Il libro dell'incontro


Il libro dell'incontro. Racconta di incontri di anni tra ex appartenenti alla lotta armata e parenti di vittime. 

Richiama esplicitamente il faro delle commissioni Sudafricane, ma cita anche Bruno Segre (amico di Neve Shalom Wahat Al Salam)e l'esperienza di Parent Circle. Ed in me, è chiaro, questo riporta immediatamente alla ricchezza degli incontri tra albanesi, serbi, turchi, rom, ashkalja in Kosovo. Tra l'altro restituendo per la prima volta una sorta di senso (oltre a quello intimo e personale di privilegiati che assistono a qualcosa di prezioso) al nostro ruolo li, non testimoni, non mediatori: terzi. Rappresentanti della società civile, degli altri (nel caso del terrorismo), del resto del mondo (nel caso del caso kosovaro). 

Eppure la connessione principale che mi è venuta oggi non è con i Balcani. Ma con il bisogno storico, politico e culturale di "ricomporre" l'identità degli italiani che siamo. Perché un popolo è tale se condivide un territorio, una storia, una cultura, un progetto. Ma difficile condividere un progetto senza ricomporre storia e cultura. Ricomporre è la parola usata, non riconciliare. 
La nascita della Seconda Repubblica, la dissoluzione dei partiti, e delle ideologie. In fondo fissiamo lì l'origine di ciò che siamo oggi. Del nostro disorientamento. Dell'assenza di "collante". Ma forse abbiamo bisogno di ripartire da un passo più indietro.
La scrittura della Costituzione, dopo la guerra, è stato lo spazio di condivisione che ha provato a fare un percorso che tenesse assieme il plurale identitario e culturale del Paese. E ne traesse qualcosa di unico. Conoscibile da tutti. Ma anche in cui tutti potessero riconoscersi. E a far da collante, l'antifascismo ed il mito e valore dei partigiani. 

Poi però ci sono stati gli anni di piombo. Il terrorismo e la lotta armata. C'è stato il tempo della violenza (dello stato e dei terroristi), il tempo dei tribunali e delle condanne (e dei misteri che restano tali). Non c'è stato, non ancora, il tempo vero della lettura politica. Pubblica e ricompositiva. Una lettura che non si accontenti di aver vinto. Che non fugga da ciò che è scomodo. 

Come la connessione politica, culturale e persino in parte militare tra resistenza, antifascismo e terrorismo. Come l'assenza vera e condivisa del rifiuto culturale della violenza. La storia che viene insegnata a scuola e tramandata, ancora oggi, vede le guerre e le rivoluzioni armate come unico motore di cambiamento.  Come l'esperienza, comune a tutti, dell'idea che lo Stato, le Istituzioni (Italia ma anche Europa) possano essere distanti, violente od inefficaci. E che questo non sia poi così tanto un problema. 

Rileggere politicamente quegli anni credo ci serva per oggi. Per costruire un'identità di popolo che cerchi alternative al restare ingabbiati nel ruolo, eterno e passivo, di vittime. 

Perché un paese abitato solo da singoli individui, che si barcamenano tra l'essere egoisti, furbetti, delinquenti o vittime non potrà mai essere accogliente. Né riuscirà a darsi un sogno comune. E senza sogno non ci sarà nemmeno vero sviluppo o uscita reale dalla crisi. 

E poi credo possa esserci utile per non arrivare troppo disattrezzati al confronto con il terrorismo dell'oggi. Ed infine, pure se la parola non compare mai, mi pare un tema adatto all'anno Santo della misericordia. Insomma. Credo sia un libro da leggere. E una esperienza da approfondire.

(pubblicato anche su vinonuovo.it e benecomune.net)

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