La parte mette in discussione il tutto e impedisce al tutto di diventare totalitario - Maria Grazia Fasoli



Sono qui perché faccio parte anche io di questa storia. La genealogia femminile: c’è una linea che si dipana. Ci sono delle madri simboliche. Lei è una di queste madri. Per certi aspetti la più importante. Permettetemi, prima di entrare nel merito di questo tema: le donne nelle Acli e le forme della rappresentanza, due premesse. 

La prima: sulla storia come memoria. Recentemente ho letto una intervista rilasciata da uno storico che sbrigativamente liquida la storia dei testimoni, perché dice che è storia esposta alle derive identitarie. Non si può negare che ci sia questo rischio, anche di distorsioni che vanno dal revisionismo al negazionismo (di cui la storia anche politica del Paese ha dato esempi). Ma contesto la concezione riduttiva e sospettosa, perché credo che un’altra memoria è possibile, perché un’altra identità è possibile. Le Acli lo credono e ne stanno dando prova nelle celebrazioni degli 80 anni. Identità aperta, inclusiva, relazionale. Le Acli, rispetto alla propria identità, non si sentono come proprietari di una memoria, si sentono depositari di una memoria che diventa bene comune. Noi facciamo la storia da eredi. L’erede ha un debito. Ma nell’accogliere l’eredità, l’erede deve anche essere non troppo obbediente. Perché se l’erede ripete l’eredità per inerzia, così come l’ha ricevuta, non si sprigiona quella energia creativa che invece è fondamentale. Noi siamo eredi, riconosciamo il debito, siamo coerenti con questa provenienza e memoria, ma cerchiamo di vivere una coerenza creativa. 

La seconda: sulla rappresentanza. La rappresentanza non è questione di numeri. Non solo di numeri. Perché la presenza delle donne eccede sempre la rappresentanza. C’è una eccedenza che è proprio del femminile, ed è una eccedenza che non può essere incanalabile negli stereotipi. Una volta discussi a lungo di questo con Pino Trotta. La parte eccede sempre il tutto, sembra un paradosso, ma è così. C’è un brano di Holderlin, lettera al fratello Carlo, la questione è una sola, se è più importante una parte o il tutto. La parte mette in discussione il tutto e impedisce al tutto di diventare totalitario. Rappresenta, cioè fa presente, una differenza e una parzialità e obbliga, stimola, costringe, anche gli uomini, che per questioni culturali complesse si autorappresentano come l’universale, a riconoscere la loro parzialità. Uomini e donne, sono due parzialità. 

La parzialità femminile ha bisogno delle forme della rappresentanza, ma apendo che queste forme non le esauriscono mai del tutto. Non solo non la esauriscono in senso storico, perché vanno rivisitate, ma non la esauriscono nemmeno in senso valoriale e teorico. E’ molto importante che le forme, le regole, i codici, siano in divenire, abbiamo questa evoluzione storica delle norme che corrispondono alle diverse fasi della storia delle donne, non solo nelle acli. 

Vorrei sottolineare che Maria Fortunato rappresenta tutto ciò nella forma di un paradosso. Prima donna vicepresidente, anche quella che nella stessa circostanza sciolse la specializzazione femminile. Il nome specializzazione è interessante. Perché dice che c’è un tutto “normale”, poi c’è una specialità, che è “speciale”. Il passaggio da specializzazione a integrazione, massima vicinanza al tutto, fino al coordinamento, è interessante. 

Coordinamento secondo me è un nome interessante. Coordinamento delle donne nelle Acli. Le donne non sono una specializzazione, una cosa strana che sta da una parte e si aggiunge. Ma le donne non sono nemmeno una massa critica, uno zoccolo duro uniforme. Le donne sono  una realtà multiforme. Le donne, non solo sono differenti dagli uomini, ma sono anche differenti tra loro. Questa genealogia femminile ci presenta anche differenze tra le donne, differenze che sono anche all’origine di confitti. Non dobbiamo dare una idea irenica dei rapporti tra donne. Ci sono stati passaggi più o meno felici, duri, scabrosi, in questo passaggio di testimone da una sorella all’altra. Questo ci deve far riflettere sulla complessità che la presenza e rappresentanza delle donne custodisce. Complessità che rende anche il tutto più complicato.  Le Acli senza le donne sarebbero meno complicate. Viceversa, una associazione solo femminile sarebbe più semplice. Ma se dobbiamo parlare di sorellanza dobbiamo parlarne anche in termini di diversità, di confronto tra visioni diverse. 

