"Quando sono entrato in noviziato, eravamo 33.000 gesuiti. Ora quanti siamo? Più o meno la metà. E continueremo a diminuire di numero. Questo dato è comune a tanti Ordini e Congregazioni religiose. Ha un significato, e noi dobbiamo chiederci quale sia. In definitiva, questa diminuzione non dipende da noi. La vocazione la manda il Signore. Se non viene, non dipende da noi. Credo che il Signore ci stia dando un insegnamento per la vita religiosa.
Cali numerici e umiliazione
"Quando sono entrato in noviziato, eravamo 33.000 gesuiti. Ora quanti siamo? Più o meno la metà. E continueremo a diminuire di numero. Questo dato è comune a tanti Ordini e Congregazioni religiose. Ha un significato, e noi dobbiamo chiederci quale sia. In definitiva, questa diminuzione non dipende da noi. La vocazione la manda il Signore. Se non viene, non dipende da noi. Credo che il Signore ci stia dando un insegnamento per la vita religiosa.
Desmond Tutu
PNRR: scadenze tra sogno e realtà
Nel corso della conferenza stampa di fine anno il presidente del consiglio Mario Draghi ha affermato che uno dei grandi risultati raggiunti dal suo governo nel 2021 è stato il completamento di tutte le scadenze legate all’attuazione del Pnrr. Tale affermazione ha destato sorpresa anche tra gli osservatori che nelle settimane precedenti avevano delineato una situazione decisamente diversa.
Poche ore dopo l’annuncio di Draghi poi è iniziata a circolare la notizia dell’approvazione dei cosiddetti operational arrangements. Cioè le modalità attraverso cui le istituzioni europee effettueranno le verifiche sui risultati raggiunti dai singoli stati e successivamente erogheranno le risorse del Next generation Eu nei prossimi anni. Questi annunci hanno generato un po’ di confusione facendo sembrare che le istituzioni europee si fossero già espresse favorevolmente su quanto fatto sin qui dall’Italia. In realtà non è proprio così. Bruxelles infatti valuterà l’operato del nostro paese solo nelle prossime settimane.
Terza dose
Il rischio è ineliminabile
Cosa c'entra con le organizzazioni sociali, oggi, la comunità?
Vaccini
Animazione di comunità: dai bisogni individuali alle proposte collettive
- Carta della Partecipazione illustrata
- Glossario la partecipazione in poche parole
- Progettazione partecipata oltre la tecnica
Insicure...
- cosa determina le caratteristiche che le donne non hanno? Sono innate, genetiche, biologiche o sono caratteristiche socialmente, storicamente, culturalmente date?
- quelle caratteristiche di cui, eventualmente, le donne sarebbero carenti, sono quelle necessarie per svolgere bene il ruolo che in certi ambiti sarebbe utile svolgere o sono necessarie per sgomitare ed ottenerlo o per difenderlo con i denti da chi lo attacca?
- accettare di essere "la donna in mezzo agli uomini" cioè sentirsi magari sempre un po' diversa e fuori posto, ma trovando i modi per farsi accettare. O con la seduzione. O con forme di cura e "badantato" altrui. O simulando di farsi "prendere in carico" dall'uomo che ti spiega come devi fare... In ogni caso non dando troppo fastidio ai manovratori, stando sempre all'interno del recinto dato e mandando giù con grande eleganza vari rospi.
- porsi come "la donna rivendicativa in mezzo agli uomini". Portando su ogni aspetto ed argomento il tema della differenza di genere...
- uniformarsi agli uomini, assumendone tutte le caratteristiche. Diventando in tutto come un uomo.
- provare semplicemente a portare il proprio modo di essere e di fare personale e professionale, le proprie conoscenze e le proprie competenze.
A leggere così sembra molto semplice scegliere, no? Ovviamente le prime 3 sono negative, ovviamente l'ultima è quella giusta. Invece, dal punto di vista dell'equilibrio pre-esistente, la prima e la terza modalità in fondo sono funzionali. La terza è una rottura di scatole, ma limitata. E' l'ultima è il vero problema!
