Io credo che, dentro i territori, la gente nonostante tutti i casini, stia già inventando canzoni per sopravvivere. Mi prende una enorme voglia di scendere a intuire con pancia, cuore e testa che canzoni stanno inventando.


Non ho le conclusioni. Non le avete nemmeno voi, spero. Rimango con un paio di convinzioni. Credere nei circoli e nella loro attualità. Sono convinto che c’è un estremo bisogno di circoli, con quel che la parola circolo dice. C’è un cerchio che si chiude. C’è gente dentro, che pensa insieme, fa insieme e poi va a bere la barbera. Circolo come idea di luoghi di incontro, di gente che è un po’ curiosa gli uni degli altri, posti in cui c’è molta gente che entra e esce, senza che nessuno chiede se ha la tessera in tasca. 

Io credo molto in luoghi in cui la gente viene da voi, voi aiutate a fare, gente che vuole vivere di cose insieme. Non chiedete etichetta. Non chiedete tesserino. Proponete partecipazione. Quelli che vengono sono cittadini come voi, che trovano in voi un circolo di partecipazione. Un luogo in cui possono portare, senza troppo rischio, qualcosa di loro. Da mettere assieme a qualcosa di vostro. Un luogo dove si portano idee.

Io non dico che dovete salvare il mondo, ma voi dovete stare sulla porta del circolo. Per tenerlo aperto. Alcuni ameranno chiudersi dentro, anche troppo. E a volte bisognerà aiutarli ad andarsene. Perché, magari dopo troppo tempo, il circolo lo considereranno troppo loro, si sentiranno proprietari. Ma soprattutto dovete stare sulla porta perché qualcuno entri. Stare sulla porta vuol dire che il circolo è contemporaneamente aperto e chiuso. C’è un circolo in cui c’è un nucleo che si ritiene Acli, che magari si tessera, che si sente l’anima del circolo. E c’è altra gente, che viene portando qualcosa, che cerca qualcosa che serva a loro per vivere. E voi dovete essere ospitali. Ci vuole ospitalità per fare un circolo. Generosità. Capacità di essere aperti e di guardare fuori. 

Non serve a niente un circolo troppo chiuso, che non ha più nessun significato per chi sta su quel territorio. Ma non serve a niente nemmeno un circolo troppo aperto. Dove non c’è più pensiero e che è attraversato da tutti e da nessuno. Il nucleo e gli altri stanno assieme. Sapendo che molti non cerano l’appartenenza alle Acli. Non la cercano. Non la vogliono. Non la capirebbero. Sarebbe per loro un peso. Ma non vuol dire che non si sentano dentro, nelle Acli. Non nelle Acli associazione. Ma nelle Acli movimento. Voi siete contemporaneamente associazione e movimento. Ci sono persone che aderiscono all’associazione in quanto tale anche in modo formale. Per scelta o per necessità. Ci sono persone che si sentono (o che si possono sentire) in un movimento valoriale di idee e di prospettiva. Coltivate entrambi gli aspetti. Quelli di associazione e quelli di movimento. Non lasciate che la prima dimensione soffochi la seconda. 

Siate ospitali. Qualcuno sempre lì, a tenere la porta aperta. E qualcuno in giro, a guardare e annusare il territorio. A partecipare alle cose che fanno gli altri. E poi a riportare a casa idee, suggerimenti. E contatti. E persone. 

Non c’è un modellino di circolo. Non esiste. E se qualcuno vi propone il modello di circolo già confezionato ditegli che è fuori dai tempi. Ogni circolo nasce dentro un territorio. Con la gente che incontra. Con quei giovani che entrano o non entrano. Con quegli anziani che fanno posto e non fanno posto. Un circolo è, per natura sua, territoriale, di quel territorio. Il circolo deve avere  un sapore di quel territorio e deve esprimere un sapere di quel territorio. Solo questo permette al circolo di inventarsi e reinventarsi. 

Ci possono essere circoli che diventano la casa di micro movimenti territoriali. La casa, il luogo dove si ritrovano. Perché lì tanti ritrovano un humus. Perché sanno che lì si può parlare e discutere. E partecipare. O anche solo avere spazio. Questo fa si che voi valorizziate molto l’alta intensità relazionale interna. Ma moltissimo l’alta intensità relazionale con l’esterno. Ci vuole un clima di coraggio, di entusiasmo, ci vuole anche un po’ di energia. Ma il centro di tutto sono i legami così detti deboli con il territorio. Sono i legami in cui la gente non è per forza aclista, in cui la gente fa altre cose, per alcuni mesi lavora con voi, poi magari va a fare altro. Questo continuo creare legami deboli è utile. Deboli perchè non ti costringono a scelte troppo acliste.  Questo è in realtà il modo che i gruppi cercano, a livello giovanile e non solo. Fare pezzi di strada insieme a voi. Chi tiene dei legami non troppo rigidi, deboli, aperti, permette alla gente di imparare molto. Permette di sperimentare. Permette di imparare. Lascia liberi di andare. A volte tra marito e moglie non si riesce più ad imparare nulla perché il legame è molto stretto. Ci si è già detti tutto, su un tema. A volte conversando in ufficio con una persona con cui c’è poco in comune viene fuori l’importante. Perché il legame debole permette di prendere distanza. E di vedere da un’altra prospettiva. La cura dei legami deboli è la cura della gente che non si lega alle Acli.  Questa cura è in realtà un legame altamente generativo per le Acli. Diventate maggiormente anima del territorio. Proprio perché non volete impossessarvi del territorio. Collaborate su alcune cose.

