Antropologia urbana: Amalia Signorelli


Italia:
. privilegiato condizione urbana rispetto a rurale
- antica rete di città 
Poche ricerche antropologiche su città italiane.
Studi maggiormente ruralcentrici.

Pregiudizio operaista: 
coincidenza della cultura operaia urbana con la cultura rivoluazionaria.
Gli altri ceti di popolazione urbana sotto egemonia di classe operaria avrebbero anch’essi acquisito coscienza di classe o sarebbero stati confinati a residuali. 

Pregiudizio antiurbano:
cultura neoarcadica che indicidua società rurale e contadiana con il recupero delle radici.
-città luogo dello sradicamento, della perdita di cultura originaria, di alineazione e omologazione.
(Anche Pasolini).

La città, vista con le lenti messe a fuoco per la cultura contadina, è una realtà invisibile e incomprensibile. 

Antropologia urbana:occuparsi di concezione del mondo e della vita, di sistemi cognitivi valutativi, elaborati da e per i contesti urbani. 

Modelli di città italiane:
(Tranne Latina) tutte con storia plurisecolare e plurimillenaria. 
Quasi tutte ne conservano i segni in impianto urbanistico e monumenti. 
Quanto indietro nel tempo si è radicata in italia la distinzione città/campagna e la superiorità della prima sulla seconda? 
Da questo dipende il ruolo di centro che le città hanno rispetto ai territori. 

Modello di città italiane a fine XX secolo:
Città antiche abitate da inurbati recenti e investite da processo di massificazione? 

Il non conosciuto deve possedere in se stesso qualche forma che può venire esplorata e un po’ alla volta appresa. 
Il caos completo senza traccia alcuna di connessione non è mai piacevole.

Città e diversità:
E’ urgente toranre a parlare delel differenze non più soltanto come prodotti dell’immaginario.

Civile, urbano, come positivi.
Villano, cafone, come negativi.
Indizi di un pregiudizio etnocentrico antirurale. 
Giudizio reciproco negativo tra campagnolo e cittadino. 
Giudizio reciproco di diversità. 

Diversità è realtà relazionale. Si è diversi in rapporto a qualcuno. 
Diveristà come gerarchizzazione. 

Se un soggetto sociale (individuale o collettivo) produce altri soggetti sociali come diversi, questo comporta che egli può produrli come diversi, in altre parole che egli controlla le condizioni (sociali, eocnomiche, culturali…) che gli consentono di definire l’altro, il diverso e di trattarlo come tale. 
Attivate le condizioni che producono la diversità, uesta diventa reale. Nel senso che si concretizza in una serie di vincoli e condizioni alle quali il soggetto definito come diverso deve uniformare i propri comportamenti.

L’urbanità diventa il modello a cui tutti sono chiamati a conformarsi. 

Esempio: 
La Metropolitana di Città del Messico è stata progettata da tecnici che sovraintendono alla metropolitana di Parigi. Ci sono somiglianze strutturali. Ma:
-      città del messico, pensata per utenza con molti analfabeti, ha utilizzato dei disegni per segnalare le stazioni. La metropolitana messicana quindi produce gli analfabeti come normali. Mentre la metropolitana di parigi produce gli analfabeti come diversi. 
-      dall’altro lato la metropolitana di parigi produce l’idea che saper leggere e scrivere sia indispensabile. E quindi incentiva ad apprendere.

La diversità è città/campagna:
-      è gerarchica
-      è relazionale
-      è dinamica (non si nasce diversi, si è prodotti in quanto tali. Si può smettere di esserlo, integrandosi, si può smettere di esserlo modificando le condizioni del luogo).

Diversità:
-      città/Campagna
-      tra città
-      interne alla singola città.
Per molti la città è proprio il luogo del moltiplicarsi delle diversità nella stessa città. 