Tra i libri amatissimi, proporrei un libricino  di Nadia Fusini, studiosa del pensiero delle donne, letteratura anglosassone, si intitola: uomini e donne, una fratellanza inquieta. C’è anche una sorellanza inquieta, di cui le forme della rappresentanza cercano di dare conto. Fratellanza inquieta, sorellanza inquieta, tra donne delle Acli. Se andassimo a fare una carrellata delle donne, della genealogia femminile, emergerebbe anche questo…

Io ne ho conosciute un po’. La prima è Maria Filippi, stanza 48. Siccome io ho una memoria archivistica, ricordo che in quella occasione vidi per la prima volta Franco, che conoscevo di fama, che si affacciava in quella stanza. 

Non è stata influente solo per le donne. E' stata una delle più influenti dirigenti globali dell'organizzazione - Franco Passuello su Maria Fortunato


Io sono arrivato alle Acli all’Ufficio Studi, con una ricerca sugli assegni familiari, quindi direttamente collegato con Maria, che aveva gli uffici appena girato il corridoio, in via Monte della Farina. Erano i giorni in cui si stava sciogliendo la specializzazione femminile. In quei primi giorni Geo (Brenna) aveva fatto un intervento che era stato sbobinato ma non ci si capiva nulla, per cui mi fu chiesto di metterci le mani. A quell’epoca collaboratrici di Maria Fortunato c’erano due donne, diventate per me importantissime: una si chiamava Giovanna Brutti, se ne è andata da poco, siamo restati amici tutta la vita. Fu lei che mi coinvolse a ragionare anche sul tema specializzazione. Ricordo che la questione del 25% che fu introdotta a scadenza era il tentativo di preservare la rappresentanza, nonostante lo scioglimento. Fu considerata, anche a sinistra, una cosa progressista. Perché di base il tema era retaggio di un certo modo anche cattolico di concepire il rapporto tra uomini e donne. Per cui il tema non era tanto la rappresentanza, quanto la relazione uomo donna. 

Questo è stato il primo incontro, l’inizio. Maria Fortunato però bisogna anche un po’ tirarla fuori dal discorso donne. Perché è stata una delle più influenti dirigenti globali dell’organizzazione. Non è stata influente solo per le donne. E’ stata una delle più influenti dirigenti globali perché era stimata ed amata e perché si trovò a gestire il settore città nel momento delle grandi lotte per la casa, di cui furono protagoniste Napoli e Milano. C’è una ragione tutta politica per cui Maria Fortunato è stata grande dirigente, che è una ragione che esula e va oltre la tema delle donne. 

Poi c’è la genealogia delle donne. Avete ricordato che, dopo Maria Fortunato, prima vicepresidente, poi c’è stata una seconda donna vicepresidente, che faceva parte della mia presidenza: Maria Teresa Formenti.  Ma, chi l’aveva portata in Acli Maria Teresa Formenti? Maria Fortunato! E c’è un’altra cosa che posso dire con tranquillità, qui. Tutte e due queste donne che hanno rotto il tetto di cristallo in Acli sono due consacrate, due suore laiche. Io ho quasi litigato con Maria Fortunato, in una intervista, perché ingenuamente dissi quello che avevo scoperto da fuori, che in Acli c’erano altre 20 donne che erano tutte consacrate. Ho dovuto aspettare il suo funerale, a Napoli, per vedere sull’altare una lampada d’olio e sentire il sacerdote dire che era una consacrata. Perché io allora non lo sapevo ma loro erano tenute a non rendere pubblica la cosa. Erano circa 20. Ed erano donne di primissimo piano, dalla Sicilia alla Lombardia. 

Maria, anche questo lo voglio dire, è stata una donna di sinistra ed ha pagato per questo, anche nell’Opera della Regalità. Lei era una dirigente influente ed è stata 10 anni prima di essere riammessa al percorso dirigente. Questa è carne della vita di Maria. 
Poi voglio dire un’altra cosa. Lei è stata per me un grande punto di riferimento, una amicizia fraterna. Ci sono state anche tante cose extra. Aveva un carisma dolce, capace di determinazione. Ma aveva un carisma. Sapeva prendersi i suoi spazi di vita. Io l’ho amata come poche altre persone. 
Luglio 1971, da pochi giorni c’era stata la deplorazione. Io ero capo ufficio formazione, dovevo aprire comunque il centro estivo di formazione a Vetralla, patria di Rosati. Rosati era l’unico di Presidenza presente. Potete immaginare il fermento… 

Ci vediamo arrivare Michele Giacomantonio, capo ufficio amministratori locali. Ci chiama fuori, facciamo 100 metri, lì nel prato davanti a noi c’è Maria. Che si era fatta accompagnare da Vazzoler, uno degli autisti storici delle Acli. Perché era venuta? Era venuta per dirmi: guarda Franco (mi spiace che non c’è Emilio oggi…), era venuta per dirmi che in Presidenza si era deciso di far fuori Fausto Tortora e me, come capri espiatori. E lei questa cosa non la digeriva ed era venuta a dirmelo di persona. Questo intervento di Maria accelerò la nascita della sinistra Acli. Corrente alla quale lei è sempre stata molto vicina, quasi interna. Maria votava a sinistra. 

