò che rende sostenibile o meno ciò che si fa'.
Mi affascina il rapporto di senso applicato anche alla dimensione giuridica. Per fare meglio non serve (solo) diventare più esperti di norme, serve fare ancora più attenzione alla progettazione educativa e alla realtà di chi abbiamo davanti.

Per approfondire:

Cosa c'entra con le organizzazioni sociali, oggi, la comunità?




La domanda vera è: Cosa c'entra con le organizzazioni sociali, oggi, la comunità? 

Da leggere in particolare:

Co-progettare per rigenerare
Lo sviluppo di comunità
Prassi e metodologie per la partecipazione democratica nella amministrazione condivisa.

in connessione gli uno con gli altri.

E' materiale estremamente interessante e "a tema" con le riflessioni su: animazione di comunità e azione sociale. (L'instantbook scaricabile qui:
https://www.fqts.org/doc/instant-book-ok.pdf?fbclid=IwAR0K3W-75GB4uMy9P2RU25kBJ7IdrvR8UwC64HqIG0m_UA8M3mbKDOAG3e0 è sintesi di un percorso del Forum Terzo Settore che ha coinvolto organizzazioni del sud, ma la riflessione riguarda tutti senza distinzione).

Vaccini

Nelle prime due mappe la diffusione del vaccino nel mondo ad oggi (e proviamo ad immaginare come sarebbe la mappa sulle terze dosi).
Nell'ultima la previsione di come sarebbe andata (fatta a gennaio 2021).
Mi inquieta la nostra incapacità di interpretare la realtà.

Non preoccuparsi di garantire una diffusione equa del vaccino al mondo non é solo ingiusto, è miope, ci torna indietro come un boomerang.

Animazione di comunità: dai bisogni individuali alle proposte collettive




La modalità con cui Luca Fratepietro approccia il tema dell'animazione di comunità in questo video per FQTS mi pare particolarmente centrato:


L'obiettivo dell'animazione di comunità è passare dai bisogni individuali alle proposte collettive.
L'asse principale è allora la partecipazione.

Nel Mooc di FQTS una serie di materiali interessanti per approfondire:
  • Carta della Partecipazione illustrata
  • Glossario la partecipazione in poche parole
  • Progettazione partecipata oltre la tecnica

Insicure...


Non tutti gli uomini sono uguali.
Non tutte le donne sono uguali.
Vero. Quindi, in ogni analisi, la dimensione uomo/donna non è l'unica che conta.

Però le donne oggi non sono presenti in determinati ambiti in una proporzione che sarebbe naturale aspettarsi, in base ai numeri di donne esistenti al mondo. Questo è un fatto e dice che, anche se non è l'unica, la dimensione uomo/donna oggi esiste e conta.

Cosa impedisce alle donne di essere presenti in certi ambiti e ruoli? 
Cosa impedisce alle donne di restare presenti a lungo in certi ambiti e ruoli? 
Io credo siano ottime domande che è molto utile porci.

L'ipotesi semplice che oggi ha fatto irruzione nel dibattito pubblico è: le donne non hanno le caratteristiche per... E' un'ipotesi solo apparentemente semplice, perchè apre varie questioni:
  1. cosa determina le caratteristiche che le donne non hanno? Sono innate, genetiche, biologiche o sono caratteristiche socialmente, storicamente, culturalmente date? 
  2. quelle caratteristiche di cui, eventualmente, le donne sarebbero carenti, sono quelle necessarie per svolgere bene il ruolo che in certi ambiti sarebbe utile svolgere o sono necessarie per sgomitare ed ottenerlo o per difenderlo con i denti da chi lo attacca?
Se partiamo dal presupposto che fino ad oggi certi contesti sono stati quasi esclusivamente maschili e se ipotizziamo che le donne siano portatrici di una qualche forma di differenza, allora dobbiamo accettare l'idea che l'arrivo del femminile in certi ambiti porti con una diversità, una disomogeneità, una frattura dalla consuetudine. Quanto gli uomini (specialmente quelli che dichiarano di volere la parità) hanno approfondito questo aspetto? Quanto sono pronti ad accettarne realmente le conseguenze?

