Pratiche dell'abitare e processi generativi nelle periferie

Sono un docente di urbanistica. Però a volte anche un po' anomalo. Mi capita di lavorare in altri discipline, contesti, situazioni. Con economisti.... per guardare la città servono molti occhi, servono sguardi strabico. Le persone, le strutture, i grandi processi che li attraversano. Quando si occupa di animazione si deve avere a che fare con molte cose differenti. A me capita molto di lavorare sul campo. Farò riferimento a situazioni concrete che ho avuto modo di studiare e seguire. Molte cose si capiscono solo andando sul campo e avendo sollecitazioni che vengono dal campo e con cui si interagisce in maniera costruttiva. L'unico modo per capire non è analizzare, è entrare dentro i processi e viverci dentro. 

Assumo un punto di vista fondamentale: abitare e vita quotidiana. Superando la dicotomia tra città di pietra e città degli uomini. Gli urbanisti guardiamo le infrastrutture, mentre sono importanti le persone che ci vivono. E' importante come le persone vivono nei luoghi dove abitano. Nostro obiettivo di fondo non è il miglioramento degli spazi, è il miglioramento dei condizioni dei vita delle persone. 

Quindi è importante guardare quelle che si chiamano pratiche urbane. Vedere come le persone usano lo spazio. Come lo vivono, se ne appropriano, lo trasformano. Questo significa mettere assieme le due dimensioni, materiale e immateriale. Ogni volta che gli abitanti usano lo spazio, portano nello spazio dei valori, dei modelli, e il modo in cui se ne appropriano e lo trasformano proiettano dei significati in quello spazio. Ogni luogo ha un valore. E nella fisicità dei luoghi viene proiettata una dimensione immateriale. Quando andiamo a toccare uno spazio andiamo a toccare grandi significati profondi incorporati nello spazio.

Dato questo obiettivo, per me è molto importante, nel guardare la realtà, andare a cogliere le risorse che i territori esprimono. Le persone sono attive, producono, costruiscono. E' molto importante non soffermarsi in primis sulle mancanza. Ma cogliere le risorse latenti. Le progettualità esistenti. Andare a cogliere quello che i territori già esprimono. Andare a cogliere le forme di generatività e di auto-organizzazione. I territori non sono tabule rase. In tutti i territori sono in corso processi di riappropriazione e di risignificazione.  Sono queste le politiche (embrionali ma già esistenti) su cui è interessante lavorare. 

Cos'è periferia. 
Le periferie si sono trasformate nel tempo. Noi pensiamo alla città come ad un centro storico con attorno una corona di periferie, di pasoliniana memoria. Ma ormai la città è esplosa sul territorio. E ha perso senso la dicotomia tra centro e perifeia. E ha perso senso la dicotomia centro uguale qualità e periferia uguale disastro. Oggi abbiamo tante periferie diverse. Possiamo avere luoghi molto ricchi, dove le povertà sono di tipo diverso. Possiamo avere ghetti community, in cui il tema è la povertà della socialità e della dimensione pubblica del convivere. Le periferie esterne, in termini spaziali, sono molto diversificata. Così come nel centro storico abbiamo marginalità: barbonismo, immigrazione, anziani. Abitare oggi non è un'operazione scontata, abitare è molto difficile. La dimensione di perifericità non è legata alla dimensione spaziale. Non è legata alla distanza dal centro. E' legata alla condizione di marginalizzazione dai grandi processi di un territori. La perifericità si vede dal fatto che lo sviluppo procede in alcune direzioni e alcuni territori non sono parte di questo viaggio. E' in atto un processo di periferizzazione dell'Italia. E di periferizzazione del mondo. Siamo sempre più marginali rispetto ai grandi flussi globali. Siamo di fronte ad una declinazione diversa dell'idea di periferia. Che è il prodotto anche delle disuguaglianze delle povertà urbane.