Qui in Acli, oggi, voglio ricordare che ha sofferto tantissimo. Ha pagato due volte le sue scelte. Ha pagato in quanto aclista e in quanto appartenente all’Opera della Regalità. Però, io non l’ho mai vista scura per questo. Lei era una persona allegra, solare, non rancorosa. 

Ricordo un meraviglioso viaggio in macchina, in cui lei ha recitato con gioia, in dialetto, a memoria, “la livella” di Totò. Maria era anche questo. 
Era una grande persona e una grande donna. Io penso che forse andrebbe ricordata anche in occasioni più robuste di questa. Ma la smetto qui. 

"Non si commette il male perchè si prega". Qualche ricostruzione e riflessione sul rapporto tra Chiese cristiane nel conflitto in Ucraina


Qualche domenica fa all’Angelus il Papa è intervenuto con ”Non si commette il male perché si prega. Se qualcuno commette un male contro il suo popolo, sarà colpevole per questo, ma non può avere commesso il male perché ha pregato. E allora si lasci pregare chi vuole pregare in quella che considera la sua Chiesa. Per favore, non sia abolita direttamente o indirettamente nessuna Chiesa cristiana. Le Chiese non si toccano!”.

L’intervento arriva dopo la decisione del Parlamento Ucraino di approvare il Disegno di legge 8371Sulla protezione dell’ordine costituzionale nell’ambito delle attività delle organizzazioni religiose". La legge (adottata ora in seconda lettura ed approvata con 265 voti a favore, 29 contrari e 4 astenuti) secondo quanto riportato dalle agenzie stampa prevede la creazione di una commissione “indipendente dal potere esecutivo” che avrà il compito di condurre “ricerche sull’esistenza di collegamenti e affiliazioni con Mosca o ricerche sulla diffusione dell’ideologia del ‘mondo russo’”. I risultati della ricerca saranno studiati dal “Servizio statale per la politica etnica e la libertà di coscienza” che emetterà un ordine in caso di violazioni. All’organizzazione religiosa vengono concessi due mesi, tenendo conto della procedura di ricorso amministrativo, per conformarsi ai requisiti richiesti e recidere i legami con la Russia. Se i legami dell’organizzazione con lo stato aggressore non sono stati recisi entro 60 giorni, il Servizio statale per la politica etnica e la libertà di coscienza si rivolgerà al tribunale.

A sostegno della normativa era intervenuto il Consiglio panucraino delle Chiese ed organizzazioni religiose (a cui però non aveva partecipato la Chiesa Ortodossa Russa in Ucraina) e la decisione era stata preparata con il viaggio dal patriarca ecumenico di Costantinopoli che ha dato il suo consenso ma ha anche invitato una sua commissione a monitorare e tentare il dialogo. 

La Chiesa greco-cattolica ha sottolineato il rischio di consegnare la palma del martirio alla chiesa ortodossa eventualmente proibita, ma si è espressa anch’essa a favore della norma. 

Nel frattempo, i casi di frizione tra Chiesa ortodossa non autocefala e governo nazionale Ucraino si sono moltiplicati. Sono una settantina i sacerdoti condotti in tribunali e condannati come collaborazionisti con la Russia. E’ ovviamente stato proibita l’assistenza pastorale ai militari ucraini ai Pope di Onufrio (per timore che questo comporti il rivelarne posizioni e piani) e l’altro aspetto cruciale riguarda le proprietà ed i passaggi forzati da una chiesa all’altra. 