La diversità urbana secondo diversi approcci: 
-      Marxista: modalità di partecipazione al ciclo produttivo, forme di alienazione/appropriazione del surplus prodotto è la diversità urbana.
-      Durkheim: articolazione in profili professionali produce diversificazione culturale. 
-      Simmel: rapido succedersi di esperienze diverse e carattere relazionale delle esperienze. Necessità di entrare e uscire da rapporti sociali brevi, superficiali e numerosi. 

L’omogenizzazione in ambito urbano: 
-      marxista: appartenenza alla stessa collocazione nel sistema di produzione
-      simmel: psicoculturale, più logiche che empatiche, più distaccate
-      park: condivizione di medesima etica e sistema valoriale. Si trovano a condividere stessa area della città. Quindi si creano diverse “regioni morali”. Funzione del luogo di residenza come effetto-causa –effetto  dei processi di omogenizzazione e differenziazione nella città. 

Jacobs e Sennet: diversità è il connotato principale delle città. 
Che si progettino e diffondano le diversità. 

Giglia: l’omogeneità degli standard edilizi è garanzia di uguaglianza.

Diversità tra città: 
-      città industriali
-      città mercato
-      città centri amministrativi
-      città capitali politiche 
-      città di servizi
-      città universitarie 
-      città porti 
-      città scali 
-      città d’arte e turismo
-      città minerarie
-      città carovaniere
-      città militari…
Anche se nessuna è rigorosamente monofunzionale.

Diversità tra città per dimensione.

Diversità tra città per posizione.

Diversità tra città per pianta e morfologia: 
-      radiale
-      lineare
-      a scacchiera
-      a grappolo
-      monocentriche
-      policentriche

Sennet: nessuno schema fisico impone un significato permanente.
La griglia di città moderna è pensata come priva di confini, destinata ad estendersi verso l’esterno, un blocco dopo l’altro. 

Esprime, per gli americani, l’idea di uno spazio senza confini.
L’idea del proprio potere di conquista e di insedimaento.
Conseguenza è la neutralizzazione dello spaizo urbano attraverso la perdita del centro. 
Senza confini non si dà il centro. 

De Martino:
studio degli achilpa australiani, nomadi, ortano con sé il palo totemico.
Il palo ha funzione di riscattare dall’angoscia territoriale un’umanità peregrinante.
Il luogo nuovo è sottratto alla sua rischiosa caoticità. In questo modo nello spostarsi restavano al centro. Perché dove era il palo era centro. Nei momenti critici il palo veniva inclinato verso la direzione di marcia. Così anche lo spostarsi era riscattato. 

Il rapporto tra centro e confini è una struttura mentale utile agli esseri umani per produrre il senso dello spazio in cui si muovono. 

Città e conflitto

Le città non sono mai state sistemi equalitari di rapporti umani integrati e sereni. 
Le città sono sempre state il punto di massima tensione di ogni sistema sociale. 
A causa di accentuata divisione del alvoro che le caratterizza e interdipendenza di funzioni e antagonismo di interessi. 

Metropoli: invivibili, non a misura di uomo. 
Il giudizio sulla metropoli non può essere dato dalla distanza dalla natura.
ma in termini di storia umana. 

La città è sempre stata opportunità e rischio. 

Un sistema sociale ha sempre un rapporto con uno spazio. 
Spazio come contenente fatti sociali e fatti sociali come contenuti:  visione insufficiente. 
Tra rapporti sociali nello spazio e rapporti sociali con lo spazio c’è interdipendenza. 

Quali funzioni per la città: 
-      Tendenza a distaccare dalle città gli insediamenti industriali, decentrandoli sul territorio e frantumandoli in lavoro a domicilio. 
-      Anche il mercato sembra destinato a essere dissociato dalle città (shopping center enormi e isolati)
Resta il luogo simbolico di alcuni centri storici monumentali..

Le classi dirigenti sembrano orientate a dissociarsi sempre più dal destino delle città: 
Da cui anche l’incapacità di inventare e realizzare una politica della città innovativa o almeno adeguata allo status quo. 