Provare ad essere se stessi è ciò che nei fatti incontrerà maggiori resistenze e aprirà maggiori conflitti. Perchè (anche senza volerlo) metterà in discussione il contesto. Non starà nelle cornici implicite (e spesso inconsapevoli) già date. Non lascerà passare inosservate (a persone che spesso sono realmente in buonissima fede) discriminazioni e imparzialità, indipendentemente da che queste siano connesse con il tema di genere o meno.
E' qui che, secondo me, entra in gioco il tema della "sicurezza di sé" e della "spavalderia".
Una donna in un contesto maschile, come un mancino in un contesto di destrimani, come un italiano in un contesto di inglesi, come un tennista in un campo da basket...non trova il mondo a sua misura, non può ricorrere ad automatismi, deve osservare, esplorare, inventare, sperimentare, deve costruire le modalità per... Questo la rende meno sicura di sé e spavalda, specie nelle fasi iniziali? Può essere.
Una donna in un contesto maschile si trova mille volte al giorno a subire piccole umiliazioni, non riconoscimenti, soprusi. Robe tipo il signore molto distinto che "si appoggia" sull'autobus pieno. Che se ti giri e dici "Che fa!?" Lui ti fa la faccia innocente e dice "Non capisco, cosa intende? Ma le pare? E' stata la frenata del pullman!". Non c'entra il tema dell'abuso. C'entra il tema del sopruso negato. Ogni donna che in adolescenza ha vissuto in una città con i mezzi affollati sa riconoscere queste situazioni e ha trovato il suo modo di districarsi. Ma se lo applichi a contesti di ruolo, come se ne esce? Questioni come la sedia della Von Der Leyer senza le telecamere e con quasi tutti solo uomini attorno come sarebbe andata? Se lei, in una riunione successiva con il collega, avesse posto il tema, qualcuno non avrebbe detto che era insicura e che dava importanza a cose banali? Se non l'avesse posto, qualcuno non avrebbe detto che era insicura e si faceva mettere i piedi in testa? E' una strada senza uscita. O almeno così appare.
Una donna in un contesto prevalentemente maschile si trova mille volte al giorno di fronte a persone che (chi in buona fede e chi no) non riescono a capire perchè lei dica ciò che dice... Tu vedi il cielo azzurro, ma tutti ti dicono che è verde. E allora tu, certe volte effettivamente dubiti, ma... non sarò io che non ci vedo? Questo influisce sulla sicurezza di sé? Beh, può essere. Però in genere poi ti attrezzi anche e ti rafforzi, perchè sai che va così.
Una donna in un contesto prevalentemente maschile tende a farsi domande su di sè. Anche perchè questo è il suo modo di affrontare le cose. In un confronto con altri, pensa che sia giusto ascoltare, verificare: Può essere che in ciò che dice lui ci sia qualcosa di utile? Come la vedrei a parti inverse? Questo è visto come essere insicure. Ma non credo lo sia. Non potrebbe essere invece il contesto ad avere un deficit di capacità di ascolto, di messa in discussione, di analisi ed introspezione?
Una donna in un contesto maschile spesso vuole prioritariamente che il pensiero collettivo progredisca, che un processo si attivi, che le cose accadano. Tante volte per questo accetta mediazioni, valorizza ciò che di buono c'è nel pensiero dell'altro, ci lavora sopra, porta contributi anche senza che questo sia riconosciuto. Questo non funziona moltissimo per affermarsi. Sicuramente. Ma possiamo dire che questa sia una insicurezza della donna? Non potrebbe essere più funzionale per tutti un contesto in cui ci si ascolta di più e si co-costruisce di più?
Una donna in un contesto maschile a volte tiene il punto. Perchè le pare giusto. Perchè non facendolo le sembrerebbe di tradire il proprio percorso e quello di chi si è fidato di lei. Farlo, spesso del tutto da sola, le fa fare tanta fatica. Nemmeno questo funziona moltissimo per affermarsi. Non viene certo vista come sicura, ma come polemica, sgraziata, acida.
Ma sembra un po' un gatto che si morde la coda. Tranne fare l'uomo o accettare di essere "di contorno" tutto sembra non funzionare. Forse è persino inevitabile, l'entrata del nuovo in certi contesti fa sentire in pericolo, esce l'istinto di difesa del proprio ruolo, potere, territorio. E' persino naturale.
