L'economia civile per difendere la democrazia e per produrre felicità - Stefano Zamagni


Sono veramente contento di essere con voi in questa occasione, per cui ho colto con piacere l’invito. Abbiamo già ascoltato la sintesi di ieri (io ieri non c’ero). Il mio scopo è dare risposta alla seguente domanda: Se guardiamo al futuro, quali sono le novità emergenti rispetto alle quali è necessario prendere una qualche posizione?

Un chiarimento: l’economia sociale di mercato è una espressione coniata da Muller, poi Eucken, poi Ropke. Economia sociale di mercato è un modello di economia che si iscrive nel paradigma della economia politica, alternativo al modello di liberalismo come interpretato in Inghilterra. Ma non va confusa con l’economia sociale, che è altra cosa. 

Economia sociale di mercato è una espressione che ha un marchio, non si può usare indifferentemente, non è sulla linea dell’ economia civile. Nell’economia sociale di mercato non esiste il principio di sussidiarietà, non esiste il modello bipolare, né il terzo settore. C’è una letteratura sul tema, ma persino gli stessi tedeschi oggi l’hanno abbandonata. Il che non vuol dire che non abbia giocato un ruolo positivo, soprattutto per la Germania, ma oggi ha terminato il suo corso.

De Gasperi, che era trentino, che era stato a Vienna, che conosceva la letteratura, non ha mai voluto applicare quel modello al caso italiano e l’ha detto chiaramente. E’ interessante che uno della sua statura abbia avuto questa posizione, perché era un modello adeguato alla cultura tedesca, una cultura legata al deontologismo kantiano. De Gasperi lo sapeva, non si possono fare pasticci, non si può trapiantare un modello, così come è, in un contesto diverso. Non si può applicare un modello basato sul deontologismo kantiano in un contesto che non si riconosce nella filosofia del kantismo. 

Seguo un criterio di storia recente: 1944, Karl Polanyj La grande trasformazione, opera che non si finisce mai di rileggere, introduce il doppio movimento. A seguito degli eventi caratterizzati da prima e seconda rivoluzione industriale si è formato un duplice movimento: libertà e giustizia sociale. Il movimento della libertà, che trova applicazione a livello partitico nelle due forme che siamo abituati a vedere come destra/sinistra. La destra pone la libertà al di sopra di ogni altro valore, la sinistra pone al centro di tutto la giustizia sociale. Questo duplice movimento è in grado di spiegare l’evoluzione della politica del nostro così come di altri paesi. 


Quando arriviamo all’inizio del 1970, dopo un quarto di secolo, in America prima e poi da noi in Europa, c’è la nascita del terzo movimento. Chi ha bene illustrato la questione è stata la filosofa Nancy Freser. Il terzo movimento cosa chiede? Non chiede più risorse, non chiede più giustizia, non chiede più libertà, ma chiede riconoscimento. Nel senso del thymos platonico. Platone ha scritto tante pagine su questo.  Platone dice che l’essere umano ha, prima di tutto, il bisogno di essere riconosciuto.  Il bisogno di mangiare è il bisogno primario dell’animale. Il bisogno primario dell’essere umano è essere riconosciuto nella propria specifica identità. Con la fine degli anni 70 avviene la nascita del terzo movimento, indicato come il movimento di coloro che chiedono emancipazione. 

E’ iniziato con le donne, con i movimenti femministi. Che non chiedono più soldi, non chiedono nemmeno più libertà. Chiedono di essere riconosciute nelle loro identità. Poi è arrivata l’area della difesa dei diritti civili. L’area LGBT. Poi tutte le altre espressioni della società civile. Ciò che noi oggi chiamiamo terzo settore esisteva, ma era visto come ruota di scorta di qualcuno. O dello Stato o del mercato. In Usa prevalentemente ruota di scorta del mercato. In Europa prevalentemente ruota di scorta dello Stato. 
A partire dagli anni 70 inizia la richiesta, anche da parte di questi soggetti della società civile, di essere riconosciuti nella propria specificità. Non solo i movimenti femministi, non solo i movimenti per i diritti civili. Anche la società civile inizia lo stesso percorso.  

