Non prendetevela con i singoli, lavorate perchè nascano nuove gruppalità


Premessa: finalmente i circoli! 

Finalmente ce l’ho fatta. A far cosa? Io sono 25 anni che giro in ambito Acli. Dopo un bellissimo tentativo con Achille Tagliaferri sugli animatori, ho continuato a venire a fare degli incontri e a girarci attorno. Poi, finalmente, dopo 25 anni sono venuto al dunque. Sono arrivato ad incontrare i circoli!

Quello che mi piace di voi è che alcuni di voi sono rimasti nella pancia delle comunità locali. Cioè, non sono usciti dai territori. Man mano che i territori si evolvevano, sono rimasti lì. Sono stati, in tanti casi, luoghi di resistenza culturale e sociale. Luoghi in cui qualcuno si è anche sentito abbandonato dai livelli superiori (non a torto). Quello che mi interessa è che voi siete rimasti nella pancia delle comunità, dove si colgono le gioie e i dolori del popolo. Voi siete rimasti lì. Il mio intento, molti anni fa, era arrivare ai circoli. Oggi sono soddisfatto perché ci sono arrivato. 

Al funerale di don Ellena, ad un certo punto Franco Garelli, mi si avvicina e dice: dopo Ciotti, deve parlare Giovanni Bianchi. Io vado da Giovanni Bianchi e dico: tocca a te. Perché Giovanni Bianchi è cofondatore di Animazione sociale. E Giovanni ha raccontato una cosa che non dimenticherò. Giovanni ha detto: Siamo nel 68. Milano è piena di movimenti più o meno rivoluzionari. E il gruppo di Animazione Sociale si è fermato a dire: noi cosa facciamo? Decisione: noi non andremo sulle barricate. Noi rimarremo nelle retrovie a formare gruppalità nei territori. I circoli sono esperienze di gruppalità. Luoghi generativi delle energie. Per cui grazie di invito.  

Non esiste situazione in cui non siano presenti reticoli sotterranei vitali

Da dove partire… partirei da un’idea. La dico così: in botanica esistono dei funghi, che stanno sottoterra, che collegano il bosco. Se uccidi quei funghi, il bosco muore. Quei funghi preparano il pranzo alle piante. Senza quei funghi le piante non riuscirebbero ad assumere i nutrienti. Tutto: i minerali, l’acqua, gli altri nutrienti, vengono filtrati attraverso immensi reticoli sotterranei, che sono la mente pensante del bosco. Loro orientano la vegetazione in superficie. “Non andate di là, perché lì non c’è acqua” “Attenzione di lì, che ci sono piante nemiche” “State alla larga da…”. Esiste, sotto terra, nei reticoli, molto vicini al terreno, molto vicini alla vita di tutti  i giorni, un luogo entro cui si inventa il governo del bosco. 

Noi sosteniamo che i reticoli sotterranei, formati da cittadini che nella vita quotidiana si ritrovano, pensano, organizzano la scuola per i figli degli immigrati, raccolgono soldi per una causa… noi sosteniamo che questo sommovimento sotterraneo è qualcosa che sta avvenendo anche oggi. O i circoli si lasciano nutrire da questi reticoli sotterranei o non hanno energia per crescere.  

Sapendo che i reticoli sono i produttori di vita, sono quelli che trasformano i minerali, che danno energia, che permettono la vita, sappiamo che questi reticoli sono per noi importanti. Sono importanti perché sono quelli che in questo momento storico stanno digerendo la crisi. La stanno masticando, la stanno rielaborando. Per questo lavoro di masticazione e digestione sono in grado di restituire energie. 

Cosa è questo tempo? Perché così tanta rabbia?

Dice Miguel Benasayag, quando mio figlio mi ha chiesto: Hai ucciso qualcuno? Lui ha risposto: quando ci attaccavano, ci difendevamo. (Adesso sono un po’ sconvolto dalle vicende del sud America. E’ tragedia. Il sandinismo sta diventando dittatura. Era rivoluzione…) Miguel Benasayag dice: non c’è alcun posto, nella crisi attuale, anche nel quartiere più desolato, anche nel posto più estremo, dove non stiano nascendo nuovi organismi viventi che, partendo dal dentro delle vicende del tempo, masticano e rimescolano queste vicende, e ne escono con intuizioni generative di futuro.