Roma
Noi oggi, pensando a Roma, vediamo che ha una grande espansione fuori dal Grande Raccordo Anulare. Il Comune di Roma ha le dimensioni della Provincia di Milano. C'è la rottura dell'idea della città densa, in cui noi viviamo tutti insieme. E della provincia, dove c'è poco centro abitato. Oggi abbiamo una città che è formata da brandelli di territori in cui le persone sparse ma con dimensioni e caratteristiche urbane. La maggior parte della Città di Roma è periferia. Il centro storico sono 100.000 abitanti. Anche meno. Su 2.900.000 abitanti totali. In realtà, Roma è la sua periferia. Per questo parliamo di città territorio. La città è il territorio esteso in cui si forma una città che non è più quella compatta conosciuta. 

Tre tipologie di periferie principali: la città abusiva, la nuova città mercato, la città pubblica. 
Le periferie sono, quindi, quasi la totalità della città. Proprio per questo sono luogo di grande interesse. La periferia non coincide con l'immagine che se ne dà. Non è solo e tutto degrado. È anche vitalità, luogo in cui le persone prendono iniziative. Luoghi in cui si inventano iniziative per rompere le condizioni in cui le persone vivono. Anche la Laudato si rimanda a questo: andare nei luoghi ultimi perchè sono quelli che raccontano l'anima della città.  Ma per farlo abbiamo anche bisogno di ripensare l'immaginario che abbiamo delle periferie.  

La città abusiva. Un terzo della città è di origine abusiva. 800.000 abitanti sono in quartieri che hanno una origine abusiva. La capitale d'Italia è per un terzo di origine abusiva. Dopo si è intervenuti, sono stati condonati...ma dobbiamo tenere conto che gran parte della città si è prodotta in questo modo. Che vuol dire anche essersi prodotta senza marciapiedi, senza piazze, senza servizi... Perchè il condono è servito poi sanare l'illegalità, ma non a disegnare la città. Questo processo abusivo è ancora in corso, nelle aree agricole. Dove nuclei di ex aziende agricole mirano a essere trasformate in edilizia residenziale.
Ma quando parliamo di abusivismo dobbiamo interpretare bene. Negli anni 50 la gente costruiva in modo abusivo perchè in città esplodeva il problema della casa. Dopo è arrivato un abusivismo di convenienza, costruire così è diventato il modo per avere una casa un po' più di qualità, ma fuori dal mercato. In alcuni casi è abusivismo speculativo. Non sempre. Pensando agli immaginari delle persone, questo è stato il modo in cui le persone hanno mirato alla mobilità, all'up grade sociale. La casa è stata il modo di rappresentare la propria posizione nella gerarchia sociale. Poi però il sistema è cresciuto e il costruire a Roma è diventato un sistema economico.  

Come è avvenuto il recupero delle aree? Il comune ha detto: non lo faccio io. Mettetevi d'accordo tra proprietari. Invece di dare soldi a noi, fate cassa comune e riqualificate i vostri territori. Cosa si è innescato? Che questi consorzi hanno costituito soggetti intermedi. E che sono questi soggetti intermedi che di fatto governano i territori. L'abitante, se ha bisogno di servizi, se ha bisogno di sistemare, si rivolge al Presidente del consorzio, non al Comune. Cambia il soggetto politico di questi territori. Questo è importante da tenere presente.  Se si vuole animare un processo sui territori, si deve fare i conti con chi si muove su quei territori. Si deve fare i conti con l'idea di interesse pubblico che permea quel territorio. Ci sono diverse culture di pubblico. Qui l'approccio è quello proprietario privatistico. Come fossimo un grande condominio. Ci sono gli spazi privati, importanti. E c'è lo spazio comune, conflittuale. Riqualificare è interessante solo se va a beneficio diretto della proprietà privata dei singoli. Si crea un conflitto tra consorzi e comitati di quartiere. I primi mirano a riqualificare per far crescere il valore della proprietà singola. I secondi mirano a fare i parchi, biblioteche comunale, scuole... opere che migliorino la qualità dell'abitare.   