Da un punto di vista femminile l'approdo in contesti prevalentemente maschili significa fare i conti con il tema del "come mi pongo, qui dentro?". Schematizzando (in modo eccessivo) ci sono 4 opzioni:  
  • accettare di essere "la donna in mezzo agli uomini" cioè sentirsi magari sempre un po' diversa e fuori posto, ma trovando i modi per farsi accettare. O con la seduzione. O con forme di cura e "badantato" altrui. O simulando di farsi "prendere in carico" dall'uomo che ti spiega come devi fare... In ogni caso non dando troppo fastidio ai manovratori, stando sempre all'interno del recinto dato e mandando giù con grande eleganza vari rospi.  
  • porsi come "la donna rivendicativa in mezzo agli uomini". Portando su ogni aspetto ed argomento il tema della differenza di genere...
  • uniformarsi agli uomini, assumendone tutte le caratteristiche. Diventando in tutto come un uomo.  
  • provare semplicemente a portare il proprio modo di essere e di fare personale e professionale, le proprie conoscenze e le proprie competenze.

A leggere così sembra molto semplice scegliere, no? Ovviamente le prime 3 sono negative, ovviamente l'ultima è quella giusta. Invece, dal punto di vista dell'equilibrio pre-esistente, la prima e la terza modalità in fondo sono funzionali. La terza è una rottura di scatole, ma limitata. E' l'ultima è il vero problema!

Provare ad essere se stessi è ciò che nei fatti incontrerà maggiori resistenze e aprirà maggiori conflitti. Perchè (anche senza volerlo) metterà in discussione il contesto. Non starà nelle cornici implicite (e spesso inconsapevoli) già date. Non lascerà passare inosservate (a persone che spesso sono realmente in buonissima fede) discriminazioni e imparzialità, indipendentemente da che queste siano connesse con il tema di genere o meno.

E' qui che, secondo me, entra in gioco il tema della "sicurezza di sé" e della "spavalderia". 

Una donna in un contesto maschile, come un mancino in un contesto di destrimani, come un italiano in un contesto di inglesi, come un tennista in un campo da basket...non trova il mondo a sua misura, non può ricorrere ad automatismi, deve osservare, esplorare, inventare, sperimentare, deve costruire le modalità per... Questo la rende meno sicura di sé e spavalda, specie nelle fasi iniziali? Può essere.

Una donna in un contesto maschile si trova mille volte al giorno a subire piccole umiliazioni, non riconoscimenti, soprusi. Robe tipo il signore molto distinto che "si appoggia" sull'autobus pieno. Che se ti giri e dici "Che fa!?" Lui ti fa la faccia innocente e dice "Non capisco, cosa intende? Ma le pare? E' stata la frenata del pullman!". Non c'entra il tema dell'abuso. C'entra il tema del sopruso negato. Ogni donna che in adolescenza ha vissuto in una città con i mezzi affollati sa riconoscere queste situazioni e ha trovato il suo modo di districarsi. Ma se lo applichi a contesti di ruolo, come se ne esce? Questioni come la sedia della Von Der Leyer senza le telecamere e con quasi tutti solo uomini attorno come sarebbe andata? Se lei, in una riunione successiva con il collega, avesse posto il tema, qualcuno non avrebbe detto che era insicura e che dava importanza a cose banali? Se non l'avesse posto, qualcuno non avrebbe detto che era insicura e si faceva mettere i piedi in testa? E' una strada senza uscita. O almeno così appare. 

Una donna in un contesto prevalentemente maschile si trova mille volte al giorno di fronte a persone che (chi in buona fede e chi no) non riescono a capire perchè lei dica ciò che dice... Tu vedi il cielo azzurro, ma tutti ti dicono che è verde. E allora tu, certe volte effettivamente dubiti, ma... non sarò io che non ci vedo? Questo influisce sulla sicurezza di sé? Beh, può essere. Però in genere poi ti attrezzi anche e ti rafforzi, perchè sai che va così. 

Una donna in un contesto prevalentemente maschile tende a farsi domande su di sè. Anche perchè questo è il suo modo di affrontare le cose. In un confronto con altri, pensa che sia giusto ascoltare, verificare: Può essere che in ciò che dice lui ci sia qualcosa di utile? Come la vedrei a parti inverse? Questo è visto come essere insicure. Ma non credo lo sia. Non potrebbe essere invece il contesto ad avere un deficit di capacità di ascolto, di messa in discussione, di analisi ed introspezione?