E poi continuate a fare scambio tra voi. Essendo voi con esperienze di circoli molto diversficati,  diventa formidabile raccontarvi tra voi che ragioni ci sono dietro il modo di pensare ed agire. Il modo con cui pensate e fate il circolo. Il futuro dei circoli nasce dal rendervi ragione tra di voi, in gruppi. Dal  rimasticare cosa è il vostro circolo. Dirlo. Provare a dare un nome. Provare a darvi le ragioni di cosa state facendo. Anche gli altri circoli hanno estremamente bisogno di voi.

Tornate curiosi tra voi. Per imparare gli uni dagli altri cosa vuol dire oggi fare un circolo. È una vera impresa. Quello a cui sprono non è trovare momenti formali. Parlatevi, imparentatevi, sposatevi, gemellatevi tra circoli, vicini e lontani. Create scambi con la barbera e il resto. Provate  a dirvi cosa state facendo. Ritrovart questo apprendimento reciproco, scavando dentro l’esperienza che state facendo. Le esperienze che state facendo sono molto più preziose di quello che volete dirvi. Questa moltiplicazione dei saperi esperienziali diventa un momento di alto livello, anche se non ve ne accorgete. 

Ultimo concetto. Perifericità. A me piace molto che nelle Acli si parli di periferia. Non tanto di poveri. Quanto il fatto che dentro la società che stiamo vivendo vi mettete da una certa angolatura, che è quella dei diritti dei giovani, degli anziani, del provare a convivere. E guardate dalla periferia questi problemi. Con lo sguardo un po’ critico. Forse dovete arrabbiarvi un po’ anche voi. Perché la gente possa alleggerire la sua rabbia. Arrabbiarvi per come vanno certe cose. Arrabbiarvi anche voi, perché la gente possa vedere in voi la sua rabbia. Altrimenti la gente non ce la fa. 

Guardare dalla perifericità vuol dire anche ritrovare la vostra dimensione politica dentro i territori. Cioè, non basta girare, non basta guardare. Bisogna capire come mobilitare le risorse dei territori affinchè certi diritti vengano soddisfatti per giustizia e non per carità. 

Questo tentativo di restituire a voi come Acli il vostro patentino politico è possibile solo se guardate le cose stando vicino a chi non ce la sta facendo. E lo sguardo non è neutro. Prestate gli occhi e il cuore a chi non ce la sta facendo. Siate al loro fianco. Dovete arrabbiarvi, dovete soffrire. Questa sofferenza forse è il modo di reinventare le Acli oggi. Invece di essere solo semplice gestori di servizi. Siete persone che vivono il loro essere periferico nel mondo, sentire il malessere profondo della gente, ma non lasciarlo degradare fino a ritenere che nulla sia più possibile. Vivere il malessere e la sofferenza e la rabbia affinchè da questo nascano nuove soggettività, nuove possibilità per gli altri. Forse per rinascere bisogna stare di più nelle periferie, per comprendere dove va il futuro e come costruirlo. Forse dobbiamo avere una parte di poveri, di migranti che non consideriamo gente da aiutare, gente da ospitare, ma gente con cui da cui apprendere, gente con cui condividere la battaglia. Forse dobbiamo pensare che, essendo noi alla ricerca di altri modi di vivere, gli altri hanno molte cose da dirci, su come si può vivere altrimenti. 

Fare un circolo aperto a tutti non vuol dire fare circoli neutrali. Non fare circoli neutrali. Non circoli che vanno sempre bene a tutti. Circoli che prendono posizione sull’abitare, circoli immersi dentro i territori.

Havel, nella Cecoslovacchia del tempo intermedio, tra l’uno e l’altro mondo. Diceva ai politici: “Cari politici, se voi non imparerete a cantare le canzoni della gente, la gente non imparerà mai a cantare le vostre canzoni”. Io credo che, dentro i territori, la gente nonostante tutti i casini, stia già inventando canzoni per sopravvivere. Mi prende una enorme curiosità di scendere a intuire con pancia, cuore e testa che canzoni stanno inventando. Ho voglia di tornare in mezzo a questa gente. 

Conclusioni di Franco Floris dopo il lavoro di gruppo al Consiglio Provinciale Residenziale delle Acli di Milano a Diano. Appunti non rivisti dall'autore. 

Foto di  Carlo Tardani

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

Tra religione e organizzazione  Il caso delle Acli – A cura di Ilvo Diamanti e Enzo Pace Pubblicazioni della facoltà di scienze politiche de...