La nuova città mercato
Dopo il Piano regolatore del 2008 sono nate le nuove grandi centralità, i grandi poli commerciali. Oggi siamo arrivati a 28 centralità. Se pensiamo a Roma est dobbiamo tenere conto che si tratta di un insieme di 220 negozi, 9000 posti auto, 19 milioni di visitatori l'anno (molti di più del Colosseo). Con un bacino di utenza che non è Roma, che copre parte di lazio, toscana ed umbria... La gente viene e in questo luogo ci passa il week end. Ci fa la spesa e ci va al cinema. L'idea del centro commerciale fatto in questo modo è un cambiamento antropologico. Oggi sono 28 i centri di questo tipo. Sono tutti attorno al Grande Raccordo Anulare. E tutti raggiungibili con la grande mobilità. Questo cambia il modo con cui guardiamo alla città. La gente, nel tempo libero, non si muove più verso il centro. Ma si muove verso il centro commerciale. Geograficamente, non si sposta verso l'interno, ma verso l'esterno. Questo porta ad un diverso modo di orientarsi nella città. 

Tutto attorno a questi nuovi centri sono nati i quartieri limitrofi. Dove non c'era nulla. E dove c'era un quartiere precedente. Il centro commerciale per quel territorio è una piovra, un buco nero. Siccome tutto sta dentro (i negozi, i servizi, le piazze...) la gente va dentro per tutto. Anche se solo deve comprare il pane. Cosa resta fuori? praticamente solo gli idraulici, i bar, le pizza al taglio... Le strade di questi quartieri non sono fatte per essere percorse a piedi. La gente esce di casa in ascensore, arriva nel garage del complesso residenziale, prende la macchina, raggiunge il centro commerciale, dove parcheggia in garage, prende l'ascensore e si muove all'interno. E poi vice versa per tornare. Scompare tutto quello che c'è in mezzo. Il senso del vivere collettivo si disperde. La città è l'intrecci o delle storie di vita delle persone che abitano quello stesso territorio. In una relazione di comunità. In questo modo di vivere il senso della comunità si perde. Perchè il centro commerciale, oltre ad essere uno spazio chiuso ed artificiale, fa incrociare le persone di un territorio molto ampio. Che non condividono progettualità comune. C'è un impoverimento della socialità e del vivere collettivo. 

Questo proliferare di nuove centralità, ha prodotto la città del GRA. La grande conurbazione attorno al GRA, che prima era il confine tra città e campagna. Adesso invece la gente entra ed esce da questa fascia, senza mai andare in centro. Questo struttura la vita delle persone. C'è anche un grande effetto sulle dinamiche complessive. Dentro il Gra la popolazione tende a diminuire. Fuori dal Gra la popolazione tende ad aumentare. Attorno ai caselli si sono realizzati nuovi complessi residenziali. Si sono sviluppati attorno alle uscite dell'autostrada. Sono Roma, ma sono appendici di Roma. E' un modo diverso di abitare. Con pendolarismo. Ma i servizi la gente li chiede a Roma, li cerca ancora a Roma, spesso senza risposta.  

La città pubblica. 
Roma è la più grande città pubblica d'Italia. C'è una presenza massiccia di edilizia residenziale. In cui  abbiamo una concentrazione di differenti difficoltà. Non per responsabilità degli abitanti. Ma per natura stessa dell'edilizia residenziale pubblica. Che viene assegnata a chi è in situazione di difficoltà. 
Oggi sono quartieri stigmatizzati. Nell'immaginario collettivo sono i posti peggiori. In realtà sono luoghi di grande concentrazione. 30.000-35.000 abitanti in un unico complesso. 5.000 abitanti in un unico edificio... Sono luoghi in cui c'è anche spaccio e delinquenza. Ma in cui almeno l'80% delle persone ha una vita normale. O prova ad avere una vita normale. In un contesto in cui si deve alzare due ore prima per andare a lavorare, perchè i collegamenti non funzionano. In cui la sera torna ed ha paura. In questi luoghi il degrado c'è. La vita è difficile. Ma molto è dovuto al meccanismo con cui questi luoghi sono stati pensati. Puoi accedere alla casa pubblica solo se sei sotto sfratto, se hai disabilità, se hai disoccupazione... se questo viene moltiplicato per 30.000 abitanti è chiaro che la concentrazione del disagio sociale diventa automaticamente un ghetto.  

