Andare a Leopoli: Altrove... (5 di 5)


Altrove

 

I primi profughi li ho incontrati in un campo in Slovenia, ed erano bosniaci per lo più musulmani, con qualche cristiano. Erano sfollati, senza quasi niente. Ma avevano uno spazio, piccolo e provvisorio, in cui ci potevano invitare a sederci sui loro materassi per bere caffè e a scambiare due chiacchiere in quel grammelot di lingue in cui conta soprattutto l'intenzione. Poi alcuni di loro li ho visti venire in Italia, partecipare a scambi, vivere esperienze, alcuni sistemarsi, sposarsi, rifarsi una vita. 

 

Dopo ci sono stati i kosovari nei campi del nord Albania. E' stato un esilio durato poco. C'erano anche gli uomini e sono stati loro a decidere quando e come tornare. Noi li abbiamo seguiti, aiutandoli ad organizzare camion e pullman. Quando l'UNHCR diceva che non era ancora il momento. Ma loro sapevano che il tempo era giusto, se volevano rifare tutto entro la neve. Eravamo in macchina assieme, quando abbiamo attraversato la linea di confine rientrando. Ed è stato un urlo, liberatorio "Freedom!!!". In inglese e connettendo l'idea di casa a quella di libertà.  Ho visto la ricostruzione e le mille contraddizioni di un Paese inondando dalla presenza straniera. E mille volte ed in mille modi sono stati loro, gli ex profughi rientrati, a prendersi cura di me con attenzioni che io non so avere per nessuno. 

 

Poi i ragazzi in comunità. Scappati da terre oltre mare, più a sud. Con viaggi lunghi, alle spalle e sulla pelle. Senza nemmeno la compagnia di una fuga di massa. Senza l'emotività collettiva a favore. Pagando per passaggi scomodi da trafficanti violenti o indifferenti. Giovani, oltre misura, per affrontare tutto questo. L'accoglienza, dopo, per loro è stata spesso una cosa che somigliava ad una ingiustizia. Le regole, la comunità, gli adulti.  Difficile educare qualcuno senza costruire un rapporto affettivo reale. La ragnatela burocratica troppo spesso ha preso il sopravvento. E loro a scappare, di tanto in tanto, o a guizzare fuori al compleanno della maggiore età. Più liberi che soli. Più soli che liberi. Paradossalmente. Contemporaneamente. 

 

In questo viaggio è capitato di vivere un altro momento. Quello in cui, dopo essere uscito dal Paese, mosso dall'urgenza e dal pericolo, prendi un mezzo per andare altrove. Altrove è lontano da casa. Vuol dire che sai che, almeno per un po' ma forse per sempre, non tornerai. E che non sai nemmeno se, quando tutto finirà, la tua casa sarà ancora nel tuo paese, o se sarà collocata in terra nemica. Altrove, non conta dove o con chi. Conta il fatto che stai facendo una scommessa sulla vita, che stai trovando l'energia per ricominciare tutto da capo. Lo fai per te stesso? Per i figli? Per la vita? Non c'è una organizzazione dei flussi. C'è un caos totale e modalità formali e informali che si intersecano pericolosamente. In mezzo a tutto questo, ci sono persone che scelgono con coraggio di non arrendersi e di salvarsi. 

 

I profughi sono la parte più straziante della guerra, per me. 

Ma forse sono anche la parte più comprensibile. Il filo da seguire, per essere il qualcuno per qualcuno sono le persone e loro lo rendono più evidente. 

A loro e a chi resta auguro che la vita continui. L’ho visto, può accadere. 

A noi di essere all’ altezza nell’accogliere. 

 

Zagajewski, poeta polacco è nato a Lviv, quando Lviv era Polonia. 

 

Andare a Leopoli.

Da che stazione per Leopoli, 

se non in sogno all’alba, 

quando la rugiada luccica su una valigia.

quando i treni espressi e rapidi nascono.

Partire in fretta per Leopoli, di notte o di giorno, in settembre o a marzo. 

 

E c'era troppa Leopoli,

non ci stava nei recipienti

faceva scoppiare i bicchieri, 

straripava da stagni e laghi,

fumava da ogni camino,

si mutava in fuoco, in temporale,

rideva col fulmine, diventava docile,

tornava a casa, leggeva il Nuovo Testamento,

dormiva sul divano accanto al tappeto dei Carpazi,

c'era troppa Leopoli e ora non ce n'è più,

e la cattedrale tremava, la gente le diceva addio

senza fazzoletti, niente lacrime, 

la bocca così secca, 

non ti vedrò mai più, 

così tanta morte ci attende

perchè ogni città deve diventare Gerusalemme e ogni uomo un ebreo,

e ora, in fretta, soltanto fare le valigie, sempre, ogni giorno

e andare senza fiato, andare a Leopoli,

dopotutto esiste,

calma e pura come una pesca. 

È ovunque. 

 

Chissà, tra 20, 30 o 50 anni, Leopoli e tutto il nostro mondo dove sarà e come sarà. 

Intanto, Leopoli è ovunque. Ed ovunque c’è la possibilità di essere qualcuno per qualcuno.

 

Appunti di viaggio. Pensieri provvisori. 

 

 

 

 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...