Riposizionare la tensione tra sociale e politico


Il campo sociale è frammentato in una pluralità di domande particolari. L’operazione comune attuale è cercare tante singole risposte. E allearsi con la politica «amica» per suggerirle e concordarle.

L’operazione necessaria oggi, invece, ci pare aggregare le domande particolari in un discorso complessivo. Il campo delle domande è il sociale. Organizzare un discorso è strutturare il discorso sociale da proporre al politico. In questo senso, il sociale non è prepolitico, è già politico, ma di diverso segno. È una tensione ciò che intercorre tra sociale e politico, non una progressione evolutiva. Eliminare la tensione elimina il processo. Il politico mira all’impossibile, alla costruzione di una società ordinata e perfetta che, se esistesse, abolirebbe nei fatti il sociale [Laclau, 2018]. Il sociale non è compatto e ordinato, è fatto di contrapposizione, fratture, negatività e, soprattutto, di tante, tantissime, specificità e particolarità.

Il primo passaggio, che viene dal sociale, è quindi riconoscere e fare emergere le domande sociali. Il secondo, che viene dal politico, è cercare di organizzare la risposta a quelle domande. Per fare entrambi i passaggi c’è bisogno di aggregare le domande singole in un fronte comune, che è un punto di divisione tra noi e loro. Il conflitto noi/loro è costitutivo. Oggi è evidente in diverse fratture che viviamo e che attraversano il nostro stare assieme. Più tendiamo a volerle risanare e ricomporre, più ci sembra che ricompaiano accentuate. Il conflitto è di per sé ineliminabile. Solo attraversandolo in maniera consapevole si può trasformarlo costruendo aspetti (sempre incompiuti) di comunità e restituendo al sociale il ruolo proprio e specifico di rendere le domande sociali emergenti, visibili, dicibili e prendibili.

C’è un ruolo sociale da assumere che è quello di aiutare a organizzare discorsi con le domande sociali che emergono. È qualcosa di differente dal rappresentare (cosa che richiede sempre la delega di qualcuno a essere rappresentato). È qualcosa che ha a che fare con la capacità di vedere e ascoltare e con la capacità di non fare storytelling (narrazione da fuori) ma discorso (conversazione da dentro). Ha anche a che fare con la capacità di rischiare una proposta che raccoglie e organizza ciò che si è ascoltato all’interno di un discorso. Un discorso che non teme, anzi ricerca sconfessione, confutazione, integrazione e che, attraverso questa, si modifica e trasforma continuamente.

Viviamo in un tempo in cui le domande sociali non si aggregano più in significati politici. E in cui lo spazio politico non si scompone più in domande sociali chiare. Manca il dialogo. Manca il discorso.

Ogni discorso si organizza cercando di trovare un centro. Ma costruire il centro non è cercare il punto mediano del discorso tra due estremi. È, caso mai, tentare di spostare il campo di gioco, stabilire quali siano le questioni centrali, influire per certi versi sul processo di costruzione dell’agenda politica. Fare emergere i punti nodali tra le molteplici domande sociali.

Tra il campo sociale e il campo politico va recuperata una tensione che è costitutiva della democrazia. Se questa tensione non attraversa questo campo, resta all’interno del campo sociale. E il nemico, pur simbolico o sublimato, diventa il mio vicino. L’altro da me. Se oggi, in tempo di caduta di tutte le ideologie, lasciamo al politico la funzione di organizzare le domande, lasciamo anche che sia lui a indicarci con chi entrare in conflitto. Possiamo sicuramente e con convinzione riconoscere i limiti della politica (e dei partiti che oggi la incarnano), ma non possiamo non riconoscere che ciò che manca prioritariamente oggi è il passaggio del sociale. Manca la capacità di organizzare un discorso e manca il coraggio di proporlo. 

Annullare la tensione tra sociale e politico vuol dire lasciare intatto il sistema e portare il conflitto all’interno della società. Non si deve rinunciare alla dimensione politica del sociale. Anzi, il contrario. Si tratta di esprimerla pienamente e autonomamente. «Se vincevi te, io non sarei più stato dalla tua», scriveva don Milani nella lettera a Pipetta [Milani, 1950].

(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...