Questo terzo movimento aiuta a spiegare le difficoltà attuali sul fronte politico. Fino a che il discorso politico è calibrato su destra/sinistra è facile posizionarsi. Ci sono quelli più a destra, quelli più a sinistra. Ma dal momento che c’è questo terzo movimento, che chiede emancipazione e riconoscimento, politicamente, come lo collochiamo? La destabilizzazione del quadro politico viene da qui. A seconda dei tempi, questo terzo movimento si allea a volte con la destra e a volte con la sinistra, questo spiega l’alternarsi dei blocchi. Ma io mi meraviglio che nessuno in Italia parli di questo terzo movimento. C’è letteratura sul tema. A partire da Habermas, grande filosofo tedesco, la letteratura è abbondante. Non so perché in Italia non se ne parli. 

Se guardiamo all’inizio degli anni 90 cosa constatiamo? La novità emergente in quegli anni è l’avvio e poi la diffusione dell’espressione economia civile. Fino agli anni 90 non si usava questa espressione. La prima volta che usai questa espressione in un articolo venni rimbrottato, mi dissero che in realtà volevo parlare di economia civica. Scalfire un’idea non è facile, ma, come dice Sant’Agostino, la verità è come un leone e sa difendersi da sola. Non c’è bisogno di affrettare i tempi, se una cosa è vera, prima o poi emerge, nonostante le difficoltà. 

Dall’inizio degli anni 90 si inizia a veicolare l’idea di economia civile in alternativa all’economia sociale di mercato. Se voi guardate alle date di nascita di tutte le cose in questo campo, tutte accadono a partire dagli anni 90. Banca Etica, Libera, le reti, il forum…Sono sempre le idee che anticipano il corso della storia. Se non hai li pensiero pensante, non vai da nessuna parte. Se hai solo il pensiero calcolante, non vai da nessuna parte. Il dramma dell’economia è che c’è troppo pensiero calcolante in economia e c’è poco pensiero pensante. Il pensiero pensante è quello che dà la linea, la direzione, il senso. La parola “senso” in italiano vuol dire direzione. 

Il “senso” è un paradigma di questo tempo. In greco paradigma vuol dire sguardo, paradigma è il modo in cui una persona osserva la realtà. Niccolo Cusano lo chiamò “il berillio intellettuale”. Il berillio è un minerale che gode di alcune proprietà per cui se si osserva la realtà attraverso questo minerale, si  vedono cose che senza non si vedono.

Quindi, cosa è l’economia civile? E’ uno sguardo sulla realtà, sotto il quale c’è spazio per tanti specifici modelli. Ecco il chiarimento di fondo. Quella che chiamiamo economia sociale (non l’economia sociale di mercato) è uno dei modelli che si inscrive nel paradigma dell’economia civile. Questo serve a dirimere la controversia tra economia civile, economia sociale, economia solidale… Non è questione di dire se una sia meglio dell’altra. L’economia sociale (non l’economia sociale di mercato) si inserisce nel paradigma della economia civile. L’economia solidale si inserisce nel paradigma dell’economia civile. L’economia del bene comune si inserisce nel paradigma dell’economia civile. Mi meraviglio sempre quando qualcuno, in buona fede, mette economia sociale e economia civile in contrapposizione. Economia sociale, economia civile, economia del bene comune… sono specifiche intuizioni, sono tutti modelli che rientrano nel quadro dell’economia civile. 

Dal 2010 c’è un ulteriore mutamento. Sembra che ogni 20 anni ci sia un cambiamento. Il 2010 è l’anno in cui in America 12 stati americani approvano una legge che istituisce le Bcorps (società benefit). L’Italia è il secondo paese al mondo a farlo, nel 2015, negli anni successivi arrivano anche altri. Tutto inizia quando Ford viene portato in tribunale dal suo socio di minoranza. Ford, giocando di anticipo sui tempi, aveva deciso di raddoppiare lo stipendio ai lavoratori e di farne un beneficio sociale. I fratelli Dodge fanno causa a Ford,  dicendo che con questa scelta ha rubato, perché raddoppiando lo stipendio ai lavoratori ha diminuito l’ammontare dei profitti degli investitori. La Suprema Corte dà ragione ai fratelli Dodge e Ford deve pagare di tasca propria il differenziale tra ciò che avrebbero potuto ottenere i fratelli Dodge e ciò che hanno effettivamente ottenuto. Per proteggersi da questi eventi gli americani hanno fatto legge sulle Bcorps. Se una impresa decide di voler perseguire due obiettivi: profitto e sociale, e lo esplicita, nessun azionista può adire a vie legali per le scelte che perseguendo l’obiettivo sociale limita l’obiettivo di profitto. E’ una forma di protezione. 