In USA: tendenza del progressivo trasformarsi delle città in costallazioni di ghetti, miserabili o di lusso, reciprocamente segregati e ccollegati, indipendentemente gli uni dagli altri, a circuiti nazionali (o internazionali) di integrazione politica, economica, culturale. 

La localizzazione urbana è ancora utile alle classi sfavorite, per organizzarsi e esercitare il potere di opposizione. 

Gli spazi collettivi sono spazi usati da tutti, in cui ci si può collegare ad altri. 
Sono questi spazi ad essere quindi caratterizzati da conflitti sociali che da latenti diventano manifesti. 

Città: spazi concreti e spazi astratti

Lo spazio di cui ciascuno dispone concretamente in una società ne misura il potere e la ricchezza e ne riflette il prestigio e la collocazione nella gerarchia sociale. 
La privazione di spazio è il correlato di una posizione subalterna o marginale. 

Criterio di ottimalità dello spazio?
Razionalismo funzionalista ha creduto di averlo raggiunto.;aòompwski: il fine di ogni sistema sociale è la soddisfazione dei bisogni primari (mangiare, dormire, accoppiarsi, riprodursi, ripararsi…).
Teoria limitata. 
Bisogni inconsci/Bisogni indotti.
Bisogni primari non solo materiali.

3 tipi di insediamenti residenziali:
-      quartieri suburbani per abitanti di reddito medio, medio alto e alto
-      quartieri spontanei o abusivi, con edilizia variegata 
-      quartieri edilizia sociale finanziati con denaro pubblico e concessi a condizioni agevolate (per utenza popolare, artigiani, piccolissima borghesia e quote di sotto proletariato). 
Nel primo caso progettisti e abitanti appartengono alla medesima classe e ambiente.
Nel secondo caso gli abitanti sono progettisti di se stessi.
Nel terzo caso c’è distanza tra progettisti e abitanti. 

Per questo ogni quartiere di edilizia popolare si presenta come terreno di contatto culturale tra la cultura dei progettisti e la cultura degli abitanti. Come terreno di acculturazione forzata. E esperienza di estraneità culturale: i futuri abitanti non sono committenti e non hanno potere di influenza. Non c’è mediazione. 

Appaesamento: processo di modellamento dello spazio della vita. 

La gente porta richieste dietro le quali si nasconde chi si sente e sa di non essere socialmente riconosciuto competente. Cioè socialmente riconosciuto come abilitato a occuparsi di determinate questioni. Abilitato a esprimere un’opinione e a modificarne l’andamento. 

Cultura dei progettisti e cultura degli utenti non si possono collocare su un continuum come se l’una fosse la forma sviluppata dell’altra. Si tratta di cue concezioni diverse i due modi radicalmente diversi di concepire e valutare la casa, il quartiere, lo spazio. E forse il mondo. 

L’alloggio, il palazzo, il quartiere stanno di fronte al progettista oggettivati in pianta, in sezione, in assonometria. Statici e reificati. 
Per l’utente sono invece una sorta di sfera all’interno del quale egli si muove e che in un certo modo si muove con lui, si modifica nel corso e a causa dei suoi spostamenti. 

Per il progettista lo spazio è euclideo, razionalmente divisibile, geometricamente configurabile. Per l’utente lo spazio è una dimensione esistenziale, che si dà in quanto e solo in quanto viene esperita e che arriva alla coscienza, viene percepita dalla mente, prima di tutto e spesso esclusivamente in termini fenomenologici. 
Per gli uni lo spazio è astratto. Per gli altri è eminentemente concreto. 

Il tipo edilizio, la costruzione di una tipologia, il processo stesso della composizione servono al progettista per configurare uno spazio ordinato. All’utente ciò che serve è uno spazio riconoscibile, differenziato al proprio interno e rispetto agli spazi esterni. 