Cosa è questo tempo? Questo è il tempo dei casini… (che poi, non ho mai pensato che la rivoluzione francese fosse un bel tempo, o che si stesse meglio al tempo dell’albero degli zoccoli o che nel 68 si vivesse bene e sereni. Non elogiamo il passato… ) ma, oggi cosa sta succedendo? Sta succedendo che parte di questi reticoli sta morendo. Alcuni ceppi ce la stanno facendo a generare nuove energie. Altri no. La crisi è seria. Melucci (oggi quanto ci menca un Melucci che interpreti cosa sta succedendo in profondità!) diceva che si sta riaprendo la forbice tra ricchi e poveri. (E lo diceva 25 anni fa’! Oggi è più grave). E si sta riaprendo la forbice tra chi non comprende più in che mondo sta vivendo, chi è del tutto disorientato e chi ce la sta facendo a comprendere. Chi non comprende, la prima cosa che fa è andare in agitazione. Innervosirsi, arrabbiarsi, possiamo dirlo… incazzarsi! Chi non riesce a comprendere è talmente disorientato da non riuscire a controllare le emozioni pesanti.Lo vediamo. Da dove nasce tutto questo malessere, tutta questa rabbia, tutta questa aggressività?

Ma, attenzione, è più esposto alla crisi chi è da solo, chi non vive esperienze di gruppalità. Se tu non fai parte di una qualche gruppalità un po’ pensante, un po’ conviviale, che beve barbera, che gioca a carte, che ama la discussione, che prova a fare assieme… se non hai un’esperienza di gruppalità cadi un dramma. E’ così. Da sempre. L’esperienza gruppale ha questa funzione: controllare la parte distruttiva che c’è dentro di noi. Contenerla. Il rigurgito di distruttività sta riemergendo perché la crisi ha colpito le gruppalità. Non prendetevela con i singoli. Nemmeno quando ne vedete l’atteggiamento di distruttività. Non prendetevela con i singoli. Fino a che non intravedete le storie di fatica che sono in lui. Non giudicate i singoli.

A quel punto, cosa potete fare? Lavorate perché nascano nuove gruppalità. 

Che contengano l’aggressività delle persone. Anche in famiglia. Anche la famiglia è una forma di gruppalità. Ed è in grado di assorbire, contenere, rielaborare l’aggressività. Ma se la famiglia va in crisi, se la famiglia non regge più, l’aggressività esplode anche nella famiglia…Se la gruppalità non funziona non emerge la forza creativa e generativa. La creatività e la generatività emergono solo dove c’è un’esperienza di gruppalità vaccinata dalla crisi presente. Una esperienza che è stata toccata dalla crisi. Nella carne. Ma che non si è fatta crescere il pelo sullo stomaco. Che resiste. 

Qui si trova il terreno per dire un altro paio di cose importanti: la gente sta soffrendo. Più di quello che non voglia dire. C’è gente che si sta disfacendo, non solo perché non trova lavoro e sussistenza, anche perché non trova esperienze in cui buttarsi. Non trova luoghi. Non trova senso. Non trova direzioni. Non si può non vedere il dolore della gente. Non si può restare indifferenti.Una delle fonti della crisi è che anche le parrocchie stanno morendo. E gli anziani diventano acidi perché non hanno più nemmeno un luogo dove andare a giocare a carte. Perché giocando a carte, stando con gli altri, ed esorcizzando la morte, che ci appartiene, uno impara a resistere nel vivere. Sono queste le cose che dobbiamo andare a ripensare. Se manca la socialità di base nei territori, l’individuo, abbandonato a se stesso, non diventa più progettuale, creativo. E semplicemente si arrende a ciò che succede. 

Noi che facciamo in tutto questo? Se siamo fuori dal tempo, semplicemente continuiamo a fare ciò che facevamo.Ma voi non siete fuori dal tempo, voi siete nella pancia dei territori. Questo vi appartiene. E’ oggetto del vostro essere Acli. Perché voi avete fatto i circoli? Per costruire gruppalità dentro i territori. 

