L'Armonia degli sguardi - Presentazione del libro di Emiliano Manfredonia al Circolo Acli Universitario di Urbino



Mariangela Perito: 
Siamo in un posto significativo, di cui poi Emiliano dirà meglio. 
Il libro è scritto con leggerezza, che non è superficialità. 
E’ un libro che parla a sé e parla all’altro. Racconta la storia di tutti, di chi ogni giorno si sporca le mani, impegnato nell’associazione. 
Come si annuncia nella prefazione di Padre Costa, questa è la società dell’immagine. Tutti siamo guardati e tutti guardiamo. Ma spesso non c’è contemporaneità, non c’è reciprocità, guardiamo quando l’altro non ci osserva. Il testo dice dell’importanza della reciprocità e della capacità di sintonizzarsi sull’altro. 
Mi sono riconosciuta. Nel libro c’è uno sguardo altro, capace di immergersi nella concretezza dei fatti. 
Ci sono parole che, secondo me, rimandano a concetti fondamentali trasversali: solidarietà, silenzio, speranza, dignità. 
Solidarietà: come compassione, capacità di sentire con. 
Silenzio: perché quando ci si guarda intensamente, delle volte non ci si parla. Noi siamo abituati a produrre, invece nel silenzio possiamo perdere un po’ della nostra identità, per metterci alla pari dell’altro. 
Speranza: Costruire cultura della speranza. Ilvo Diamanti ci ha detto come siamo centrati sul presente, mentre abbiamo bisogno di futuro. Quando ci si appiattisce sul presente, non si dà spazio alla dimensione desiderante. Invece c’è bisogno di desiderare cosa potrebbe accadere domani. E’ qualcosa che anche tu dici nel libro, attraverso gli incontri che hai fatto. Come Presidente ma anche come persona. 
Dignità: ci si guarda perché ci si riconosca e si riconosce che la vita può essere degna. Ogni essere umano ha diritto di diventare ciò che è. Molto spesso parliamo di periferie esistenziali, è periferia esistenziale una vita che non è in condizione di una vita degna. 
E poi scrivi: “E prego, almeno ci provo, per una umanità più giusta…”
Si vede che senti, oltre che pensi, le cose che scrivi.  



Paolo Petracca
il libro precedente raccontava i circoli. Lo stile narrativo è simile, ma si è evoluto, come tutte le persone intelligenti fanno. Prende spunto da quel tipo di narrazione, ma va più in profondità. Il libro riesce a non nominare mai le Acli, ma è il racconto di questi anni. Io me lo sono prefigurato così: come se l’interlocutore ideale del libro fosse suo figlio 16 enne. Usa, per raccontare le Acli, un linguaggio comprensibile a tutti, anche all’ultimo dei nostri iscritti, al frequentatore del bar Acli in cima all’Appennino. 
Lo sforzo che c’è nel libro è quello di raccontare il cammino di vita di questi anni, attraverso pensieri, riflessioni ma soprattutto attraverso situazioni (che riguardano la pace, il lavoro, la difficoltà della democrazia). E’ il pensiero che attraversa le situazioni quello che poi produce alcune riflessioni fondative.  
A me e a Padre Giacomo piace tanto una sorta di ricostruzione quasi fumettistica del dibattito sulla Costituente che c’è nel libro, che è anche il tentativo di spiegare la posta in palio. Quale era la posta in palio allora?  Il fatto che l bene comune venisse prima. 
Ci sono molte parti liriche nel libro; c’è una poesia, c’è una canzone, ci sono tanti linguaggi diversi. La parte che mi ha toccato di più è il capitolo conclusivo. Lì c’è Emiliano. C’è tutto Emiliano. C’è lo svelamento di come si può essere cristiani contemporanei. Lui (purtroppo per lui) non ha vissuto la storia del Cardinal Martini, ma si è cercato e ha trovato riferimenti molto significativi. Dentro questi rifermenti c’è lui, con una nudità, una onestà del racconto, che mi ha emozionato e commosso.   
Nonostante i temi trattati siano “tosti”, in realtà è un libro che si legge molto facilmente. Perché è un libro che è frutto di un grandissimo lavoro su di sé e sullo sguardo. E’ un libro che è capace di avere negli occhi lo sguardo dell’altro. 
Scrivere questo libro è una operazione che gli è costata molte notti,  immagino, dopo giornate piene. Ma evidentemente avevi una forte motivazione. 

