Il grande sogno (infranto) di poter guidare il cambiamento - Tommaso Vitale


Il grande sogno dei movimenti, delle istituzioni civili, democratiche, solidali, progressiste, per anni e anni, è stato quello di riuscire a costruire una narrazione in cui in qualche maniera noi esseri umani siamo capaci di guidare il cambiamento. E’ una delle cose più importanti che hanno caratterizzato il pensiero sociale e le piccole ideologie associative e civiche negli ultimi 200 anni. Guidiamo il cambiamento. A volte lo guidiamo male, non va bene, allora discutiamo, deliberiamo, facciamo democrazia per guidarlo meglio.

Fermiamoci un attimo. Facciamo una pausa su questa idea che sia tutto nelle mani di Trump, della Meloni, delle Acli, del collettivo, degli esseri umani... Fermiamoci sul fatto che ci siano forze determinanti che strutturano la nostra realtà. Siamo in una situazione in cui un sacco di cambiamenti che viviamo sul piano politico, sociale, sanitario, esistenziale, spirituale, psicologico, sono mossi dalla trasformazione tecnologica. Difficile dire che sia qualcosa che è frutto di politiche, scelte, regolazioni. Un po’ si, ma per lo più è una forza che possiamo in buona misura considerare autonoma e che fa cose straordinariamente importanti e con cui dobbiamo confrontarci, come facciamo di fronte ad altri agenti di cambiamento (climatico etc…). Ovviamente è legato ad azioni di attività umane, ma lo è in maniera molto complicata. E’ un cambiamento che avviene in virtù di forze che in grande misura sono autonome da noi e dobbiamo confrontarci con esse.

Sono cambiamenti che non rispondono a logiche meccaniche. Non rispondono a logiche semplici o lineari: se aumento questo, ci sarà meno di quest’altro. Se faccio questo, ne deriva questo. Il cambiamento tecnologico ha una portata straordinariamente importante e si muove secondo un’altra logica. Ed è straordinariamente importante perché entra dentro il grande sogno della modernità ed entra nella antropologia delle persone su un aspetto cruciale che è l’apertura verso possibilità sconfinate. La voglia di andare al di là dei propri limiti, di oltrepassare le frontiere. Questa, che era una enorme questione, ora si presenta tutta di un colpo nelle nostre vite su un piano cognitivo, che riguarda simboli, culture e questioni del cervello. 

La filosofia moderna inizia con Kant. Quello che ragiona sul senso del limite, nell’etica, nell’estetica, nel diritto, per immaginare forme di vita regolata che uscissero da modalità autoritarie. Il senso del limite caratterizza le dimensioni dell’esistenzialismo. Chi sono io rispetto ai limiti con cui mi confronto. Caratterizza le riflessioni più importanti delle scienze economiche e sociali sulla produzione. Sono belle riflessioni. Il problema è che una cosa autonoma (il cambiamento tecnologico) ci fa provare un’esperienza specifica di limite e lo fa a tutti, a qualsiasi età, quasi a qualsiasi latitudine, quasi a costo zero (ci sono problemi energetici e disuguaglianze ma le cose nelle società occidentali sono comuni) a tutti. Fa provare lo spazio sconfinato della conoscenza ad altissimo contenuto estetico.

Questa rottura storica totale con il limite è qualcosa che entra profondamente nei sentimenti e nelle emozioni condivise che abbiamo. Nessuno ha tempo. Tutti sono in ritardo. Tutti siamo in ansia. Le questioni che prima erano solo dei manager frustrati diventano oggi il problema educativo di tutti. Tutti, a tutte le età, praticamente da subito, ci troviamo di fronte all’infinito, ad una forma di possibilità infinita. Perché il filtro alle opportunità era un filtro simbolico mediato dai soldi. La moneta, siamo a Berlino, Zimmel. La moneta è un bene in sé, può creare mercati, etc… ma la moneta è in gran parte qualcosa che ci permette di gestire la relazione al limite. Siccome ogni cosa ha valore economico e siccome noi abbiamo un potere economico limitato, non possiamo avere tutto. Nel momento in cui le cose sono a costo zero o comunque con un costo di entrata bassissimo. La moneta, la ricchezza, la stratificazione sulla base delle risorse non è più il criterio su cui si gestisce in maniera semplice il limite. Quindi il limite viene soggettivizzato a livelli che non hanno paragone.