Una donna in un contesto maschile spesso vuole prioritariamente che il pensiero collettivo progredisca, che un processo si attivi, che le cose accadano. Tante volte per questo accetta mediazioni, valorizza ciò che di buono c'è nel pensiero dell'altro, ci lavora sopra, porta contributi anche senza che questo sia riconosciuto. Questo non funziona moltissimo per affermarsi. Sicuramente. Ma possiamo dire che questa sia una insicurezza della donna? Non potrebbe essere più funzionale per tutti un contesto in cui ci si ascolta di più e si co-costruisce di più?

Una donna in un contesto maschile a volte tiene il punto. Perchè le pare giusto. Perchè non facendolo le sembrerebbe di tradire il proprio percorso e quello di chi si è fidato di lei. Farlo, spesso del tutto da sola, le fa fare tanta fatica. Nemmeno questo funziona moltissimo per affermarsi. Non viene certo vista come sicura, ma come polemica, sgraziata, acida.

Ma sembra un po' un gatto che si morde la coda. Tranne fare l'uomo o accettare di essere "di contorno" tutto sembra non funzionare. Forse è persino inevitabile, l'entrata del nuovo in certi contesti fa sentire in pericolo, esce l'istinto di difesa del proprio ruolo, potere, territorio. E' persino naturale. 

Però, incredibilmente, a volte funziona. A volte ci sono donne che riescono a restare se stesse in certi contesti. E riescono a starci a lungo. Sarebbe da studiare cosa ha funzionato, come, perchè...

Lo schema è una semplificazione. 
Serve per spiegare un ragionamento. 
La realtà è sempre più composita, da ogni punto di vista. 
Sia chiaro.
Ciascuno di noi finisce a volte per fare la parte maschile di chi c'è già e non lascia spazio. 

E allora torniamo al punto di partenza. 
Cos'è il maschile e cosa il femminile? 
Possiamo davvero dire che sono caratteristiche strutturali?
Ed un uomo in un contesto tutto femminile non sperimenta forse la stessa estraneità, esclusione, sensazione di non poter essere se stesso?

E poi ciascuna di noi mixa le diverse modalità a seconda del carattere ma anche delle fasi e dei tempi. Anzi, credo che la differenza di fase (più che la differenza di carattere) sia alla base di molte mancate solidarietà tra donne. Chi sta cercando, a fatica, di perseguire un risultato seguendo una modalità, fa fatica a solidarizzare con chi in quel momento ne sta seguendo un'altra.

Però si, gli uomini sono poco presenti nei luoghi dell'educazione, le donne sono poco presenti nei luoghi di potere. Entrambe le questioni sono importanti, ma non si può dire che siano simmetriche.

Donne e potere. A volte le donne mollano o rinunciano ancora prima di iniziare. Lo fanno perchè non hanno abbastanza "spavalderia e sicurezza di "? Può essere.

Ma ci possono essere altre ipotesi:
- lo fanno (specie nelle generazioni precedenti) perchè stare in certi luoghi chiede dedizione quasi assoluta e invece magari devono/vogliono conciliare con la cura di figli o genitori o anche solo (specie nelle nuove generazioni) con una vita più equilibrata e serena.
- lo fanno perchè il loro obiettivo non è comandare, ma cambiare le cose. Se stando in certi posti si ha l'impressione che tutta l'energia sia dedicata a sgomitare per farsi spazio e per difendere la legittimità di essere nel ruolo in cui si è...si può decidere che non ne vale la pena. 
- lo fanno perché anche senza quel ruolo non si sentono "smarrite" e "fallite". Perchè non affidano al ruolo pubblico, al successo o al riconoscimento tutta la loro identità. Lo fanno perche sanno anche perdere e ripartire da zero. 
Infine, per tornare al punto iniziale, ciò che per semplicità distinguiamo in maschile e femminile è qualcosa che fa problema anche a molti uomini che non rientrano nell'immagine standard di maschio sicuro di sé e spavaldo.  