Però, incredibilmente, a volte funziona. A volte ci sono donne che riescono a restare se stesse in certi contesti. E riescono a starci a lungo. Sarebbe da studiare cosa ha funzionato, come, perchè...
- accettiamo tutti, almeno come idea, che l'universo costruito su un modello di governo che definiamo maschile (rigido, apparentemente forte, centralizzato, dirigistico e tecnico) non sia l'ideale? E che non lo è nemmeno includendo donne cui è affidato il compito di essere "femminili" (creative e relazionali) in uno spazio limitato mentre il contesto complessivamente resta come era?
- L'arrivo di donne in contesti maschili non è il punto massimo di concessione (così poi finalmente non rompete più!), ma può essere l'inizio di un processo di trasformazione di cui c'è estremo bisogno. Verso modalità di governo e di esercizio dell'autorità che siano più in grado di stare nella complessità e nella contemporaneità. Verso modalità più partecipate, più inclusive, più circolari, più dinamiche, più policentriche, più sistemiche, più sostenibili...
Cosa ha detto Barbero?
Perchè lo sviluppo sociale di comunità?
E ci sono le pratiche sociali: cioè ciò che ciascuno di noi fa concretamente nella propria vita quotidiana. Perchè è a partire da quello che si costruisce collaborazione e confronto e si può costruire sviluppo della comunità.
Andrea Volterrani per FQTS
In uno stato democratico
La scheda elettorale
Il primo gesto di socialità è una infrazione alla regola
Society, con dedica
E' bella la vita quando accade,
è bello quando le persone si incontrano, andando un po' oltre la superficie.
Cambiamento non è dimenticare.
Non è nemmeno ricominciare.
E' mettere a frutto le cose, sempre in modo diverso, aprendosi a persone ed esperienze.
Nulla va perso, tutto si trasforma.
Tutto può fiorire e portare bellezza.
#salutoalnoviziato
Una bella boccata d'aria
Tutto dipende dal primo mandato che Adamo ha ricevuto da Dio
La Playlist dello Sviluppo Associativo
Lavoro e bellezza
In dialogo con:
Elena Granaglia, Prof.ssa di Scienza delle Finanze dell’Università di Roma Tre,
Luca Visentini, Segretario Generale Confederazione Europea dei Sindacati
Ivana Pais, Prof.ssa di Sociologia economica all’Università Cattolica
Migliorare è cambiare il modo di risolvere i problemi
Le comunità sono fondamentali per il terzo settore e, dopo la pandemia da Covid 19, lo ono ancora di più. Recentemente sempre più spesso leggiamo delle comunità come risorsa e come impresa tanto che qualcuno si spinge oltre, riferendosi a un futuro dove si potrà vivere il capitalismo comunitario. Una visione esclusivamente economicistica delle comunità che, invece, sono innanzitutto luoghi dove le persone costruiscono la loro vita quotidiana, le loro relazioni sociali ed affettive, la loro identità. Questi tre aspetti sono stati le radici dalle quali molte organizzazioni di terzo settore sono nate percependo e condividendo con le persone prima e, poi, costruendo azioni, progetti e servizi per contribuire a costruire comunità differenti. Ma oggi la situazione è, per molti aspetti, cambiata.
Abbiamo vissuto un processo di “istituzionalizzazione” del terzo settore che ha prodotto un lento ma inesorabile allontanamento dalla comunità territoriale.
Alcune realtà del terzo settore, anche le più radicate, hanno a poco a poco smesso di essere parte integrante delle comunità di riferimento, divenendo sempre più soggetto estraneo, fornitore di servizi. Le comunità quindi, dal punto di vista del terzo settore, si sono ridotte a destinatarie di interventi, più o meno strutturati o efficaci, ma comunque sempre in un rapporto asimmetrico tra fornitore e fruitore.
Ciò evidentemente ha accentuato un processo di scollamento che nel tempo ha portato terzo settore e comunità a collocarsi su livelli differenti, rendendo spesso sterile e asettica l’azione sul territorio.
