Con postura territoriale




La globalizzazione accresce il rilievo della dimensione locale. Viviamo in un’epoca che è contemporaneamente delocalizzazione (spostamento in un altrove indefinito, a volte smaterializzazione) e ri-territorializzazione. 

Se diciamo che lo spazio in cui viviamo influisce su di noi, stiamo dicendo che abbiamo la necessità di trasformare gli spazi, anche quelli pubblici, per il nostro benessere. E stiamo dicendo che la costruzione di un popolo (o di una comunità) non può che avvenire in un «dove», perché il dove è il luogo in cui l’esperienza si forma e nel quale il pensiero «atterra» e dove, potenzialmente, il dialogo tra diversi può comporsi.

Animazione di comunità per noi, quindi, significa agire in dimensioni prendibili per la persona: tipicamente il quartiere o il paese (ma potrebbe anche essere una dimensione più ridotta). Dimensioni non istituzionali, che abbiano connotati in qualche modo identitari e che producano senso di appartenenza (può essere il rione, difficilmente è il municipio). Perché il centro non è la rigenerazione degli spazi, ma il modo in cui le persone li abitano e attraversano.

Pur sapendo che la dimensione territoriale non è più unica per ciascuno. Ciascuno viene da, si sposta attraverso, e vive online e offline. Ciascuno abita contemporaneamente più territori, partecipa contemporaneamente a più «pubblici». E questa complessità è ineliminabile. Affrontarla però non vuol dire virare a un’astrazione neutra ma assumere una visione policentrica. Se si dovesse progettare lo stile democratico di vita nella forma di uno spartito musicale, il suo maggior tema sarebbe l’armonia della dissonanza [Alinsky, 1971].


(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...