La partita al buio: nessuno sa quale è la sua domanda fino a che non ha trovato una risposta

Qui entra un’altra metafora. Notte nera, Africa nera, giocatori neri. Siamo stati invitati tutti a vedere una partita. Ma diventa sera, diventa buio. Nessuno accende nessuna luce. Non si vede niente. Fino a che, piano piano, non si intravvede qualcosa che comincia a illuminarsi nel campo. E lentamente anche le luci continuano a crescere di intensità. Perché in campo, anche se inizialmente non si vedevano, c’erano dei ragazzi che si allenavano. E cominciano a correre per scaldarsi. E correndo producono energia cinetica che quel campo sportivo è in grado di trasformare in energia elettrica. Comincia la partita. E finalmente tutti la vedono. La partita sul campo è possibile perché i ragazzi corrono. Ma la possibilità della partita di essere giocata dipende anche da una serie di altri dispostivi: 
-      Siamo in una scuola. Dunque  in uno spazio organizzato, che ha il campo sportivo, che ha l’erba sul campo. Che l’ha messo a disposizione…
-      Ci sono degli scienziati che hanno montato le luci, abbinandole a pannelli solari e as un sistema che è in grado di trasformare l’energia prodotta sul campo. 
-      Ci sono i ragazzi. Che sono i veri produttori di energia. 
Ma la produzione di energia dipende da tutti. Dalla scuola, dal pubblico, dall’allenatore, dagli scienziati… non è che i ragazzi arrivano (ma vale anche per gli adulti) perché hanno delle domande da porci. I ragazzi, gli adulti, le persone arrivano se noi siamo in grado di organizzare una partita. Se creiamo quei dispositivi, quelle esperienze, che permettono alla gente di mettersi in gioco e di giocare la partita. Giocarla al punto di fare rendersi conto di essere in grado di produrre energie. Loro sono i produttori. Ma serve il dispositivo. Noi crediamo che la gente abbia molte energie, molte domande, ma ha anche bisogno di una proposta vera e profonda. Ha anche bisogno di qualcuno che li aiuti a giocare la partita. Le Acli per me sono questo tipo di progetto dentro il territorio. Sono coloro che permettono di giocare la partita.  
Se voi non riuscite a far giocare qualche partita (non solo a carte, qualsiasi tipo di partita…) la gente non saprà mai di che domanda è portatrice. E non saprà mai di essere risorsa. Le risorse non esistono fino a che voi non riuscite a metterle al lavoro perché si generino. Voi siete l’organizzazione capace di mettere la gente al lavoro sui territori. Questo è il vostro mestiere. Altrimenti, se non fate questo, potete solo lamentarvi del fatto che la gente non c’è, che non viene, che siete in pochi…

Non è una partita neutra

Vanno messe in campo le grandi intuizioni, il grande patrimonio culturale delle Acli. Non è una partita neutra. La gente ha bisogno che qualcuno faccia delle proposte. Che qualcuno abbia il coraggio di rilanciare. Lo sappiamo che avete molte fatiche. Ma si può fare. A questo punto qui, si devono riscoprire le 4-5 intuizioni fondamentali che danno alle Acli il diritto e dovere di dare la possibilità alla gente di partecipare. La proposta Acli oggi è in grado di essere quella offerta che provoca il mettersi insieme per fare le cose? E’ in grado di essere quella cosa che fa dire alle persone: ecco quello che stavo cercando! Fino a che non mi avete fatto sperimentare le mie domande, non le capivo. Ora che sperimento cose concrete, fatte e pensate assieme, ora so dove voglio andare. Ora so che progetto sto provando a perseguire.

Sto dicendo di non essere solo animatori, ma di essere animatori Acli. Il carisma nasce da gente che a suo tempo si è vaccinata dalle crisi, che altri hanno tramandato, e che voi provate a riprendere. Se no, vi accodate al partito del lamento. Separandovi dal valore Acli, facendo qualcosa di neutro, non andate da nessuna parte. In questo momento si chiede alle Acli di giocare da capo alcune intuizioni. Di fare provocazioni. C’è bisogno di una cosa che avevamo dimenticato. Che ci vogliono, da capo, dei luoghi. 