Lo spazio per il progettista è una realtà data, statica, definitiva, egli può concepire di stabilire in essa un ordine la cui logica è chiara solo ad una lettura globale e simultanea del sistema. 
Per l’utente la sola lettura possibile è quella diacronica, di percorso. Ciò che è spazio ordinato appare come monotonia, piatta ripetizione, anonimato. 

I disperati, accaniti tentativi, visibili in ogni quartiere di ediliazia popolare, compiuti dagli utenti per differenziare l’esterno e l’interno del proprio alloggio dagli altri, vengono in genere considerati manomissioni che degradano lo spazio ordinato. Ma prima ancora che ad un bisogno affettivo e di identificazione rispondono ad un bisogno di identificabilità e di orientamento. Di differenziazione. 

Differenza di paradigmi estetici. 

C’è un’altra differenza: quello del giudizio di convenienza, di agio, di vivibilità. Un alloggio e un quartiere oltre che belli devono essere comodi. Anzi, devono essere soprattutto comodi. Ci si deve “stare bene”. 
Il criterio estetico non è mai stato seriamente e formalmente assunto per l’edilizia residenziale pubblica. Mentre una alta qualità funzionale è sempre stata programmaticamente indicata come obiettivo. 

Quali sono i requisiti di una casa dove si sta bene? 

La differenza di giudizio tra progettisti e utenti scaturiscono da una radicalmente diversa modalità culturale di formazione del giudizio. 
I progettisti assumono la tabella dei bisogni umani elementari. E ipotizzano un livello di soddisfazione in termini di cubatura, areazione, affacci, dotazioni, attrezzature. Si tratta degli standard edilizi. 
Ma la progettazione per standard elimina dal progetto il tempo reale per sostituirlo con il tempo astratto, parcellizzato, un elenco di azioni irrelate, a cuascuno delle quali si fa corrispondere un tempo presunto, fissato una volta per tutte, perché ritenuto ottimale. 
Questa tendenza a far coincidere in modo puntuale e univoco un tempo, uno spazio, un’azione, distrugge tutta la polifunzionalità, polisemia dell’agire umano. Riduzione già realizzata in ambito industriale. 

Per gli esseri umani l’acquisizione della coscienza dei propri bisogni e la definiizione di essi, la valutazione di adeguato soddisfacimento, avvengono nel quadro di una esperienza del mondo relazionale e non soltanto funzionale.

Per il progettista ciascun problema ammette una unica soluzione corretta. Per l’utente esiste una gamma di soluzioni legate ai contesti esistenziali specifici all’intero dei quali il problema si pone. 

L’antropologia urbana: percorsi teorici

Scuola di Chicago anni 20. Fondazione della antropologia urbana o sociologia urbana. 
Tematizzazione della città in quanto tale. 
Hanno emancipato le città. Promuovendole da prodotto o luogo a fattore determinante le dinamiche sociali. AI Chicagoani non interessa come e perché l’immigrazione ha fatto crescere le città, quanto che cosa la città ha fatto degli immigrati. 

Scelta di una metodologia antropologica. 

Dall’antropologia: il gusto per l’osservazione diretta, minuta, partecipante.
La capacità di cogliere la differenza, dove altri vedevano solo realtà opache e sileziose, trovare microregolarità, rituali appena abbozzati, corrispondenze di segni, là dove altri vedevano solo confusione.  (Sobrero).

Insediamenti urbani come comunità: realtà sociali caratterizzate tutte da grande omogeneità e coesione interna e da autonomia verso l’esterno (limite).

Antropologia urbana. 

Antropologia nella città.
Le forme d struttura sociale non si dissolvono in contesto urbano, si riplasmano e si rifunzionalizzano, da costruire elementi importanti dell’intero processo di ristrutturazione. 