Il punto è:  
  • accettiamo tutti, almeno come idea, che l'universo costruito su un modello di governo che definiamo maschile (rigido, apparentemente forte, centralizzato, dirigistico e tecnico) non sia l'ideale? E che non lo è nemmeno includendo donne cui è affidato il compito di essere "femminili" (creative e relazionali) in uno spazio limitato mentre il contesto complessivamente resta come era?  
  • L'arrivo di donne in contesti maschili non è il punto massimo di concessione (così poi finalmente non rompete più!), ma può essere l'inizio di un processo di trasformazione di cui c'è estremo bisogno. Verso modalità di governo e di esercizio dell'autorità che siano più in grado di stare nella complessità e nella contemporaneità. Verso modalità più partecipate, più inclusive, più circolari, più dinamiche, più policentriche, più sistemiche, più sostenibili...

Che poi, la storia è lenta, ma i processi camminano comunque. 
Noi cerchiamo di fare ciò che ci pare giusto. In ogni caso questo è tempo di semina. La raccolta non è per noi. Sarà delle generazioni future. Con ciò che a loro arriverà e ciò che, nel frattempo, sparirà.














Cosa ha detto Barbero?


Cosa ha detto Barbero?
Ha detto: "io sono uno storico, indago il passato, non il presente ed il futuro, su queste cose parlo da cittadino".
Ha detto: "Effettivamente, visti i cambi di costume degli ultimi 50 anni, ci si può domandare perchè non ci sia ancora parità".
Ha detto: "Vale la pena chiedersi se ci siano differenze strutturali tra uomo e donna che rendono più difficile a quest'ultima avere successo in certi campi".
Ha detto: "E' possibile che in media le donne manchino di quella spavalderia e sicurezza di sé che serve per affermarsi?"
Apprezzo il fatto che veda che c'è uno squilibrio.
Apprezzo il fatto che, da cittadino ma con metodo da studioso, si ponga delle domande e provi a formulare ipotesi.
Apprezzo anche il fatto che si sia aperto uno spiraglio di dibattito e riflessione sul tema.
Credo che la sua formulazione dell'ipotesi contenga elementi utili anche se è un po' povera e scivolosa.
Sono assolutamente convinta che indignarsi 3 giorni contro di lui e lasciare tutto com'è non sia per nulla utile.
Mentre approfondire l'analisi e le ipotesi di soluzione, per fare in modo che qualcosa cambi, sarebbe molto più utile.

Perchè lo sviluppo sociale di comunità?

Al centro del ragionamento ci sono le persone e le relazioni. 

E ci sono le pratiche sociali: cioè ciò che ciascuno di noi fa concretamente nella propria vita quotidiana. Perchè è a partire da quello che si costruisce collaborazione e confronto e si può costruire sviluppo della comunità. 

Andrea Volterrani per FQTS 






In uno stato democratico


Una manifestazione di lavoratori.
Sgomberata con idranti.
Il condividere o no il contenuto della protesta per me é irrilevante.
In uno stato democratico deve essere possibile esprimere dissenso. Se passa l'idea che l'unica protesta ammissibile è quella in linea con l'area del consenso maggioritario del momento, é un problema.
Il dramma delle escalation è che é più facile innescarle che disinnescarle.

La scheda elettorale


La residenza l'ho trasferita a Roma quando mi sono sposata, c'era già Veltroni ed era il 2007. Primo voto romano nel 2008. Poi sono passati Alemanno, Marino, Raggi.
Per una cosa o l'altra tra politiche, amministrative e referendum dal 2008 ho votato tutti gli anni, tranne il 2012, 2015, 2017. Anno di voto record il 2016 con 4 volte.
Solo una volta mi é capitato di aver votato un sindaco che poi é stato effettivamente eletto.
Con il secondo turno di oggi è iniziata una nuova scheda elettorale...

Il primo gesto di socialità è una infrazione alla regola


"Mi guardava fisso, a ricreazione. Io non capivo.
Poi, con un movimento veloce, mentre nessuno guardava... mi ha passato 3 Oreo! Oh, dico, 3 Oreo!".
Il primo gesto di socialità è una infrazione alla regola.
Non biglietti nei compiti in classe, non telefonini clandestini, ma...contrabbando di biscotti!
#scuolamedia che resta al tempo del covid, anche mentre tutto riparte.
Vita che si infila comunque, anche in mezzo alle regole.