Perché si era arrivati a quel punto? Milton Friedman dice che l’unica responsabilità sociale dell’impresa è massimizzare i profitti ad ogni costo, nel rispetto delle leggi vigenti. Ci fu una levata di scudi contro il movimento di responsabilità sociale di impresa. 

L’espressione Responsabilità sociale di impresa era stata creata da Bowen nel 1953. Tutti i neoliberisti, capeggiati da Friedman, fecero una levata di scudi: “vuole introdurre il comunismo”. Con gli USA non si può usare la parola sociale, perché subito ti danno del comunista. Gli USA associano sociale a socialismo e socialismo a comunismo e comunismo a Unione Sovietica… Ecco perché la novità delle leggi sulle Bcorp è interessante, al di là dell’efficacia pratica. Perché apre all’obiettivo sociale.  Una delle prime Bcorp fu in Patagonia e si scoprì che raddoppiò i suoi profitti. L’intenzione non era raddoppiare i profitti, ma raddoppiare i profitti è stato effetto secondario della scelta sociale. Per questo si è iniziato a pensare che comportarsi in un certo modo, tra le altre cose, paga. 

In Italia attualmente le società benefit sono 4200. Hanno creato la loro associazione (Assobenefit). Inutile stare a vedere se tutte l’hanno fatto per convinzione o per altro. Il processo alle intenzioni non va mai fatto. Quello che ci interessa è che in Italia abbiamo un settore dell’economia capitalistica, composto da 4200 imprese, che non opera solo per profitto, ma anche per valenza sociale. 

Dopo questa fase iniziale, più recentemente, prima in USA e poi in Italia, sono nati due gruppi. Il primo è quello noto come Billioner patriotics. Milionari patriotici. Chi sono? La rappresentante in Italia è Giorgiana Notarbartolo (della famiglia Marzotto). Cosa sostiene questo gruppo? Sostiene che i ricchi sono disposti ad accettare una tassa di pressione tributaria elevata. Anche del 50% (che non è poco): Ma in cambio lo Stato smette di rompere le scatole alle imprese. In sostanza questi milionari dicono: Noi ti diamo un tot e tu Stato con quel tot ti ci paghi tutto: sanità, scuola, assistenza… Poi tu però non ficchi il naso in ciò che facciamo, non ci fai prediche, non ci fai controlli…In Tax we trust (noi poniamo la fiducia nelle tasse) è lo slogan di questo gruppo. 

Un altro gruppo è quello dei Woke capitalist. Leggete il libro di Carl Rohdes, professore australiano di eocnomia aziendale. E’ un libro molto noto a livello internazionale, pubblicato 2 anni fa. In Italia è stato tradotto l’anno scorso per Feltrinelli con il titolo Capitalismo woke, prendendo l’espressione woke dal gergo degli afroamericani… Quale è la tesi di questo gruppo? La tesi è: tu Stato non devi farci pagare più tasse. Noi possiamo pagarti il 15%. Tu Stato con quel 15% paghi l’ordine pubblico e la difesa. Al resto pensiamo noi. Noi come imprese ci facciamo carico della sanità, della scuola, dell’università, dell’assistenza… 

E’ una posizione opposta al gruppo precedente. Ma se non siamo superficiali vediamo che c’è una convergenza. La convergenza è quella di sostituire la politica. L’argomento implicito per entrambi i gruppi è: la politica ha fallito. La politica incarnata nei partiti ha fallito. I governi non sono in grado di gestire. Il mondo del volontariato (noi diremmo il mondo del terzo settore) va bene ma è smilzo, è piccolo, è marginale, non cambia la situazione complessiva. Quindi, perché le cose possano funzionare, dobbiamo agire direttamente noi, come mercato. 

La privatizzazione.  Sull’ultimo numero di Lancet c’è una interessante ricerca del National Health Service inglese dove da anni è in atto un processo di privatizzazione della sanità. La ricerca fa un confronto tra 2009 e 2022. In questo periodo il tasso di privatizzazione è aumentato ed in parallelo è aumentato il numero dei morti. La ricerca mostra che privatizzando si muore. Si capisce, è ovvio, se non hai i soldi, muori. 

