Cosa vuol dire pensare?- Marianella Sclavi



Uno degli strumenti che ci viene rifilato più di frequente oggi è il sondaggio di opinione. La sanità, la riforma… chiamo individualmente un campione di persone e ad ognuno chiedo: cosa ne pensi? Ed ognuno risponde. L’esito del sondaggio è che il 36% pensa così, il 12% pensa cosà etc… e chi ha il potere (e tutti i cittadini) osservano quei numeri e dicono: vedi come pensa la gente? La gente pensa questo… 

Quello che ha fatto Fishken è prendere le stesse persone intervistate per un sondaggio di opinione, invitarle ad incontrarsi in un posto per un paio di giorni a discutere di quello stesso tema. Alla fine porre la stessa domanda. E il 70% aveva cambiato opinione. E Fishken questo non l’ha fatto una volta sola, l’ha fatto tantissime volte, in un’indagine scientifica sistematica e ormai assodata. 

Cosa vuol dire pensare? La risposta al sondaggio di opinione non è ciò che la gente pensa. E’ ciò che la gente risponde alla domanda. Pensare è un’altra cosa. Pensare vuol dire dialogare. Dialogare, in primo luogo, innanzitutto, con noi stessi. Pensare è mettere in dialogo varie voci dentro di noi. Dibattere. Il pensiero è dialogo. Il sondaggio di opinione non è pensiero. E’ un’altra cosa. Una cosa che se vogliamo può essere divertente, giocosa… in altri casi è di manipolazione… dipende, ma è cosa totalmente diversa dal rilevare ciò che le gente pensa… 

Se siamo consapevoli che tra opinione grezza e opinione informata c’è un abisso di differenza, perché la nostra Università, ad esempio, non produce sondaggi deliberativi? Magari anche solo per confrontare più spesso l’esito di un sondaggio deliberativo con l’esito di un sondaggio di opinione? Non lo facciamo perché siamo totalmente abituati all’idea individualista. All’idea per cui la società è la sommatoria degli individui. Ognuno è un’isola. Emozioni, pensieri, sono fatti suoi, individuali. Non serve altro che prendere le opinioni uno ad uno. Ma la società non è la sommatoria di individui. La società è l’esito di persone in relazione. 

Abbiamo una visione totalmente distorta di come funziona la società, l’autorità, il potere e la comunicazione. La dimostrazione è che la nostra democrazia è basata su assemblee modello 19° secolo.  Le nostre assemblee decisionali  sono tipicamente assemblee in cui c’è un chair person, un ordine del giorno, le persone sono sedute così, uno parla, un altro chiede la parola, il diritto al contraddittorio, il voto

Dentro una normale assemblea abbiamo un oratore e un pubblico. Uno parla e gli altri pensano: giusto, sbagliato, interessante, noioso… Uno parla e gli altri ascoltano in modo giudicante. Il fatto che siamo disposti in modo individuale di fronte all’ascolto stimola a questo (se foste riuniti in gruppi, mentre ascoltate, sarebbe già diverso). 

Il nostro sistema politico, il nostro senso della rappresentanza e della democrazia attuale dà per scontato che siamo una massa di individui. Lui vuole parlare? Deve alzare la mano. Alzare la mano in assemblea è proporsi come leader o porsi in rapporto al leader (conferma, disconferma). Si parla in relazione all’autorità e al potere. Non sul tema. Chi parla non può mettere in gioco la sua esperienza, di vita, di sapere, per dare un contributo al pensiero. Chi parla deve farlo posizionandosi, in appoggio o contro chi ha parlato prima. Questo rende il dialogo politico del tutto ideologico e strumentale. 

Quale può essere un modo di pensare ad una assemblea del 21° secolo? Si sono fatti esperimenti su questo. A New York è stato fatto con 3.000 persone. C’è un tema, c’è una provocazione inziale, ci sono i tavoli che discutono. Nei tavoli ci si premura di avere una presenza il più variegata possibile. Nei tavoli ognuno parla come persona. Ascolti gli altri, alla fine portiamo un esito alla plenaria e così via. Si chiama assemblea gruppale ed è il modo con cui puoi iniziare a fare interagire la gente nel 21° secolo. Una delle cose più importanti è avere la presenza di tutte le diversità, di tutte le posizioni e opinioni e saperi ed esperienze. Questa diversità trasportata in un contesto deliberativo porta ad una capacità di codecisione e coprogettazione molto più efficace. 

Macron nel 2019 ha convocato 150 cittadini per il clima. 150 cittadini hanno lavorato per 9 mesi per decidere come sia ad arrivare al 2030 a raggiungere una politica per il clima con i criteri stabiliti da Parigi nel 2015. Questa assemblea di 150 persone aveva persone diversissime… dalla badante al professore universitario, dalla ragazza di 16 anni alla persona anziana… Questa assemblea ha prodotto proposte su come gestire il cambiamento climatico estremamente avanzate. Poi non sono state prese sul serio dal Parlamento. Ma le proposte sono avanzate. La ragazza di 16 anni, intervistata, ha detto che da questa esperienza ha capito 3 cose: ha capito molte cose sul clima che prima non sapeva, ha imparato ad ascoltare, ha capito che esiste l’intelligenza collettiva.  

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