Fino al XVII secolo la metropolia di Kiev (considerata culla storica della Chiesa russa) dipendeva dal patriarca di Costantinopoli. Successivamente è passata al Patriarcato di Mosca (eretto nel 1589). Nello stesso periodo (1596) le diocesi ortodosse ucraine del Granducato polacco-lituano hanno interrotto le relazioni con il patriarcato di Mosca e si sono riconosciute nella chiesa cattolica. Queste diocesi (che prima costituivano la Galizia, poi sono entrate a far parte della Polonia e successivamente sono state annesse all’URRS) di fatto hanno vissuto in clandestinità fino al 1985, con Gorbaciov. Oggi costituiscono la chiesa greco cattolica di rito bizantino, presente soprattutto nell’area occidentale dell’Ucraina. Nel 2005 la chiesa greco cattolica di rito bizantino ha trasferito la sua sede da Leopoli a Kiev, con disappunto della Chiesa ortodossa. 

Dopo che, con il dissolvimento dell’Unione Sovietica, l’Ucraina diventa uno Stato Autonomo, nel 1992, in Ucraina nasce la pressione per una propria chiesa ortodossa, in tutto autonoma da Mosca. 

Stile popolare e riconoscimento. Riflessioni a margine dell'esperienza di accoglienza estiva di ragazzi Ucraini

Questa estate c’è stata la terza edizione dell’accoglienza estiva di ragazzi ucraini. Da quando la guerra è iniziata le Caritas Ucraine hanno chiesto disponibilità alle diverse Caritas europee per organizzare momenti in cui ragazzi di territori in guerra potessero vivere un momento di serenità e di “normalità”. Caritas italiana ha da subito chiesto la collaborazione delle Diocesi e di alcune associazioni laicali. Come Acli da subito abbiamo raccolto l’invito e ci siamo mobilitati.

L’esperienza (coordinata, come ogni anno, dalle Acli di Milano assieme alle Acli Nazionali) si è svolta il primo anno nell’alto bresciano, il secondo in Trentino-Alto Adige e quest’anno si è realizzata a Frabosa, in provincia di Cuneo, con il coinvolgimento attivo delle Acli locali e di tante associazioni e realtà del territorio.

Papa Francesco nell’ultimo incontro ci ha parlato di stile aclista come stile popolare. “Si tratta non solo di essere vicini alla gente, ma di essere e sentirsi parte del popolo”. “Nel contesto di una società frammentata e di una cultura individualista abbiamo un grande bisogno di luoghi in cui le persone possano sperimentare questo senso di appartenenza creativo e dinamico, che aiuta a passare dall’io al noi, a elaborare insieme progetti di bene comune e a trovare le vie ed i modi per realizzarli”. L’accoglienza dei ragazzi ucraini è stata un modo di sperimentarci in questo stile popolare e ci sembra che lo sia stato essenzialmente in tre modi.

Il primo è la modalità di coinvolgimento dei giovani animatori. Per i circa 25 ragazzi italiani che si sono alternati nelle due settimane è stata una esperienza altamente educativa. Ma su cosa si è basata la loro chiamata? Non è stata richiesta l’appartenenza alle Acli come precondizione, né è stato chiesto di essere recettori di una proposta educativa pensata da altri. Ai giovani e giovanissimi (tra i 14 e i 25 anni) è stata posta una richiesta di aiuto. È stata fatta loro la proposta di mettere a servizio di altri le proprie competenze e la propria stessa identità di giovani italiani. La risposta è stata generosa e sopra ogni aspettativa. I giovani non sono passivi e indifferenti. Sono pieni di contraddizioni, ma hanno molte più capacità di quel che pensiamo e hanno bisogno e desiderio di sentirsi utili. Preziosa in questo senso è stata anche la presenza di giovani di seconda generazione (con una appartenenza nazionale, culturale e linguistica plurale, creativa e dinamica) e di giovani con esperienza migratoria (che hanno messo in circolo l’accoglienza ricevuta). I giovani provenienti dall’Italia si sono attivati, hanno predisposto le attività, hanno preparato e gestito tutto quello che ha riguardato l’animazione, con l’obiettivo di offrire uno spazio “tra giovani”, in cui al centro non ci fosse il loro essere adolescenti con altri adolescenti, anche per i ragazzi ucraini, e non la loro esperienza di guerra.

Riunione per genitori di figli in prima superiore


Riunione per genitori di figli in prima superiore.
Aula Magna. Dirigente e psicologa offrono stimoli (più o meno leggeri, che é diverso da banali) per avviare la riflessione e per sintetizzare il chiaro messaggio di fondo che vogliono far passare: la postura con cui affrontare il ruolo di genitori di adolescenti alle prese con il liceo.
"Ho come l'impressione che il genitore migliore sia quello occupato a fare altro, quello che non vive la propria genitorialità come missione e professione".
"Ciò che i genitori degli adolescenti devono fare é accettare una realtà in cui non sono loro al centro. Cioè... diventare adulti".
Con la consapevolezza del tono della leggerezza e con affetto per tutti noi che ci si prova (che facile ironizzare da fuori e che... tanto si sa, come si fa si sbaglia... ) ma ci trovo stimoli meno scontati di ciò che sembra.