Pensate all’accesso a piattaforme di gioco, a Netflix, a Spotify… sono accessi non ad una cosa, sono accesso ad una quantità di cose così sterminate che nessuno può fruire di tutto. Nel momento in cui passo da: pago le telefonate al minuto (o a risposta), a telefonate che hanno costo zero, ho fatto un cambiamento straordinario. Nel momento in cui passo da “ogni foto che faccio ha un costo” a “le foto hanno costo zero, la manipolazione delle foto ha costo zero… mi trovo di fronte alla necessità di gestire il mio rapporto con quelle opportunità infinite. Mi trovo a dover scegliere. Tutto nella nostra vita cognitiva (estetica, spirituale, relazionale) tutto, nella realtà della nostra vita, è senza limite. E tutto (o quasi) richiede una scelta, perché non vi è più un filtro economico basato sull’acquisto per l’accesso. Non è così per la casa, non è così per il cibo, non è così per tutto… ma dal punto di vista di come gestiamo il nostro tempo qualcosa di sconfinato entra nelle nostre vite e rimanda a problemi di responsabilità individuale e questo pesa enormemente sugli individui. Non solo su quelli in tenera età. Su tutti. Pesa in una maniera che stiamo solo iniziando a conoscere.

La capacità di organizzazione della propria vita quotidiana. La capacità di decidere quando fermarsi. La capacità di scegliere, la capacità di porre un limite. La capacità di darsi una sfera simbolica di confini, di tempo o altro che non si vuole toccare, che si vuole preservare, tutto diventa concretamente responsabilità nostra. E’ una responsabilità "psicoqualcosa" che cade su ogni individuo singolo e separato. Il primo punto (enorme) è che l’individualismo di oggi sta anche nella scelta continua di “quando mi fermo”? Non la scelta di chi può vedere la tv fino a tardi e si ferma alle televendite. E’ la scelta di chi ha accesso al meglio del meglio, in qualsiasi momento. Il corpo e i suoi ritmi sono nostra responsabilità. Bisogna ri-regolare, ogni singolo giorno, ogni singola scelta. Le abitudini sono continuamente sfidate da opportunità sconfinate. Questo tipo di individualismo non ha niente a che fare con l’egoismo di chi vuole accumulare più soldi e con l’individuo solo che non ha relazioni. E’ un individualismo iper esistenzialista. E’ un individualismo di necessità responsabile. Io devo centrare me stesso sul tentativo di darmi un limite. E non è una scelta che faccio una volta per tutte. Mi basta non farlo per un pochino che prendo percorsi difficili… Il problema che era solo della iper elite e dei frustrati è oggi il problema di tutti. Il problema della noia di fronte ad un iper infinito che non si placa mai. Chiama ad un intrattenersi perché ci si annoia.

Non c’è più distinzione tra digitale e reale. E’ un tuttuno ed è comunque infinito e senza limite monetario la possibilità di incontrarsi. E questa noia ha anche un doppio, una backlash, una reazione, che sono tutte le comunità estremamente normate, iperideologizzate, che danno delle norme da setta, ma diventano un possibile ancoraggio, per scaricarsi un po’ di peso iper individualizzato.

Il cambiamento tecnologico è sempre stato importante, soprattutto nelle esperienze che hanno origine nel movimento operaio. Il cambiamento tecnologico ha effetto sulle dinamiche di produzione. Ma il cambiamento tecnologico storicamente rinforzava una centratura su alcuni problemi comuni. E polarizzava il campo delle risposte, tra progressisti e conservatori. In passato il cambiamento tecnologico diceva: ecco, questo è il nostro problema. Il lavoro minorile, la sicurezza industriale, il tempo di lavoro… questo è il nostro problema. E si discuteva su: cosa ne facciamo? E, per chi veniva dal movimento operaio, la risposta era: mettersi assieme serve, per avere maggiore forza, per sostenere le nostre ragioni.

Dobbiamo tornare sempre alla genesi della modernità. Un pezzo della storia è la genesi del limite. Un altro pezzo della storia è la dialettica. Abbiamo pensato il nostro rapporto al tutto, in senso dialettico. Con forze un po’ più di progresso e redistribuzione e forze più reazionarie che tornano indietro. Ma più o meno questa centratura dialettica ha funzionato bene per spigare tante cose. Anche in Italia, in cui c’erano complessità legate alla DC… ma comunque c’era una istanza di un lato e di un latro che si confrontavano… Negli USA era molto più leggibile ma la dialettica delle reazioni in avanti e indietro su oggetti comuni era una filosofia importante che ha strutturato il modo con cui abbiamo pensato le cose.