I luoghi

I luoghi, in questo momento storico di solitudine, ci vogliono luoghi dove i cittadini possano entrare, senza essere giudicati. In cui possono accedere liberamente, con o senza tesserino. Dove possono portare dentro le loro cose. Io ho lavorato a lungo in lungo e largo facendo convegni sulle case di quartiere. Le case di quartiere, una sorta di oratorio laico, aperto dal comune, con personale del comune, con un ordine preciso: non dovete organizzare niente. Ma essere così ospitali che la gente si porti qui la propria cosa da fare. Ognuno deve sapere che può portar dentro ciò che vuole. 

Ci sono lavori incredibili in certe case di quartiere. C’è stato un lavoro sulla musica incredibile. Un lavoro che non è pagato da nessuno. E’ partecipato da chi dice: se si tratta del nostro quartiere, noi ci stiamo. In queste case di quartiere ci sono uomini e donne che chiamiamo animatori, educatori, che non fanno loro, che non si sostituiscono, ma creano un humus in cui ognuno sente che può esercitare la propria responsabilità. Non è un luogo iper-organizzato. C’è un gruppo che vuole suonare musica? Viene. Chi c’è vuole fare cucina? Bene. Chi è dentro si mette a servizio delle idee del territorio. 

Ma prima, per fare questo, prima si va a girare ben bene il quartiere. Per annusare cosa bolle. Per iniziare a giocare all’interno della domanda-proposta. Perchè dovrei venire da voi? C’è tutto un mettersi a servizio dello sviluppo di un luogo. Lo sviluppo di un luogo non si fa stando dentro quel luogo. Si fa andando fuori. In giro. Ad usmare. Ad ascoltare. Ad attraversare. A toccare.

La gente ha bisogno di simboli. Che la richiami fortemente. Ieri eravamo 150 persone. C’era la presidente nazionale delle biblioteche pubbliche. Io le dico: voi e noi, facciamo assieme un momento su 100 biblioteche sociali. Lei risponde: entro quando? Lei aveva una domanda, la mia provocazione ha permesso a lei di tirarla fuori. Ci stiamo! Adesso bisogna coltivarla. 

Voi capite che chi governa un processo di costruzione di questa cosa sono persone che in qualche modo devono girare il territorio, per veder chi è in grado di potare cose a quel territorio. Allora bisogna essere ricercatori di talenti territoriali. Magari il talento è il talento della tarantella. Magari di altri tipi di giochi di carte. Non importa. Quel che è importante è che la gente sperimenti di avere un luogo simbolico, dove poter organizzare elle cose e viverle sentendosi quartiere. 

La cascina rocca franca vede passare migliaia di persone alla settimana. Chi teatro, chi musica, gli immigrati, i genitori, i giovani, poi un convegno su allattare i bambini… è un grande laboratorio culturale. Ma le idee vengono dal territorio. Abbiamo pensato che il luogo doveva essere il luogo delle botteghe dei cittadini. Questo ha permesso di sviluppare e rendere più leggero l’intero quartiere. Si tratta si scoprire chi sono i gruppi, le reti nascenti, gli organismi, e che intorno all’ambiente, all’ecologia, al cibo, al consumare, all’organizzare, al teatro, a qualcosa di artistico si stanno già muovendo. 

I territori sono più generatori di risorse informali nascenti di quel che si potrebbe essere. E sono tutti gruppi che nell’insieme, sono un po’ tutti artigiani, un po’ tutti partigiani. Un po’ sconclusionati. Un po’ ognuno per sé. Ma le cose stanno cambiando. Questa generazione sta scoprendo il co- cioè sta scoprendo che non se ne esce dai casini restando rintanati. Solo con il co-cooperare, co-involgersi, solo così si dà ragione a Don Milano. Sortirne da soli è avarizia. C’è avarizia in giro? Si! Ma è vero che tanti si stanno svegliando. E’ vero che dai problemi si può uscire solo insieme. Il ritorno dell’insieme e alla gruppalità è il ritorno dell’investire gli uni sul successo degli altri. E questo torna ad essere una intuizione anche politica se volete, se per politica intendete produrre beni comuni per la polis.