Society, con dedica

 


E' bella la vita quando accade,

è bello quando le persone si incontrano, andando un po' oltre la superficie. 

Cambiamento non è dimenticare.

Non è nemmeno ricominciare. 

E' mettere a frutto le cose, sempre in modo diverso, aprendosi a persone ed esperienze. 

Nulla va perso, tutto si trasforma.

Tutto può fiorire e portare bellezza.

#salutoalnoviziato 

Una bella boccata d'aria


Ricordate ai vostri figli:
- non possono scambiarsi gli oggetti
- devono restare distanziati anche mentre escono
- non devono alzarsi dal banco
- devono tenere sempre la mascherina ben indossata...
Quando lo chiedono, noi li mandiamo al bagno, così possono tirare giù un attimo la mascherina e respirare bene, ma in classe devono tenerla sempre e ben indossata! É importante! A tutela della salute di tutti"...
La scuola é ancora in piena #epocacovid
Ps. Guarda tu! Io i bagni scolastici me li ricordo come luoghi in cui, per fumo o puzza, il fiato si tratteneva...adesso invece, sono i luoghi in cui tirare un bel respirone... Speriamo almeno ne abbiano guadagnato in pulizia!


Tutto dipende dal primo mandato che Adamo ha ricevuto da Dio

Tutto dipende dal primo mandato che Adamo ha ricevuto da Dio.
Lavorate e custodite.
Abbiamo due compiti.
Lavorare per godere dei frutti della terra.
Custodite perché la terra sia in grado di sopportare la presenza degli uomini sulla terra. Perché dobbiamo ricordare che non siamo gli ultimi sulla terra, verranno altri dopo di noi, dobbiamo fare in modo che anche loro possano godere dei frutti della terra.

La Playlist dello Sviluppo Associativo

Ai partecipanti all'incontro sviluppo associativo di stamattina è stato chiesto di suggerire una canzone che (in qualsiasi senso) si connettesse al comune impegno che come Acli abbiamo.
Ne é uscita questa playlist. Ci sono cose molto diverse tra loro. Ma io trovo del gran bello anche ascoltando brani che non avrei mai scelto...
Intanto ascoltiamoci così...
(Poi é
divertente
immaginare chi ha suggerito cosa e perché...)

Lavoro e bellezza


In dialogo con: 

Elena Granaglia, Prof.ssa di Scienza delle Finanze dell’Università di Roma Tre, 

Luca Visentini, Segretario Generale Confederazione Europea dei Sindacati  

Ivana Pais, Prof.ssa di Sociologia economica all’Università Cattolica


Migliorare è cambiare il modo di risolvere i problemi




Le comunità sono fondamentali per il terzo settore e, dopo la pandemia da Covid 19, lo ono ancora di più. Recentemente sempre più spesso leggiamo delle comunità come risorsa e come impresa tanto che qualcuno si spinge oltre, riferendosi a un futuro dove si potrà vivere il capitalismo comunitario. Una visione esclusivamente economicistica delle comunità che, invece, sono innanzitutto luoghi dove le persone costruiscono la loro vita quotidiana, le loro relazioni sociali ed affettive, la loro identità. Questi tre aspetti sono stati le radici dalle quali molte organizzazioni di terzo settore sono nate percependo e condividendo con le persone prima e, poi, costruendo azioni, progetti e servizi per contribuire a costruire comunità differenti. Ma oggi la situazione è, per molti aspetti, cambiata.

Abbiamo vissuto un processo di “istituzionalizzazione” del terzo settore che ha prodotto un lento ma inesorabile allontanamento dalla comunità territoriale.

Alcune realtà del terzo settore, anche le più radicate, hanno a poco a poco smesso di essere parte integrante delle comunità di riferimento, divenendo sempre più soggetto estraneo, fornitore di servizi. Le comunità quindi, dal punto di vista del terzo settore, si sono ridotte a destinatarie di interventi, più o meno strutturati o efficaci, ma comunque sempre in un rapporto asimmetrico tra fornitore e fruitore.

Ciò evidentemente ha accentuato un processo di scollamento che nel tempo ha portato terzo settore e comunità a collocarsi su livelli differenti, rendendo spesso sterile e asettica l’azione sul territorio.