Antropologia della città.
La città non è sfondo, ma è al cnetor della scena. O come realtà spaziale e sociale che genera e condiziona atteggiamenti e comportamenti. O come realtà spaziale e sociale che si identifica ed è costruita da quegli atteggiamenti. 

Anche il più raffinato strumento di analisi non è neutrale e non funziona se a governarne l’impiego non è la consapevolezza critica che l’antropologo deve avere della propria determinante appartenenza e cultura storicamente data. (De Martino).

USA - Cultural studies
Studi sui processi di produzione della cultura delle classi subalterne nella società industriale e postindustriale. 
Analisi dei processi e degli effetti dell’alfabetzzazione della classe operaia inglese (HOggarts).
Alfabetizzarsi non significa necessariamente acquisire srumenti di emancipazione. 

E’ nelle città che ha la sua dimora la cultura popolare contemporanea. Nei portici, nei negozi, negli schermi audiovisivi dei cinema, nei club, nei supermarket, nei pub… e nella affannosa ricerca, il sabato pomeriggio, dei vestiti da acquistare per il sabato sera… come qualsiasi altro spazio, anche la struttura della città è carica di signfiicati ed è anche carica di potere, giacchè i dettagli materiali della vita urbana, le nostre case, le strade che viviamo, i negozi che frequentiamo, i trasporti che usiamo, i pub che visitiamo, i luoghi di lavoro, le pubblicità e i manifesti che leggiamo, suggeriscono moltissime delle struttue delle nostre idee e dei nostri sentimenti. 

Levi Strauss- Stutturalismo – Francia 
Opposizione tra società a solidarietà meccanica e società a solidarietà organica. Società fredde e calde. L’antropologia, scienza interessata alle regole universali dell’agire umano, non può e non deve studiare le società moderne, se non per ricercaare ciò che in esse sussiste delle società fredde. 

Studi sulle città africane e sui processi di urbanizzazione in Afica sono generatrici di antropologia urbana in Francia. 
Baladier – è possibile fondare il potere sul controllo dei mezzi di produzione o sul controllo della violenza o sul controllo della produzione delle relazioni di parentela, sul monopolio de prestigio, sull’appropriazione del capitale mitico e di quello ideologico. 

Situazione post-coloniale. Post coloniale è un aggettivo che ha implicazioni temporali e spaziali. Rinvia ad una relazione ad una storia. 

Rapporto tra fenomenologia di microscala e struttura di macroscala (Marcus) è la produzione di ideologia e consenso. 

I rapporti tra i grandi gruppi sociali e tra questi e l’ambiente devono essere studiati a partire dai vissuti quotidiani dei soggetti e dal senso di cui i vissuti vengono investiti attraverso il filtro della plasmazione culturale (Chombart De Lauwe). Ricerca per cui era necessaria “Il coinvolgimento dei ricercatori negli ambienti che studiava”. 

Lefevre: Un modo di produzione organizza-produce il proprio spazio e il proprio termpo così come produce certi rapporti sociali. E’ cos’ che si realizza. Il modo di produzione proietta sul terreno certi rapporti e questo fatto ha una retroazione su di essi, anche se non vi è una corrispondenza esatta come se fosse programmata in anticipo, tra le relazioni sociali e le relazioni spaziali (o spaziotemporali). 

L’antropologo è simultaneamente impegnato a:
- entrare dentro
- ripristinare la propria distanza da 
- organizzare lo svolgimento della sua ricerca in maniera tale da potersi permettere una autoriflessione permanente. 

Questione: la fine delle città.
Dopo due secoli di crescita più o meno veloce ma continua.
Ciclo di calo demografico. Fuga dalle città. 
-      post-industriale:  famiglie della classe media e medio-alta, giovani, con figli che non desiderano il suburbano, desiderano un villaggio, non lontano dalle città. (pendolari giornalieri per la città o che lavorano da casa)
-      industriale: I soggetti decidevano la residenza, la propria identificazione con un luogo, in base al lavoro e alla propria appartenenza originaria. Attualmente si starebbe delineando la richiesta di contesti locali totalizzanti “olistici” che consentano identità flessibili. 