Le liste di attesa. Non credete alle false teorie. Le liste di attesa sono volute. Sono forme di razionamento implicito. Sono modi per convincere ad andare altrove. Sono stato 2 giorni al congresso dei medici di base a Roma. Il presidente Anelli mi ha dato dei dati a cui non volevo credere. Lui dice: noi medici siamo in grado di testimoniare che facciamo apposta a dire 8 mesi di attesa. Perché se tu paziente ritieni che veramente la tua situazione è seria non puoi aspettare e vai a pagare. Se invece non vai vuol dire che reputi che non è realmente urgente. C’è il caso di Bordighera, lo scorso anno, in cui la ASL aveva affidato il pronto soccorso ad una clinica privata. A cavallo di ferragosto morirono 6-7 persone. E’ un tipo di informazione che non è girata. Siamo in una situazione in cui le informazioni vanno cercate da testimoni. 

In ogni caso, i due gruppi di milionari di cui sopra, hanno qualcosa in comune. Questi due gruppi hanno un obiettivo comune: sostituire la politica. E’ il caso in cui la sfera dell’economia prende dentro la sfera della politica. Chi, con un fiuto che dobbiamo riconoscergli, aveva previsto questo, è Papa Francesco. Lui lo dice a modo suo, la gente non sempre gli dà credito, ma ha intuito con acume dinamiche che poi sono diventate e stanno diventando evidenti. 

Fratelli tutti, capitolo 5, per una migliore politica. Dice che oggi la politica è serva, è schiava della grande finanza e dei grandi think thank. Se la politica non si libera, salta la democrazia. 
Il punto di arrivo del mio discorso è:  rispetto ad una situazione di questo tipo, noi, con le nostre realtà, cosa si fa? Se non si prendono provvedimenti il rischio è la diffusione di crowding out, di spiazzamento. Ognuno di noi ha esperienze dirette. Ogni volta che qualcuno di noi, del terzo settore, va a battere cassa ad Unicredit o a Cariplo, per chiedere un finanziamento per una iniziativa, la risposta è: va bene, lo facciamo noi. Le banche pagano ma assumono la titolarità. Anzi, se chi va a proporre è un ragazzo sveglio, le banche lo assumono. Il problema è serio perché l’idea è che la trasformazione del sociale non possa più farla il sociale. L’idea è che il terzo settore possa solo fare l’esecutore o tappare i buchi. 

Di fronte a questo processo in atto cosa possiamo dire? Che contributo possiamo portare nel dibattito pubblico? Non possiamo entrare nel dibattito dicendo agli altri che non possono. Non possiamo perché loro hanno un vantaggio comparato. Hanno una potenza enorme. Hanno specializzazione. Se ci mettiamo sul piano del fare siamo battuti. Non è più come una volta quando l’imprenditore badava solo a fare cassa e a vendere bene le sue scatolette. Oggi tutte le grosse imprese hanno una sezione che si occupa del sociale, che vede cosa fare nel sociale e come comunicarlo, perché questo ha un impatto enorme anche sui profitti. Le imprese entrano nel nostro spazio. Il terzo settore langue perché le imprese arrivano con potenza di fuoco nel nostro spazio e ci spiazzano. Le persone nel momento del bisogno si rivolgeranno sempre più a loro, non a noi. Questo non solo ci indebolisce sul piano delle azioni e della sostenibilità economica. Ci indebolisce perché ci fa perdere consenso e partecipazione. La gente fa la tessera del supermercato, con più facilità di quanto non faccia la tessera di un sindacato o di una associazione. 

E’ giunto il momento di fare tesoro di Paolo VI nella Populorum progressio. Il mondo soffre per mancanza di pensiero. Noi non possiamo metterci sul piano dei capitalisti woke, ma possiamo dire delle cose. 

1. Dire che difendiamo la democrazia. L’iniziativa delle Settimane Sociali di Trieste va in questa direzione. Questi gruppi hanno come obiettivo di sostituirsi al processo democratico. Decidono loro secondo le loro abitudini e modalità di pensiero. Ho molto apprezzato il documento OMS dell’ONU che ha messo in esergo la frase: nothing for us without us. Chi è portatore di bisogni è anche portatore di idee e di proposte. Non può essere tagliato fuori. Va difeso il principio democratico che oggi è in crisi. Non è questione solo di legge elettorale. L’instabilità oggi non è determinata dalla legge elettorale. La crisi della politica è più profonda. Noi dobbiamo difendere la democrazia. 