Occorre quindi ripartire dalla comunità, ma per farlo è necessario un cambio di paradigma culturale che consenta di rimettere al centro le persone, e non l’organizzazione terzo settore, i beni relazionali e non i servizi o le attività.
Per un nuovo paradigma culturale per lo sviluppo comune delle comunità
Il primo pilastro del nuovo paradigma è il riconoscimento delle nuove caratteristiche delle comunità. La moltiplicazione delle comunità e il loro essere sempre più fluide con un elevato grado di complessità e differenziazione è una evidenza empirica della quale tenere conto e, soprattutto, necessità di ulteriori approfondimenti. Non è facile individuare e delimitare il lavoro per costruire sviluppo sociale in molte delle comunità contemporanee perché non esistono confini certi. Quindi è importante adottare un approccio olistico, includente e aperto all’inaspettato che abbia come obiettivi l’incremento del capitale sociale (e quindi della fiducia e delle relazioni) e della coesione sociale (e quindi della densità delle relazioni) disponibili a chi abita le comunità.
Il secondo pilastro è l’adozione di un approccio che ponga al centro le persone e le relazioni. In sintesi, è fondamentale fare riferimento a: a) protagonismo degli abitanti delle comunità in ogni momento e in ogni contesto. La domanda da porsi sempre è: chi lo sta portando avanti? Di chi è stata l’idea? Se la risposta non è le persone e/o la comunità, allora stiamo seguendo un’altra tipologia di approccio che prevede una imposizione delle idee dall’alto e, spesso, dall’esterno; b) la facilitazione della partecipazione reale e non formale attraverso un supporto di animazione non invasiva che si affianca e non prevarica le persone e la comunità; c) un nuovo ruolo degli Ets che si muovono all’interno della comunità e con la comunità, abitando e vivendo i luoghi del quotidiano delle persone per costruire insieme il futuro della comunità; d) il racconto continuo, coinvolgente e affascinante di quali sono, passo dopo passo, gli sviluppi della comunità; e) il coinvolgimento attivo delle istituzioni in un processo reale di co-programmazione prima e di co-progettazione poi.
Il terzo pilastro è la crescita della capacità collettiva di lavorare sulla comunità immaginata attuale e sull’idea di futuro della comunità. Un lavoro sulle percezioni che ha la necessità di scavare nelle profondità anche poco trasparenti dell’immaginario individuale e collettivo delle persone e della comunità e sull’immaginazione civica. Accanto a questo è ormai necessario lavorare per far crescere anche nelle comunità e negli Ets la consapevolezza del mondo digitale. Parlare di reale contrapposto al digitale non ha più senso, tanto meno per le comunità. È importante, invece, spostarsi senza soluzione di continuità da un piano all’altro per far incontrare le persone, collegare ambiti e situazioni differenti, ricostruire comunità capaci di crescere su entrambi i versanti anche attraverso le cosiddette piattaforme digitali di prossimità.
Quinto pilastro è non dimenticare che al centro dobbiamo sempre mantenere le relazioni e i legami sociali insieme alle persone che le interpretano e le esprimono. Senza questo non esiste nessun processo di sviluppo di comunità, ma, invece, una ingegnerizzazione sociale della quale abbiamo già visto i danni nel passato.
Infine, è bene ricordare che siamo sempre all’interno di processi sociali e non di obiettivi/progetti dove non possiamo/vogliamo/dobbiamo sapere gli esiti finali e le tempistiche. Processi che, come suggeriva Freire, partono dal basso per creare consapevolezza e coscientizzazione nelle comunità che poi, se vorranno, potranno prendere il proprio destino nelle loro mani.
Non esiste una ricetta precostituita per poter seguire un approccio di questo tipo, ma, piuttosto, uno sguardo lungo sulle persone e sulle comunità che tenga conto della complessità, possegga capacità e competenze molto ampie sui processi partecipativi e la loro facilitazione, sulla costruzione e il mantenimento delle relazioni e della fiducia, sull’affiancamento (e non la sostituzione) alle persone, sulla comunicazione on e off line e sullo storytelling, sul funzionamento delle istituzioni e sui processi decisionali, sulle azioni di rete e abbia, infine, la prospettiva fondamentale di stare in secondo piano rispetto alle persone e alle comunità.