Urbanizzazione senza urbanesimo.
La nuova urbanità coinciderebbe con la sicurezza che con la libertà

Studiare un problema a scala nazionale: le case in italia

Quante case sono necessarie?
Quali devono essere le loro caratteristiche?

Nelle società moderne uniformità e prevedibilità dei bisogni sono prodotte, non più trasmesse come eredità sociali. 

Casa: fatto sociale totale.
Sono polifunzionali e polisemiche.
Ancora oggi?

Esigenza che si producessero abitazioni estremamente semplificate sul piano qualitativo, nel senso che è stata loro sottratta buona parte delle funzioni e significati, riducendole a maccchine per abitare. 
Chi ha operato questa semplificazione?
Secondo quali criteri?
Noi, come ci viviamo?
Abbiamo rinunciato a molteplicità di funzioni o rifunzionalizzato e risemantizzato? 

Casa in Italia da secondo dopo guerra a anni 70. 
Molti milioni hanno cambiato casa. In senso materiale e culturale. 

La casa in ambiente contadino:
1951 agricoltura il 42%. Il paese delle cento città è un paese di inurbati. 
Casa unica risorsa disponibile. 
Ideologia della proprietà privata. Liberi solo se si possedeva. 
I contadini imparavano che non contava il fare. Contava il possedere. 
Esaltazione di quel poco che era veramente proprio. La casa.
Rifiuto generalizzato delle convivenze a livello di consagunguinei e famiglia estesa. Sforzo di dotare ogni famiglia nuova della sua casa. 

Disponibilità di spazi limitato. Indice di sovraffollamento alti. 
Camera da letto dei coniugi. Scelta meditata e provenienza non casuale. 
Letto, armadio, comò. Proibizione di uso ai figli. 
Spazio vuoto di giorno, con tutti affollati nell’altro vano.
Famiglia chiusa agli estranei. 

La casa in ambiente urbano
Progressiva espulsione dei ceti meno abbienti dai vecchi quartieri del centro. Speculazione mascherata da risanamento. Borgate romane. 
Il fascismo ebbe politica di edilizia popolare consistenza. Finalizzata ad integrare le masse nel regime. In cambio di qualche accesso a beni e servizi pretendevano non solo l’adesione al regime ma anche l’accettazione della propria collocazione ai lielli più bassi della piramide sociale. 

Nelle città industriali i quartieri residenziali operai in prossimità del lavoro. Fuori dalla vecchia cinta urbana. Non si evità concentrazione di masse operaie. Si ottenne isolamento. 

Anche nelle città l’abitare aveva il carattere dell’incertezza, della scelta obbligata, della discriminazione, del sopruso. 

Cucina, camera da letto, un altro vano, salottino. Di solito chiuso e tenuto con cura. Nella notte poteva ospitare la branda di uno o più figli. 
Ma la famiglia piccolo borghese voleva avere un salotto di rappresentanza separato dalla cucina o tinello. 

Tra guerra e dopoguerra
1952 Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia. 60% delle abitazioni imprprie.
Fascicolo CISL milanese novembre 1969 36.000 abitazioni su 500.000 non avevano acqua potabile. 
17% non aveva servizi igienici con acqua corrente.
33% non aveva bagno
35% non aveva riscaldamento. 

1949 politica per la casa: Piano INA- Casa. 
Assorbimento della disoccupazione, accrescere stock di case popolari disponibili per chi era senza alloggio, qualificare la progettazione delle case, affidate a illustri urbanisti. 

Istituto per lo Sviluppo dell’Edilizia Sociale.
IL movimento di comunità propose una politica di edilizia sociale avanzata, ma ne ispirà realizzazioni esemplari nei quartieri operai per i dipendenti. 