Emiliano Manfredonia: 
Questo autunno, quando abbiamo inaugurato la Rete Urbinate, sono stato qui una sera (questo circolo sarà un luogo dove tanti si incontrano. Non c’è niente di più bello per le Acli che essere un punto di una rete). Quella sera ero stanco, affaticato, mi aspettavo l’ennesimo incontro, non mi aspettavo grandi cose. Fare il mio dovere, salutare gli amici... Quando ho capito la storia che è passata da qui, ho recuperato ciò che è successo, con Giovanni Bianchi, Franco Passuello. Qui si facevano incontri di spiritualità. Incontri di studio e spiritualità.  
Mentre ripensavo a tutto questo e mi raccontavano come è nato il circolo, mi hanno messo in mano il libro di Don Italo Mancini. Don Italo Mancini ha scritto tante cose. Tra cui questo libricino: “I volti”. Questo libricino per me è stata una chiave. Avevo in testa tante cose da dire. Tante cose che avevo scritto, ma non trovavo una chiave. Questa chiave me l’ha data don Italo. 
Don Italo Mancini è una persona colta, complicatissima. Devi anche essere un po’ strutturato per leggere ciò che scrive, perché fa tanti riferimenti teologici e filosofici. Però poi dice che tutto deve tornare ai volti. Perché il volto è la parte più disarmata di noi. Con lo sguardo puoi sollevare l’altro, puoi dare dignità, ma puoi anche schiacciare, togliere la dignità. Nello sguardo c'è la chiave del rapporto con l’altro. 
Ho fatto l’esercizio di non nominare mai le Acli. Ma chi legge il libro e conosce le Acli ce le vede, nel testo.

Per me questo libro è anche un libro religioso. Con questo libro ho voluto esprimere il senso di fondo di quello che faccio, un senso che è una esperienza di vita. Vi svelo anche il finale, chi è il colpevole, il maggiordomo con il pugnale in mano: parlare dei volti per me significa anche riconoscere che siamo tutti parte di un mosaico che è il volto di Dio. Che non si vede, se non attraverso di noi, ma noi tutti insieme. Nelle fatiche, nella politica, nelle battaglie, nel servizio, noi possiamo far trasparire il suo volto. 
Io sono molto fortunato, ho molto da restituire, perché anche questi 3 anni e mezzo, pur nella fatica, mi hanno dato modo di incontrare molti sguardi. Quelli che ho guardato con più fatica sono stati gli sguardi delle persone di Leopoli, mentre li guardavo sentivo tutte le Acli sulle spalle, tutte le Acli che venivano con noi in furgone. O gli sguardi delle persone nel campo di Lipa, in Bosnia.  Sono tutti sguardi, tutte esperienze che ho potuto fare solo grazie alla nostra associazione. 
Lo sguardo reciproco vuole essere una chiave di lettura di persone che cercano di credere. Persone che magari non credono, ma che possono capire chi crede e che possono guardare e farsi guardare con questo sguardo. L’armonia degli sguardi, solo guardandoci tutti reciprocamente, solo recuperando questo rapporto, solo guardando negli occhi le altre persone possiamo costruire qualcosa, anche nelle difficoltà dell’oggi, in mezzo a questo mondo rumoroso, a questa politica che sbercia, a questa fatica di un lavoro senza dignità, di questo mondo senza accoglienza.  Attraverso l’armonia degli sguardi, anche in questo mondo al contrario, possiamo trovare una chiave positiva. Che non è una soluzione, è un mettersi in moto,  abbassare le pretese, e offrire sé stessi allo sguardo dell’altro, appoggiare il proprio sguardo sull’altro… 

Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia

"Se non ha ciò di cui hai bisogno cambia. Partner. Negozio. Banca". Va bene che i rapporti non siano tutti eterni. Però che il cam...