Una visione di insieme che si pone come processo circolare per la costruzione di capitale sociale ed empowerment, elementi fondati per la definizione di un modello di sviluppo realmente condiviso dalla comunità.
Quale ruolo degli Ets e degli attori sociali
In tale ottica è possibile immaginare l’effettivo coinvolgimento di tutti gli attori sociali presenti sul territorio, ivi compresi gli attori istituzionali, anch’essi parte integrante della comunità, e non solo elementi di governo o peggio severi burocrati controllori. Utilizzando al meglio gli strumenti di cui all’art.55 del CTS, il terzo settore potrà fungere da mediatore, da anello di congiunzione, da ponte di collegamento tra le istituzioni e gli stessi cittadini.
Gli Ets, infatti, dispongono di una specificità che è unica rispetto tutti gli altri attori sociali. Pur non essendo pubblica amministrazione, svolgono comunque una funzione pubblica nell’interesse generale, e pur non essendo cittadini o aziende a fini di lucro, si muovono comunque nel campo della soggettività privatistica. Tali caratteristiche fanno del mondo del terzo settore un soggetto unico, che ha in sé le potenzialità per divenire l’humus su cui far crescere processi virtuosi di cambiamento e innovazione sociale.
A tal fine è necessario uscire dai consueti schemi che vedono le organizzazioni del terzo settore schiacciate sulla dimensione del fare, che troppo spesso ha determinato processi tesi alla mera auto-riproduzione delle attività storicamente svolte, accentuando invece, e possibilmente implementando, quella dimensione “politica” che peraltro è propria delle origini dell’associazionismo, soprattutto del volontariato.
È in tale dimensione, infatti, che si sviluppa la visione d’insieme comunitaria e che si restituisce il senso all’agire degli ETS.
Ripartire dalle comunità, quindi, non significa pensarle come nuova possibilità di attività, ma quali reali protagoniste del proprio processo di sviluppo, all’interno del quale gli ETS sono mezzi al fine, e non viceversa. Non è sufficiente utilizzare il termine “comunità” per operare realmente all’interno di un approccio comunitario. È invece necessario credere fortemente nella forza propulsiva e innovatrice del capitale sociale e nella capacità moltiplicativa di risorse che i processi partecipativi, reali e non meramente figurati, possono dispiegare.
Le interazioni tra gli attori sociali di una comunità, il reticolo di solidarietà e reciprocità che si forma tra cittadini, corpi intermedi e istituzioni, è motore di processi evolutivi importanti e duraturi.
Investire nelle relazioni comunitarie è oggi un percorso rivoluzionario, prima di tutto culturale, inteso come cambiamento radicale del modo di intendere e pensare il territorio. Un approccio in netta controtendenza con le spinte individualistiche e auto-riproduttive di un modello di società introversa, chiusa su posizioni difensive determinate da una paura indotta verso la diversità e quindi genericamente verso l’altro, inteso in senso lato come qualsiasi cosa al di fuori della mia persona, della mia famiglia, della mia cerchia ristretta, e purtroppo, anche della mia organizzazione, partito politico, religione.
I modelli di sviluppo territoriale che partono da tali presupposti, senza un preventivo investimento sulle relazioni comunitarie, per quanto “tecnicamente” ineccepibili, rimangono sempre il frutto di mediazioni al ribasso tra posizioni pregiudiziali e inconciliabili, risolvendosi spesso in processi parziali e incompleti, se non in veri e propri fallimenti.
Invece è proprio dal bisogno primario e innato di relazioni che occorre partire per ripensare filosofia e metodo dell’agire comunitario.
In questo modo una diversa idea di sviluppo forse potrà prendere davvero corpo e sostanza nelle nostre comunità.
di Andrea Volterrani, ricercatore e docente all’Università di Roma Tor Vergata.
Per FQTS:
per approfondire
Freire P. (2018), Pedagogia degli oppressi, EGA, Torino
Squillaci L., Volterrani A. (2021), Lo sviluppo sociale delle comunità. Come il terzo settore può rendere protagoniste, partecipative e coese le comunità territoriali, Fausto Lupetti Editore, Bologna
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