Occorre quindi ripartire dalla comunità, ma per farlo è necessario un cambio di paradigma culturale che consenta di rimettere al centro le persone, e non l’organizzazione terzo settore, i beni relazionali e non i servizi o le attività.

 

Per un nuovo paradigma culturale per lo sviluppo comune delle comunità

Il primo pilastro del nuovo paradigma è il riconoscimento delle nuove caratteristiche delle comunità. La moltiplicazione delle comunità e il loro essere sempre più fluide con un elevato grado di complessità e differenziazione è una evidenza empirica della quale tenere conto e, soprattutto, necessità di ulteriori approfondimenti. Non è facile individuare e delimitare il lavoro per costruire sviluppo sociale in molte delle comunità contemporanee perché non esistono confini certi. Quindi è importante adottare un approccio olistico, includente e aperto all’inaspettato che abbia come obiettivi l’incremento del capitale sociale (e quindi della fiducia e delle relazioni) e della coesione sociale (e quindi della densità delle relazioni) disponibili a chi abita le comunità.

Il secondo pilastro è l’adozione di un approccio che ponga al centro le persone e le relazioni. In sintesi, è fondamentale fare riferimento a: a) protagonismo degli abitanti delle comunità in ogni momento e in ogni contesto. La domanda da porsi sempre è: chi lo sta portando avanti? Di chi è stata l’idea? Se la risposta non è le persone e/o la comunità, allora stiamo seguendo un’altra tipologia di approccio che prevede una imposizione delle idee dall’alto e, spesso, dall’esterno; b) la facilitazione della partecipazione reale e non formale attraverso un supporto di animazione non invasiva che si affianca e non prevarica le persone e la comunità; c) un nuovo ruolo degli Ets che si muovono all’interno della comunità e con la comunità, abitando e vivendo i luoghi del quotidiano delle persone per costruire insieme il futuro della comunità; d) il racconto continuo, coinvolgente e affascinante di quali sono, passo dopo passo, gli sviluppi della comunità; e) il coinvolgimento attivo delle istituzioni in un processo reale di co-programmazione prima e di co-progettazione poi.

Il terzo pilastro è la crescita della capacità collettiva di lavorare sulla comunità immaginata attuale e sull’idea di futuro della comunità. Un lavoro sulle percezioni che ha la necessità di scavare nelle profondità anche poco trasparenti dell’immaginario individuale e collettivo delle persone e della comunità e sull’immaginazione civica. Accanto a questo è ormai necessario lavorare per far crescere anche nelle comunità e negli Ets la consapevolezza del mondo digitale. Parlare di reale contrapposto al digitale non ha più senso, tanto meno per le comunità. È importante, invece, spostarsi senza soluzione di continuità da un piano all’altro per far incontrare le persone, collegare ambiti e situazioni differenti, ricostruire comunità capaci di crescere su entrambi i versanti anche attraverso le cosiddette piattaforme digitali di prossimità.

Quinto pilastro è non dimenticare che al centro dobbiamo sempre mantenere le relazioni e i legami sociali insieme alle persone che le interpretano e le esprimono. Senza questo non esiste nessun processo di sviluppo di comunità, ma, invece, una ingegnerizzazione sociale della quale abbiamo già visto i danni nel passato.

Infine, è bene ricordare che siamo sempre all’interno di processi sociali e non di obiettivi/progetti dove non possiamo/vogliamo/dobbiamo sapere gli esiti finali e le tempistiche. Processi che, come suggeriva Freire, partono dal basso per creare consapevolezza e coscientizzazione nelle comunità che poi, se vorranno, potranno prendere il proprio destino nelle loro mani.

Non esiste una ricetta precostituita per poter seguire un approccio di questo tipo, ma, piuttosto, uno sguardo lungo sulle persone e sulle comunità che tenga conto della complessità, possegga capacità e competenze molto ampie sui processi partecipativi e la loro facilitazione, sulla costruzione e il mantenimento delle relazioni e della fiducia, sull’affiancamento (e non la sostituzione) alle persone, sulla comunicazione on e off line e sullo storytelling, sul funzionamento delle istituzioni e sui processi decisionali, sulle azioni di rete e abbia, infine, la prospettiva fondamentale di stare in secondo piano rispetto alle persone e alle comunità.