Le case INA erano migliori di quelle pre-belliche. 
In alcuni casi progetti di quartieri di avanguardia. 
Ma sforzo astratto. Ispirato a modelli stranieri. Non si fondavano su una adeguata comprensione della realtà sociologica, economica e culturale ei futuri utenti e quindi non furono in grado di prevedere i cambimenti di struttura demografica economica e sociale che il paese avrebbe registrato di lì a poco. 

Maggior parte dei quartieri periferici. 
Marginalità della localizzazione. 
Alta omogeneità sociologica.
Il quartiere era percepito come popolare. 
Gli abitanti erano per definizione poveri, povera gente. 
La speranza di promozione sociale, di acquisizione di status, che avrebbe dovuto seguire al passaggio dalla baraccopoli, fu frustrata e delusa. L’assegnatario era un povero cn un tetto sulla testa. Ma restava povero. 
Stigma classista.

Alloggi Ina-Casa. Meccanismo del riscatto dell’alloggio per pagamento di quote mensili pluridecennale fu proposto e imposto per togliere all’assegnazione il carattere di elargizione benefica. Non si da va subito sicurezza di possesso. 

Marginalizzazione. Carenza di servizi di urbanizzazione primaria e secondaria. 
Produce non solo disagio. Produce perdite di vantaggi. E produce assuefazione a standard più basso di vita. 

Atteggiamenti di rifiuto del quartiere. Vandalismo sistematico. Incuria verso gli ambiti comuni. Mancato pagamento. Interpretati come difficoltà ad adeguarsi a standard più alti. Forse era rifiuto. 

Malessere sociale: alterazione della pianta di alloggio e delle destinazioni d’uso. Incuria degli adulti, vandalizzazione dei giovani. I grandi enti pubblici che gestivano l’edilizia popolare si dotarono di servizio sociale capillare. Che, secondo i criteri di servizio sociale di comunità, avrebbe dovuto favorire l’adattamento. 

Servizio sociale di quartiere: 
-      valorizzare le risorse degli abitanti 
-      contribuire al miglioramento dell’ambiente 
Si tratta più di programmi di educazione all’autogestione che non progetti sociali in senso stretto. Per lo più ha svolto funzioni di segretariato sociale, occupandosi di casi individuali. 
Il servizio sociale di quartiere anche dove ha promosso democrazia e partecipazione ha eluso il tema del potere. Gli strumenti della democrazia, se sono privi di vera efficacia decisionale, diventano ritualismo.

Non era dovuto a spaesamento. 

Immigrati:
fine anni 40: movimento migratorio verso centri urbani. Dal sud verso il nord. 
Non è stato solo emigrazione. E’ stato abbandono delle campagne, verso la città. 

Metà degli anni 50: rifiuto culturale contadino.

Esplodere del conflitto:
problema casa era al centro delle rivendicazioni del movimento 69.
Gli inurbati aspiravano a condizione di vita urbana. Inserimento in certi circuiti culturali e socali e al raggiungimento di standard di vita diversi da quello rurale. I rapporti con i locali non furono sempre facili. I settentrionali avevano il pregiudizio negativo che i terroni erano concorrenziali sul mercato del lavoro, potenzialmente crumiri nei rapporti sindacali, portatori di modelli culturali incivili nella vita sociale.

Gli inurbati tendevano a percepire se stessi e i cittadini secondo un quadro di riferimento antitetico ma complementare. Autoesclusione, chiusura nel gruppo famigliare e paesano. 

Difficoltà di ottenere un alloggio urbano.
Impossibilità di usare i servizi. Perché pubblici erano scarsi o poco efficienti. Privati cari. 

Fu propri oche sul problema degli alloggi e dei servizi che maturò quella che all’epoca sembrò una nuova coscienza unitaria delle classi subalterne cittadine. Mentre all’inizio degli anni 60 casa e servizi (insieme a inserimento professionale e integrazione culturale) sembravano essere problemi propri solo degli immigrati, nella seconda metà del decennio divenne sempre più chiaro che il problema della casa e dei servizi interessavano tutto il territorio nazionale e la totalità della popolazione. E senza dubbio tutte le classi subalterne dei medi e grandi centri urbani. 