In maniera sempre più sofisticata. Ma dietro c’era la tensione tra due e un’idea virtuosa di compromesso come sale della politica per avanzare sulla gestione di progetti comuni. Questa è una delle basi cognitive. Si convergeva in dei luoghi in cui tutti riconoscevano che questo era l’oggetto di priorità e si discuteva se fare così o così. L’arrivo autonomo, non pensato, del cambiamento tecnologico, ha completamente sfidato, distrutto, marginalizzato, spostato sul lato, le istituzioni formali e rappresentative e il ruolo dei media tradizionali (che, appunto, mediavano e alimentavano questa dialettica, erano uno dei luoghi in cui la dialettica si esprimeva). Il cambiamento tecnologico ha aperto progressivamente un enorme pluralizzazione sotto ogni aspetto. Le comunità di discussione e riflessione sul nostro vivere insieme si sono pluralizzate anche nel riferimento sulle pluralità degli oggetti comuni e sui luoghi e modi di dialettica. Questo è enorme. In questo si accompagnano altri fattori: c’è chi può pensare che non si fida più della scienza, c’è chi non vota, c’è chi dice che è uguale.

Noi possiamo dire che i partiti non sono bravi, non ascoltano… ma non è quello il motore del cambiamento. Il motore del cambiamento è che questo accesso infinito ha fatto si che non riconosciamo più oggetti in comune. Le priorità si frammentano tantissimo. Non c’è un luogo abbastanza condensato in cui fare dialettica e fare sintesi. Quando si passa da 3 tg con più o meno 4 persone su 5 che li guardano a tutto un mondo infinito di informazioni e quei 3 tg che sono guardati da 1 persone su 6… non è che siamo in una società più pluralizzata, siamo in un’altra società…

Si litiga ancora su alcuni oggetti (politica della casa, accoglienza immigrati…) ma questo tocca meno, tocca moltissimo meno… E’ ovvio che la politica come capacità di regolare con continuità offerta di beni e servizi resta vicinissima e importantissima alle persone. Ma la politica intesa come spazio di discutere e ragionare di problemi comuni salta. Noi potremmo sempre fare degli sconti e potremmo dire “noi facciamo dibattiti con le persone nel circolo, in consiglio comunale, nel parlamento europeo…” Possiamo dirlo ma sono 25 persone su un territorio di 2 milioni di persone. E comunque non compartecipiamo ad un movimento complessivo che ragiona, si differenzia… facciamo l’ennesima bolla in cui discutiamo uno tra i mille oggetti possibili su cui si discute…

Possiamo discutere di cosa doveva fare Letta, la Meloni, della distanza dei partiti… ma la destrutturazione in questo campo è enorme. E. dentro questa destrutturazione passa di tutto. Passa la possibilità di elite iper ricche che si presentano come povere. Passano politiche redistributive verso l’alto presentate come politiche per i poveri. Passa che ognuno dica la sua su come funziona la malattia...

Il problema, di fronte a tutto questo, è che il cambiamento non avviene grazie a buoni movimenti progressisti che spingono verso la redistribuzione. Non è lì la forma del cambiamento. Il cambiamento è autonomo e sta nel fatto che la gente è dentro straordinarie opportunità relazionali. Senza un filtro centrale. Il rapporto di tutta questa gente con lo sconfinato, le modalità di relazione con il senso del limite, hanno conseguenze sulla nostra capacità di deliberazione. Il cambiamento tecnologico fragilizza l’idea stessa di poter ragionare in termini dialettici sulla politica.

La dialettica tra spinte diverse non era leggera. Le derive che potevano portare le spinte di qui e di là potevano essere brutte. Il compromesso non è mai stato facile. Ma la dinamica era leggibile. Pensare che la tensione elite/popolo (che è la tensione principale oggi) sia legata ad una evoluzione delle ideologie è ingenuo. La tensione elite/popolo è legata alla destrutturazione degli spazi di riconoscimento comune degli oggetti.


Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore di un intervento di Tommaso Vitale in occasione di una formazione a lavoratori Acli. 

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