Fuori sintonia...



Tra le cose che mi sono arrivate in risposta al post ce n'è uno diverso dagli altri. Mi suggerisce il contenuto di alcune schede sul tema pace - relazione - conflitto. E' un libro (Trascend) che conosco, di un autore (Galtung) che conosco. Lo rileggo di un fiato e mi sembra al tempo stesso così vicino e così lontano da ciò che viviamo... 
Il conflitto va gestito con libertà, responsabilità e creatività.
Il conflitto si può gestire con due metodi: 
  • violento (che impone o cerca di imporre la propria volontà all'altro non riconoscendolo come inerlocutore degno di una relazione giusta, non istaurando un dialogo e non usando la parola se non per togliere o minare o attaccare la dignità dell'altro).  
  • nonviolento (che riconosce nell'altro un interlocutore con la nostra stessa dignità, capace di un accordo che soddisfi entrambi).  
Occorre non avere paura del conflitto, ma utilizzarlo come occasione per andare oltre il conflitto. 
Occorre un metodo  una via (hodos) che conduca oltre (metá) il conflitto – lo trascenda. 
Un conflitto non può essere definitivamente risolto, ma solo trasformato ovvero trasceso. 
Trascendere significa ridefinire la situazione affinché ciò che sembrava incompatibile e bloccato si apra a una nuova prospettiva. 
La creatività è la chiave per trasformare il conflitto. 
L’atto creativo non significa necessariamente l’inserimento di nuovi  elementi, ma può consistere anche nella combinazione diversa di quelli già esistenti. 
Per trascendere un conflitto serve avere chiaro quale obiettivo si persegue: vittoria, rinuncia, compromesso, trascendenza.  
Nella gestione di un conflitto occorre tenere in molta considerazione i desideri, le emozioni e le ragioni di tutti i partecipanti.
Avrei preferito un tavolo di dialogo e sintesi. Si è scelto di passare da un'altra strada. Comunque vada, che lo si affronti prima o dopo il voto, qualsiasi parte vinca, i problemi da risolvere resteranno sempre sul tavolo. E prima o poi ci si dovrà fare i conti.

Io credo oggi esista la consapevolezza condivisa che i problemi principali sul tavolo siano due: 
- il processo di trasformazione delle Acli (culturale e politica prima ancora che organizzativa)
- il ridisegno complessivo della sostenibilità economica.
Oggi credo che vada considerato che esiste una terza priorità, che ha la stessa urgenza delle altre due con cui si intreccia: la necessità di chiudere l'attuale fase di conflittualità interna che ci trasciniamo da troppo tempo.

Chi fa il presidente si può stabilire con la misurazione della forza. Come si compone la squadra si può stabilire aspettando i voti in consiglio nazionale e/o componendo le esigenze di rappresentanza specifiche (territoriali od altro). Ma la chiusura della fase di conflittualità non è perseguibile con piccoli compromessi o con l'annientamento dell'altro. Non è un'affermazione di tipo etico. E' la constatazione di un fatto. Credo serva mettere in campo, da parte di tutti, una grande capacità di gestire e trasformare il conflitto per farlo trascendere creativamente verso nuove prospettive. Che poi, in altri termini, significa che serve mettere in campo la capacità di far politica davvero. 

Tagliando con l'accetta temi che sarebbero decisamente più complessi, io credo che si possa dire che esistono due tradizioni rispetto alla nonviolenza. La prima fa riferimento ad un filone di resistenza civile e di nonviolenza usata unicamente come metodo. La seconda al cambio di paradigma insito nella scelta nonviolenta e in ciò che questo produce come capacità di trasformazione. 

Non so se il mix sia un azzardo, ma credo che la riflessione sulla nonviolenza  (soprattutto nel suo secondo filone) e quella sulla democrazia deliberativa siano due piste che ci possono essere utili come traccia per la trasformazione culturale delle Acli e per affrontare in modo efficace i problemi che ci attraversano. E credo che, anche se passiamo attraverso un voto che pone di fronte alla scelta tra più candidati, questi principi possono esserci utili a tenere la rotta nella gestione del processo.
L’essenza della democrazia non consiste nella conta dei voti tra posizioni precostituite, secondo il principio di maggioranza, o nella negoziazione tra interessi dati, ma nella discussione fondata su argomenti (deliberation, in inglese) tra tutti i soggetti coinvolti dal tema sul tappeto. 
Come nel sistema politico esterno, anche in quello interno ci siamo sbilanciati eccessivamente verso la rappresentanza. Intermediari e gruppi di interesse (cioè noi) esercitano un'influenza che nell'insieme risulta eccessiva e apparentemente impossibile da contrastare. Il "popolo" pur richiamato come valore ed aspirazione resta lontano ed assente. Disinteressato e in fondo impossibilitato a comprendere realmente i termini delle questioni, non può che accettare di schierarsi in base ad un principio di vicinanza al proprio riferimento storico, politico o territoriale. 

Non nego che l'attuale gruppo dirigente (cioè noi) abbia le proprie responsabilità. Ma non credo si possa leggere solo in questi termini. Nè in termini di problema etico o morale o di divisione in buoni e cattivi. Credo che ciò che stiamo vivendo sia parte della crisi della democrazia rappresentativa attuale. Nell'associazione come nel paese. Non si tratta di essere populisti o di seguire le mode. Nè di inventarsi gesti strumentali o puramente simbolici. Si tratta di riscoprire il senso originario della democrazia, di coinvolgere i cittadini (nel nostro caso almeno i soci) nella gestione della cosa pubblica (nel nostro caso le Acli), si tratta di approfondire come ridisegnare il nostro modello con almeno una quota di trasferimento di reale potere ai soci. E approfondendo quindi i termini di partecipazionedeliberazione e implementazione. (Potremmo scoprire, tra l'altro, che questa riflessione le Acli l'hanno già avviata). 

Potremmo limitarci alla lamentela...che è colpa dei cittadini (nel nostro caso dei soci, dei presidenti di circolo, presidenti provinciali, regionali e così via...) che non partecipano. Ma in realtà l'esperienza dice che le persone sono motivate a prendersi cura della cosa pubblica solo quando hanno fatto esperienza diretta di partecipazione e hanno acquisito fiducia nelle loro capacità e competenze e fiducia nella reale possibilità di influire sul risultato. E tutto questo non avviene spontaneamente. La cittadinanza (anche quella associativa) va coltivata.  E questo credo sia qualcosa da tenere presente nella gestione di questa delicata fase congressuale e dopo.

Lo so che sembra il momento sbagliato per parlare di queste cose. Lo so che sembra che oggi serva focalizzarsi solo sul vincere. Sento di essere fuori sintonia rispetto a ciò che si sente. Non scelgo la bandiera della neutralità come valore in sè. La realtà è superiore all'idea. La realtà è ciò che viviamo. E non si può che partire da lì. Tenendo stretti, insieme nel punto di equilibrio più giusto possibile, lo tra star dentro i processi e il restare se stessi. 

Il mio suono non è sempre intonato. Ciò che c'è in giro non è solo stonato. Ma, questione candidati e numeri a parte, di sicuro le Acli possono aspirare ad una armonia più ricca di ciò che oggi si sente.  
  

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