Andare a Leopoli: Just Lviv it! (3 di 5)




Just Lviv it! 

 

Just Lviv it! Lo slogan di una delle guide turistiche della città. Vivi Lviv. Sembra uno slogan paradossale oggi. Eppure è il più azzeccato. Lviv, come i suoi abitanti, non ci stanno ad essere rinchiusi nell'identità di paese in guerra. Nell'identità di vittima inerme. Lviv è una città che resiste. Ma è anche una città bella, moderna, europea. il suo centro è Patrimonio dell'Unesco. Nel libro che ci hanno regalato ci sono Francesco Giuseppe e il re Danilo, ma anche Martin Buber, i raduni hippies degli anni 60 ed i gruppi rock. In giro ci sono grandi magazzini "come da noi", ci sono pub e birrerie "come da noi" e ragazzini nei parchi con gli skate "come da noi". La gente ha instagram e facebook, va in vacanza all'estero, lavora, prenota i taxi con le app e si costruisce una vita. E' il "come da noi" probabilmente che ci sconquassa l'emotività e ci fa reagire così collettivamente in Italia oggi. In modo più forte di tante altre volte, sentiamo che la guerra non è una eventualità impossibile, anche per noi. Tutte le nostre certezze potrebbero svanire, da un momento all'altro. C'è un fondo di razzismo o di egoismo in questo mobilitarsi estremo. Fatichiamo ad immedesimarci nelle tragedie di chi ha la pelle di un altro colore, di chi viene da culture e storie diverse. Ma non la guarderei in negativo. Nessuno si può seriamente immedesimare in tutti. Nessuno può avere a cuore allo stesso modo tutto ciò che accade nel mondo. Se qualcuno, con questa guerra, ha incontrato la possibilità di sentirsi umanamente e profondamente scosso per la tragedia di un altro, questo è cosa buona. Intanto, me lo appunto, Lviv è decisamente un luogo da tornare a visitare, appena finisce la guerra. 

 

Comprendere

 

Le cose si conoscono realmente per esperienza, per relazione, non per astrazione. Incontrare persone, ascoltare storie, visitare posti serve ad attivare una comprensione diversa. Non vuol dire cambiare idea: più di qui o più di là, in un moto orizzontale. Diversa vuol dire una comprensione più profonda, che va, almeno di poco, oltre la superficie. Una comprensione nè solo cognitiva, nè solo emotiva. Una comprensione relazionale, umana. Due giorni in un luogo sono assolutamente troppo pochi. E sono tanti i posti dove servirebbero almeno due giorni, per comprendere questa guerra nel suo insieme. Ma un viaggio così, con gli incontri che contiene, è assolutamente sufficiente ad attivare un processo di comprensione che, pur essendo parzialissimo, è totalmente altro da quella prima di partire. Oggi, dopo il viaggio, "sento" un po' di più ciò che sta accadendo. Non comprendo, ma “intuisco” un po' di più. Ad esempio, intuisco qualcosa del modo compatto ed orgoglioso con cui l'Ucraina sta reagendo all'aggressione Russa. Vedere, sentire, intuire, però, non è indolore. E ci sono due domande che hanno bisogno di trovare un equilibrio: come fermare questo scempio? Come evitare che si propaghi? La seconda non è egoismo. È la prosecuzione della prima. 

 

Ciò che accade ora, si riallaccia a ciò che è già accaduto. Come sempre, nella storia, tra l'altro. Che noi lo sappiamo o no. Si riallaccia al 2014 ma anche agli anni 40 e agli anni 30. Lviv non è tutta l'Ucraina. Lviv non è il Donbas e non è Odessa. Solo per nominare le storie che abbiamo incontrato. (Il grazie più frequente da un lato del furgone era “spassiba” anche se la lingua era l'ucraino. Per dire). Ma il sentimento antisovietico di Lviv di oggi non è qualcosa di moderno o di indotto dall'esterno. E, se anche ci fosse un tentativo di induzione esterna, questa si aggancerebbe in profondità a vicende e dinamiche interne. 

 

La bandiera che sventola sui ceck point pronti ad essere attivati di fronte ad ogni minimo paesino (con cavalli di frisia, sacchi di sabbia e filo spinato e cumuli di molotov) non è solo quella Ucraina (gialla e blu) ma anche quella rossa e nera. Bandiera della resistenza, la chiamano. Indicando con quella parola sia la resistenza di oggi che i moti insurrezionali degli anni 40 (da cui quella bandiera è presa). Moti nazionalisti che avevano come obiettivo l'indipendenza dell'Ucraina dalla Russia. L'hanno detto anche loro, raccontando, è un'esperienza controversa quella di quei moti e del suo leader, Stephan Bandera. Perchè, pur di riuscire a separarsi dalla Russia, si alleò con Hitler, combattendolo in seguito. Ma la sua faccia campeggia oggi sulle vetrine dei negozi assieme ad altri eroi nazionali ed è la sua bandiera a sventolare. E’ anche questo, forse, che fa girare l’associazione tra Ucraini e nazisti. Ma “qui Hitler non è mai stato un’esperienza, non è mai stato un mito per nessuno, più probabile, semmai, che qualcuno abbia ancora in casa un quadro di Stalin, perché c’è sempre chi, contro tutti e tutto, ha nostalgia del passato” dice qualcuno.  E poi “Di cosa sarebbe fatto il nazismo oggi?” aggiunge qualcun altro “abbiamo un presidente ebreo e da noi le manifestazioni del gay pride non sono vietate, prova a vedere a Mosca se è così”. L’impressione più netta è che, realmente, vocaboli e concetti del secolo scorso non ci aiutino più a comprendere un presente che sta cambiando forma. 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

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