2. Dire che difendiamo la sussidiarietà. La sussidiarietà è un valore. E’ uno dei pilastri della dottrina sociale della Chiesa. La sussidiarietà non è una tecnica. E’ un valore. Come la democrazia. Questi grandi gruppi di milionari riproducono in logica privatistica la stessa logica verticistica della pubblica amministrazione. Noi dobbiamo difendere la sussidiarietà e mostrare che il nostro modo di fare soddisfa i criteri di sussidiarietà. 

3. Spiegare bene il criterio di Efficienza. Il criterio di efficienza è stato inventato da Pareto. Pareto dà due nozioni di efficienza. Efficienza in funzione dell’interesse dell’individuo e efficienza in funzione del benessere collettivo. Dopo la morte del paradigma neoclassico si considera efficienza solo in funzione dell’individuo, si considera efficiente ciò che massimizza l’utilità individuale. Ma Pareto era stato chiaro. Non è efficiente ciò che massimizza il tuo benessere se diminuisce il benessere collettivo. 

4. Il nostro modo di operare deve mirare a realizzare le condizioni per la pubblica felicità. Se si legge il libro di Angus DeatonMorti di disperazione e il futuro del capitalismo” si vede che si muore più per disperazione che per malattia. Non è una argomento che può essere liquidato facilmente. Non possiamo fare spallucce. C’è bisogno di tornare ai beni relazionali. Di capire cosa determina la felicità. Chi produce beni relazionali? Le persone. I beni relazionali sono il veicolo per consentire il raggiungimento della pubblica felicità. Beni relazionali e capitale spirituale. Il capitale spirituale conosce un secondo rinascimento. 

Questo pone le basi per l’economia civile. L’economia politica ha il fine di massimizzare il bene totale, il PIL. L’economia civile ha il fine di massimizzare il bene comune. Bentham dice che la felicità è data dall’utilità.  Noi non possiamo essere integralisti. Non possiamo pensare che solo ciò che facciamo noi ha senso e va bene. Ma dobbiamo avere il coraggio di dire che la via verso cui stiamo andando mette a repentaglio la democrazia e la sussidiarietà. La democrazia ce l’avevamo e la stiamo perdendo. La sussidiarietà non è mai stata veramente usata. Perché si confonde sussidiarietà orizzontale e sussidiarietà circolare. La sussidiarietà orizzontale è un trucco. Fai fare la co-progettazione e ti fermi lì. La sussidiarietà circolare è la co-programmazione. Per la co-programmazione c’è voluta la sentenza della corte per sancirla. E’ una ammissione non da poco. Ma ancora non basta se non diventa pratica. 

Le CER. Perché oggi si diffonde il fenomeno CER? Perché in quello c’è il principio dei beni comuni. Il modello dei due gruppi di capitalisti produrrebbe energia e la darebbe a prezzo scontato ai poveri. Le CER hanno un modello per cui le persone si mettono assieme e producono e consumano. Le CER sono fenomeno perché tocca i principi cardine. 
Stessa cosa per il problema ambientale. Dentro un orizzonte dell’economia politica cosa si può fare per l’ambiente? Solo politiche di adattamento. E di mitigazione. L’economia politica non ti consente di andare oltre. Ma invece c’è bisogno di politiche di trasformazione. Mitigare è mettere un cerotto. Va bene. Ma non risolve. Ci vuole trasformazione. Per trasformare devi cambiare paradigma. 

Se Next, tutta la rete di Next,  si incamminasse in un sentiero di questo tipo farebbe una cosa utile. A Bruxelles oggi questo non lo capiscono. Il pensiero su questo non c’è, c’è tecnica. Ecco perché se noi riuscissimo, se voi riusciste, fareste un dono di grande valore a beneficio di altri. Perché poi la gente segue. Ma qualcuno deve incamminarsi. Oggi quando si parla di Benedetto da Norcia si dice “ora et labora”. Ma in realtà lui diceva “Ora, lege et labora”. I monaci dovevano studiare. Produrre pensiero. Se no come si fa a lavorare? E’ interessante notare che il tempo abbia eliminato la lettura dal motto. Prima prega, ma poi se il lavoro è senza studio rende l’uomo simile all’animale. 

Intervento nel seminario di studi del Comitato Scientifico Next. Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore. 

Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia

"Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia. Partner. Negozio. Banca". Va bene che i rapporti non siano tutti eterni. Però che il cam...