Cosa succederà nei circoli?

Siete i mediatori del co-. Solo se frequentate la micro-gruppalità potrete riempire i circoli. Cosa succederà nei circoli? Che attività farete? Come fate a saperlo? Non è possibile. Non esiste uno schema. Non si vive con idee precise. Portare dentro risorse e fare spazio a risorse. Sarà un grande bollitore, di cosa? Non sapete di cosa, ma sapete che in questo momento l’esigenza è di  avere luoghi. Luoghi dove ritrovarsi e potersi esprimere. Dove ritrovare una forma di coordinamento tra tutti i mondi che nascono. Luogo di coordinamento simbolico. Non luogo di burocrazia. Luogo simbolico. Ed essendo luogo simbolico è in grado di essere riferimento per il territorio. Questo è il vostro mestiere.

Oggi non è il tempo della parola. E’ il tempo dell’esperienza

C’è un problema. Che oggi non c’è più il ricorso alla parola come prima forma di linguaggio. I nostri anni, erano gli anni della parola, delle grandi discussioni, della discussione sui massimi sistemi. Ancora 20 anni fa, i miei figli piccoli, in montagna, con la barbera buona, tra 10 amici, di mondi diversi, assistevano a discussioni favolose. I ragazzi ci guardavano e a volte erano spaventati. Invece noi continuavamo a discutere e a bere barbera. I ragazzi hanno imparato dal fatto di vedere adulti discutere animatamente e continuare a bere barbera. Discutevamo davvero. C’era gente qualificata. Era bellissimo… Però oggi non è il tempo della parola. Se chiedete alla gente di parlare dice… boh. L’impotenza della parola è sotto i nostri occhi. 

Quale è la possibilità? Iniziare a fare. Riscoprire la possibilità di fare. Fosse anche una partita a carte. Intanto bisogna stare insieme per giocare a carte. Se no è il solitario. Ma già il solitario, fatto al circolo e non a casa, è già un inizio. Il circolo di base di una volta non è del tutto da buttare via. Dobbiamo recuperare gli elementi dello stare assieme nella vita quotidiana. Ma si può passare molto dal fare. Provare ad organizzare molto delle attività di tipo artistico. Artistico vuol dire teatro, musica, danze popolari, tutti i tipi di danza, eventi… Con gente che ci crede. La gente, oggi, più che della parola, ha bisogno di immaginazione. Ha bisogno di muoversi e di riuscire a vedere le cose da un altro punto di vista. 

Come andate a provocare l’uscita dal chiuso dei pensieri? Fate la predica? Opponete la vostra parola alla loro? Non serve a niente! E’ sul parlare mentre si fanno cose concrete che ci si incontra. Sul colloquiare mentre si fanno le cose. Quello è il modo  di tirare fuori tutta l’energia. Circoli del fare, circoli artistici. Dove l’arte non è invitiamo un pittore a fare un incontro. E’ facciamo insieme una produzione artistica. Poi scambiamo con altri gruppi. Possiamo fare arte culinaria. E’… tutto quel che volete. Fate spazio alle arti.  

La gente ha bisogno di avere piccoli successi. Può essere produrre una festa. Come si fa a produrre una festa di qualità? Se permettete alla gente di esprimersi, vedete quante energie vengono fuori. Se passo dalla parola, grande convegno sui grandi valori Acli, sui grandi valori cristiani… non serve a niente! E’ dal linguaggio diretto tra persone, mentre si fanno le cose, che si genera una immaginazione altra. Una immaginazione che permette di pensare che si può vivere altrimenti.

Che tipo di animatore?

Alice nel paese delle meraviglie. Viene invitata a giocare a crocket. Con una mazza. Le palline. Le palline devono finire sotto gli archetti. Vince chi finisce il percorso. Alice prende la mazza. Perché è stata sfidata dalla regina. Anzi è stata condannata a giocare, dalla regina cattiva. Prende la mazza, sferra il colpo, ma la mazza si gira all’in su. Perché non è di legno e di ferro, ma è un fenicottero. Alice lascia cadere e dice: boh, ho persa la partita. Ha vinto la regina cattiva!