Nel rapporto della Dia si legge che Tor bellamonaca ha scavalcato San Basilio nello spaccio. Ma questo non vuol dire che tutti spacciano. Vuol dire che ci sono magari 10 famiglie che si dividono lo spaccio. Vuol dire che c'è anche una economia criminale. Il che non è una sorpresa. L'economia criminale si sviluppa dove c'è povertà. Dove c'è povertà e non ci sono istituzioni, ti affidi a quel che c'è. Ci sono ragazzini che, in una giornata, guadagnano più di quanto la madre in un mese. L'animatore di comunità se vuole intervenire in queste aree deve tenere presente anche i processi strutturali che in quelle aree si sviluppano. Deve tener presente che non basta intervenire sul livello micro e singolo. Serve contestualmente un intervento sul livello più alto. Ci sono piazze da riqualificare. Certo. Ma se io non intervengo sul resto io riqualifico quella piazza, faccio lavorare gli urbanisti, ma poi sono sempre allo stesso punto. Se la piazza è il luogo del conflitto tra spaccio e madri che cercano di difendere i figli tenendoli lontani dalla criminalità, lo spacciatore la prima cosa che farà è distruggere la lampada. Perchè nessuno venga in piazza a passare il tempo seduto sulla panchina. Il posto deve essere un po' buio e desolato per poter vendere e comprare. In un contesto del genere, non basta lavorare sulla riqualificazione della piazza. Devo lavorare anche, contestualmente, sul tema del lavoro, per fare si che spacciare sia un lavoro meno appetibile. Devo innescare un processo di rafforzamento dell'economia locale. 

Anche in questi spazi ci sono tantissime iniziative di rivitalizzazione. Comitati, gruppi informali che portano avanti iniziative, che puliscono parchi, che aprono ciclofficine. C'è tutta una mappatura delle iniziative. Sono forme di autogestione e di generatività. C'è una energia potente in tutto questo. Non bastano. Ma sono importanti. Quando si interviene è necessario avere un occhio per tutte le energie che i territori già esprimono. Se tu vieni da fuori e avvii qualcosa senza guardare a quello che già c'è, ti sostituisci e delegittimi chi si è già mosso, magari da più tempo, con meno soldi. Ma quel qualcuno vive in quel quartiere e resterà in quel quartiere, più di te, che arrivi con il tuo progetto e poi te ne vai. Intervenire senza guardare ciò che c'è rischia di fare danni enormi. C'è una città che vive e che si organizza. Da una parte questo è un punto debole della città, perchè copre le carenze dell'amministrazione pubblica. Ma dall'altra offre opportunità ed è espressione di energia vitale.  

Il Museo dell'Altro e dell'Altrove, l'area Ex Snia viscosa, il Cinema America... Ma anche il Condominio del Barbagianni, la Baobab Expirience... Come è possibile concentrarsi su politiche di generatività? Valorizzando i processi già esistenti. Ricostruendo luoghi comuni. Sostenendo processi di riappropriazione. Approfondendo l'idea di pubblico. Ricostruendo una cultura del pubblico ed un ripensamento della politica e delle istituzioni. Che abbia a che fare con la vita quotidiana. Che esprima parole significanti.  

L'animazione è un processo importante. Fare rete, scoprire e connettere esperienze generative. Sono scomparsi i corpi intermedi. Le parrocchie sono isolate. Associazioni e parrocchie non riescono a costruire rete. L'animazione è preoccuparsi di processi di interazione costruttivi. Preoccuparsi che si condividano le energie dei territori. Attivare processi. Far prevalere il tempo sullo spazio. Valorizzare ciò che esiste, anche se imperfetto. Non sostituirsi. Avere presenza critica. Non è che tutto va bene. Ma esserci, in un dialogo non giudicante. C'è una grande difficoltà a ricostruire l'interesse pubblico. Serve costruire contesti di interazione, in cui si ragioni assieme sull'interesse publico. La politica deve fare questa mediazione tra mondo dei valori e condizioni di vita. In questo c'è dentro l'idea di città e le linee con cui si possono sviluppare ed intercettare i grandi processi globali. 










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