Tensione esplose in autunno caldo. Sciopero nazionale per la casa. Movimento sindacale su rivendicazione non solo salariali, ma sulle riforme di struttura. Gruppi di protesta e autogestione del quartiere. 
Nacque in quegli anni un movimento assai vivace che rivendicava partecipazione degli utenti. Appoggio del PCI, di sindacati e sinistra. Ma anche forme radicali. 

I movimenti di contestazione furono i primi a segnalare che nelle grandi agglomerazioni popolari periferiche c’era qualcosa di profondamente disfunzionale. Mentre nel centro delle città le classi sociali vivono le une accanto alle altre, la periferia è l’affermazione più radicale della destinazione differenziata delle aree e della segregazione sociale. 

Non riuscì a ottenere partecipazione. 
Né sulla progettazione né sulla gestione. 

1971 Legge sulla casa 
dibattito infuocato. Lacerazione maggioranza. 
Possibilità di perdere il diritto di proprietà privata sulla casa in cui si abitava fu uno dei rischi denunciati. Il nodo era esproprio delle aree fabbricabili e il controllo delle loro destinazioni d’uso. 

Case in affitto erano riservate ai meno abbienti, baraccati, case malsane, lavoratori immigrati. 
Chiunque fosse normale, per bene, con un lavoro, non meritevole di emarginazione, avrebbe avuto la possibilità di godere della casa di proprietà. 

Appena la crescita del reddito lo consentiva compravano casa.

L’esproprio generalizzato delle aree fabbricabili fu bocciato. E chi se ne era fatto sostenitore pagò a caro prezzo il proprio non conformismo. Non fu avviata una diversa politica urbanistica né di servizi per i quartieri dormitorio. Ma non vi furono più mobilitazioni nazionali. 

Viscosità culturale. Persistenza della tradizione in contesti cambiati. 

Anni 70-80 dissociazione schizofrenica delle politiche sociali per la casa. 
Maggioranza di italiani acquista su mercato privato. 
Una quota non piccola compra seconda casa di villeggiatura. 
Critica allo zooning. 
Imprevidenze nei confronti di ambiente e benessere negli alloggi popolari (Villani, Coppola, Pignatelli, D’Innocenzo, De Franciscis). 
Progettisti dello stesso ambiente progettano e realizzano nel quadro della legge 457/78 mastodontici e bizzarri grandi ansemblement. Nei quali il conetnimento delle superfici e dei volumi dei singoli alloggi non è stato in concreto associato ad alcuni indirizzo qualitativo in grado di definire le caratteristiche tipologiche, funzionali ed ambientali degli insediamenti da realizzare. Fallito il tenativo di restituire in servizi esterni all’alloggio le superficie sottratte all’abitazione, il rusltato più evidente è una nuova abbondante produzione di case più piccole e più infelici (D’Innocenzo 1986). 

Vele di Scampia. Napoli. Abitanti chiesto demolizione. Sostenendo che la gente non deve più essere considerata un accessorio dei progetti urbanistici. (1989). 

Si deve riconoscere che in generale si conosce poco delle aspirazioni della gente per i diversi tipi di abitazioni (Villani). 

Tuttavia quando finalmente si riesce ad attivare la gente, quanto meno a chiederle, come vorrebbe la sua casa fosse fatta, i risutlati sono per lo meno sconcertanti (Lege, Portelli). Gli utenti già abitanti di una casa di edilizia sociale o destinati a divenire tali, sanno aritcolare assai poco le loro richieste, per lo più rivendicano la dilatazione o ampliamento di ci che gi conoscono. Talvolta ricalcano modelli borghesi

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