Ma mentre è lì che non fa nulla. Cadono le briciole. E l’occhio del fenicottero arriva. Allora Alice lascia cadere altro pane. Si diverte. Fino a che il fenicottero dice: A proposito, Alice, ma tu che gioco giocavi? Ma sai… avevo pensato… Si, ma tu mi stavi usando… Ti chiedo scusa… Allora ci gioco. Gioca la partita di Alice. 

Nessuno vorrà realizzare i tuoi progetti. Nemmeno se sei responsabile di un circolo Acli. Ma se tu perdi tempo, e mangiucchi qualcosa in giro. Bevi un po’ con la gente. Vedrai che la gente, avendo bisogno di giocare, ti dirà di si. E’ la gente che ha bisogno di giocare.

La storia va avanti. Vanno via le palline. Che sono i ricci. Scappano. E Alice dice: fermiamoci qui. Ma Alice ha delle mele. Butta i torsoli. Fino a che i ricci cominciano ad avvicinarsi. La conclusione è: ma voi che facevate prima? Noi avevamo una partita da giocare. Ma voi non… Alice, sei una testona, come un operatore sociale, nessuno nella vita vuole realizzare i tuoi progetti, ma se tu perdi tempo e fai un po’ di festa e ascolti e interagisci, vedrai che alla gente vengono delle domande. Perchè la gente è piena di domande. Se ci sei. E stai assieme. E perdi tempo. In quel contesto forse la gente può esprimere la propria domanda. E forse a quel punto può decidere che è tempo di giocare una partita insieme.

La storia prosegue. Le carte della regina, appena finito di dipingere di rosso le rose che erano bianche... etc etc… Testona, testona, testona, sembri uno delle Acli… vuoi sempre far realizzare agli altri i progetti che hai in mente tu. Devi solo fermarti, ascoltare. Mettere una birra sul tavolo. Fermarti a conversare con la gente. 

Andate per strada, entrate nei luoghi del quartiere. Non potete aspettare la gente al circolo. Non potete nemmeno andare in giro a vendere il vostro progetto. Né potete andare a dire: venite perché noi da soli  non ce la facciamo. Venite a risolvere un nostro problema… la gente ha già i propri di problemi. Potete dire: siamo tutti nei casini. Se ne può uscire insieme. Noi ci possiamo mettere questo, cosa possiamo fare insieme? 

Allora la gente si mette in circolo, fisicamente, e inizia a conversare. Davvero possiamo fare ciò che vogliamo? Mettiamoci d’accordo. Tu che idea hai? Io penso così, tu pensi così… Si perde tempo assieme nel decidere… E viene fuori una cosa non ordinatissima. Se voi andate nei centri plurivalenti, vedete che la gente fa di tutto. Perché ognuno ha portato dentro il suo interesse. A quel punto lì, con gente che ha portato il proprio interesse, e si è accordata su regole comuni, può nascere l’azione creativa. Non c’è nessun manuale medico che dica cosa la gente deve fare. La gente deve inventarlo con voi cosa fare. Deve cercarlo con voi. Queste imprese collaborative di tipo creativo contano per il processo di lavoro che andate a costruire, più ancora che per il prodotto.Poi diventa importante fermarsi a bere barbera quando un prodotto riesce. L’azione va riconosciuta, celebrata e festeggiata e persino mitizzata e tirata fuori. Fino a che la gente non si rende conto ed è convinta di aver fatto lavoro di comunità. Solo alla fine si può dire: questo è lavoro di comunità. Non serve prima. Prima è una predica. Dopo è esperienza. 


A quel punto, ve ne andate da soli da qualche parte e avete bisogno di una birra per conto vostro…

Intervento di Franco Floris al Consiglio Provinciale residenziale delle Acli di Milano a Diano Marina. Appunti non rivisti dall'autore. 

(foto di Carlo Giussani

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