Il libro dell'attuale nuovo ministro


Mi sono appena resa conto che possiedo un libro scritto dell'attuale nuovo ministro della cultura. Preso (e letto) in un tempo in cui ho cercato di capire un po' la destra (soprattutto romana).
Nel libro, del 2007, analizzando le trasformazioni della destra, se la prende (ovviamente) soprattutto con Fini. Ma fa anche tutto un esame che gira attorno al tema della cultura, dell'egemonia culturale, dei valori, dei rapporti con passato e futuro e dell'identità. Lo fa problematizzando molto tutto ciò che è (o anche solo appare) ambiguità, non chiarezza e soprattutto "compromesso finalizzato al consenso", come forse era fin troppo semplice fare, guardando, da fuori.
La critica alla linea di Fini però non é solo tattica ma quasi "antropologica". Lui scrive "Con una base (di militanti di destra che da 40anni ndr) "si rodeva di fierezza e andava in tv solo per qualche fattaccio di cronaca nera o in occasione delle tribune elettorali: prima o poi sarebbe arrivato il tempo degli esclusi. Ed ora questi esclusi facevano della propria minorità (E non della loro fierezza ndr) il manifesto dell'alternativa sana". La mancata fierezza del passato era il dato per lui politicamente inaccettabile.
Nel libro é raccontato abbastanza lucidamente anche un episodio in cui tentarono di fare una trasmissione in cui il contenuto fosse qualsiasi cosa "purché sia di destra, purché si dica qualcosa di nostro" in Rai, con i funzionari che li rimbalzarono. Racconta lo stupore di La Russa "Incredibile: abbiamo il direttore generale, il ministro delle comunicazioni, siamo al governo. Non dico che dopo tre giorni tutti gli italiani debbano andare per strada cantando Giovinezza e gridando Viva il Duce, ma é possibile che non si riesca a fare una trasmissione nostra?".
Ecco, il rischio é che il mandato del nuovo ministro della cultura sia ancora lì. Vincolato tra la necessità di non tradire mai la fierezza e il muoversi con il senso di rivalsa degli esclusi che tanto hanno aspettato. Con l'obiettivo di fare "qualcosa di nostro" più che (magari anche legittimamente con un approccio più di destra) promuovere la cultura italiana ed ancora di più promuovere il valore della cultura in sé.
Comunque, se fossi un giornalista oggi, farei un po' di domande al neo ministro entrando nel merito di ciò che ha scritto allora. Anche perché su molti aspetti in realtà il governo attuale é molto lontano dai valori della destra, specie di quella sociale, e poi definire "cosa è di destra, oggi" al di là di alcuni elementi nostalgici, credo sia ancora molto confuso e ambiguo, tanto quanto lo é a sinistra o forse più.
(P.s. In quel libro Giorgia Meloni è citata in 3 punti. Uno di sfuggita, uno con apprezzamento, l'altro in realtà meno).

Le parolimpiadi sono una meraviglia, ma...


Le paraolimpiadi sono una meraviglia. Fanno bene e sono fonte infinita di ispirazione per tutti noi. Davvero è così.
Però, se vogliamo andare oltre il lato emotivo e "l'uso strumentale" delle storie (e disgrazie) altrui, serve colmare un po' la distanza tra tutte le disabilitá che incontriamo nel quotidiano e che continuiamo ad escludere, non vedere, compatire...ed i campioni che ammiriamo in tv.
Le paraolimpiadi sono una meraviglia vera solo se ci rendono evidente le capacità (piccole e grandi) che come società ci perdiamo, non vedendo, non includendo e non abilitando. Solo se qualcosa si riverbera nel nostro quotidiano.
Altrimenti le paraolimpiadi diventano solo il culto di chi riesce ad essere vincente.

Poltava, Kharkiv, Kiev, Zaporizha, Leopoli...


Poltava, Kharkiv, Kiev, Zaporizha...Leopoli...

Le relazioni umane servono a non lasciare anonimi e distanti i nomi di città che si sentono al telegiornale.
E a ricordarsi che... "sotto le bombe ci sono ragazzi come i nostri" non è solo un modo di dire...

Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia

"Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia. Partner. Negozio. Banca". Va bene che i rapporti non siano tutti eterni. Però che il cam...