Una visione di insieme che si pone come processo circolare per la costruzione di capitale sociale ed empowerment, elementi fondati per la definizione di un modello di sviluppo realmente condiviso dalla comunità.

 

Quale ruolo degli Ets e degli attori sociali

In tale ottica è possibile immaginare l’effettivo coinvolgimento di tutti gli attori sociali presenti sul territorio, ivi compresi gli attori istituzionali, anch’essi parte integrante della comunità, e non solo elementi di governo o peggio severi burocrati controllori. Utilizzando al meglio gli strumenti di cui all’art.55 del CTS, il terzo settore potrà fungere da mediatore, da anello di congiunzione, da ponte di collegamento tra le istituzioni e gli stessi cittadini.

Gli Ets, infatti, dispongono di una specificità che è unica rispetto tutti gli altri attori sociali. Pur non essendo pubblica amministrazione, svolgono comunque una funzione pubblica nell’interesse generale, e pur non essendo cittadini o aziende a fini di lucro, si muovono comunque nel campo della soggettività privatistica. Tali caratteristiche fanno del mondo del terzo settore un soggetto unico, che ha in sé le potenzialità per divenire l’humus su cui far crescere processi virtuosi di cambiamento e innovazione sociale.

A tal fine è necessario uscire dai consueti schemi che vedono le organizzazioni del terzo settore schiacciate sulla dimensione del fare, che troppo spesso ha determinato processi tesi alla mera auto-riproduzione delle attività storicamente svolte, accentuando invece, e possibilmente implementando, quella dimensione “politica” che peraltro è propria delle origini dell’associazionismo, soprattutto del volontariato.

È in tale dimensione, infatti, che si sviluppa la visione d’insieme comunitaria e che si restituisce il senso all’agire degli ETS.

Ripartire dalle comunità, quindi, non significa pensarle come nuova possibilità di attività, ma quali reali protagoniste del proprio processo di sviluppo, all’interno del quale gli ETS sono mezzi al fine, e non viceversa. Non è sufficiente utilizzare il termine “comunità” per operare realmente all’interno di un approccio comunitario. È invece necessario credere fortemente nella forza propulsiva e innovatrice del capitale sociale e nella capacità moltiplicativa di risorse che i processi partecipativi, reali e non meramente figurati, possono dispiegare.

Le interazioni tra gli attori sociali di una comunità, il reticolo di solidarietà e reciprocità che si forma tra cittadini, corpi intermedi e istituzioni, è motore di processi evolutivi importanti e duraturi.

Investire nelle relazioni comunitarie è oggi un percorso rivoluzionario, prima di tutto culturale, inteso come cambiamento radicale del modo di intendere e pensare il territorio. Un approccio in netta controtendenza con le spinte individualistiche e auto-riproduttive di un modello di società introversa, chiusa su posizioni difensive determinate da una paura indotta verso la diversità e quindi genericamente verso l’altro, inteso in senso lato come qualsiasi cosa al di fuori della mia persona, della mia famiglia, della mia cerchia ristretta, e purtroppo, anche della mia organizzazione, partito politico, religione.

I modelli di sviluppo territoriale che partono da tali presupposti, senza un preventivo investimento sulle relazioni comunitarie, per quanto “tecnicamente” ineccepibili, rimangono sempre il frutto di mediazioni al ribasso tra posizioni pregiudiziali e inconciliabili, risolvendosi spesso in processi parziali e incompleti, se non in veri e propri fallimenti.

Invece è proprio dal bisogno primario e innato di relazioni che occorre partire per ripensare filosofia e metodo dell’agire comunitario.

In questo modo una diversa idea di sviluppo forse potrà prendere davvero corpo e sostanza nelle nostre comunità.

di Andrea Volterrani, ricercatore e docente all’Università di Roma Tor Vergata.

Per FQTS: 

per approfondire

Freire P. (2018), Pedagogia degli oppressi, EGA, Torino

Squillaci L., Volterrani A. (2021), Lo sviluppo sociale delle comunità. Come il terzo settore può rendere protagoniste, partecipative e coese le comunità territoriali, Fausto Lupetti Editore, Bologna

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...