Le periferie in ottica animativa



Proverò a dare una cornice a ciò che ha detto Danilo. 
Contestualizzandolo nel percorso che stiamo facendo con gli animatori di comunità.
Non siamo ancora in grado di fare una riflessione conclusiva. Per questo stiamo pensando ad un seminario da fare tra qualche mese.

Oggi provo ad identificare, con delle pennellate, alcuni degli snodi che ci sembra di aver trovato.
Per offrirli, assieme a quanto emerso dalla ricerca di cui ha già detto Danilo:
  • come contributo alla riflessione (e confutazione) delle Acli tutte,
  • come elementi da validare (o invalidare) da parte del prof. Remotti e di chi su questi temi ha approfondito dal punto di vista scientifico
  • come questioni e attenzioni da tenere presenti nel confronto con la politica, che avverrà più tardi nel pomeriggio. 
Ne ho selezionate 10. E per questioni di tempo mi limito ad accennarle.

Ci sono molti modi di intendere l'animazione di comunità. E non sempre un modo esclude un altro. Ma per noi, l'idea di animazione di comunità che ci ha condotto all'esplorazione delle periferia alcuni punti fermi: 
    1. IL PROCESSO ARTISTICO DELLO SCULTORE
    Il modo che noi abbiamo trovato ha molto più a che fare con il processo che con il prodotto. E ha a che fare più con un lavoro da scultori che da progettisti. Più da artigiani che da impresa di carattere industriale. Non c'è niente di male nell'essere progettisti. Non c'è nulla di male nel processo industriale. Ma l'approccio animato è altro. Si tratta di intuire. Intravedere. E togliere tutto il superfluo affinchè l'essenziale possa emergere anche ai nostri stessi occhi. Ci vuole pazienza, tempo e un misto di arte e mestiere. Non è progettare e poi fare tutto ciò che serve per arrivare all'obiettivo dato. E' avviare un processo e avere fede nel processo e nel suo sviluppo.
    E' una inversione di prospettiva rispetto alla modalità con cui spesso siamo abituati a muoverci.
    Ed è anche una esperienza di decentramento. Non siamo noi il centro, nemmeno del nostro percorso. Il centro è la realtà


    2. LA MESSA A TERRA
    Uno dei primi aspetti che abbiamo incontrato, in questa esperienza di formazione, è stato il bisogno di una “messa a terra”. L'esplorazione delle periferie è stato per noi un punto di messa a terra. Tutti i ragionamenti hanno bisogno di collocarsi in un luogo, in un dove, in una situazione e in periodo. Non possono restare astratti.
    La periferia è stato il luogo che abbiamo scelto, intravisto, trovato per "mettere a terra" l'animazione di comunità. La ricerca sulle periferie quindi non è stata un percorso parallelo al percorso di formazione dell'animazione. L'esplorazione delle periferie è luogo in cui il nostro processo di formazione sull'animazione si è incarnato. 

    3. PERIFERIA COME LUOGO DI MINORE OPPORTUNITA': DISUGUAGLIANZA. 
    Tutta la prima parte di lavoro è stata decostruzione e ridefinizione del concetto stesso di periferia. Con il riferimento a pensieri e studi altrui, con i questionari cui ha fatto riferimento Danilo, con le camminate a piedi, le interviste, i focus group... con tutto il lavoro svolto dal gruppo degli animatori delle due diverse classi. E con il supporto di una serie di esperti che abbiamo chiamato a fare docenza, a portare esperienza e a interloquire con noi.
    Cosa intendiamo, oggi, con il termine periferia? 
    Periferia non come l'estremo geografico dell'area urbana.
    Non come il luogo assoluto del degrado.
    Ma nemmeno come l'idealizzazione della energia vitale che si sviluppa in quanto tale.
    Parlando di periferia intendiamo i luoghi in cui le persone hanno minori opportunità rispetto ad altri, e hanno minore opportunità, proprio in quanto abitanti di quel territorio. Ed hanno minore potere di determinare sé, la propria comunità e il proprio territorio, rispetto ad altri. 
    E allora periferia per noi a che fare con il concetto di perifericità e di disuguaglianza

    4. NON ESISTE LA PERIFERIA ESISTONO LE PERIFERIE
    Non esiste “la periferia”, esistono “le periferie”. Al plurale. 
    Ognuno è disuguale a modo suo. Chi su un aspetto, chi su un altro.
    A volte è periferia l'area esterna delle grandi città (anche se le città cambiano e diventano un tuttuno di città/territorio, con le centralità non costruite più attorno alle piazze, alle chiese, alle scuole, ma attorno ai centri commerciali, che non sono “in centro” ma sono i nuovi “centri” esterni e al plurale).
    A volte è periferia il centro stesso, svuotato e abbandonato delle città.
    E' periferia la provincia, le aree interne. Tutti quei luoghi in cui per arrivare all'ospedale, alla scuola, ai servizi essenziali, sei obbligato a spostarti di molto.   
    Le aree metropolitane hanno il loro specifico. Ma l'Italia non è le aree metropolitane. L'italia è anche, tanto e forse soprattutto la provincia. E se non coniughiamo il ragionamento sulle periferie con quello sulle aree interne probabilmente non riusciamo a comprendere il disagio che il Paese sta vivendo. 

    5. E SE CI FOSSERO PIU' CENTRI? 
    Siamo abituati a ragionare sul binomio centro/periferia. Come se fossero due opposti e come se l'identità dell'uno esistesse in rapporto all'identità dell'altro. In realtà però, la realtà oggi ci sembra connotata in un modo diverso. Convivono molti centri, assieme alle molte periferie.
    Se io abito in periferia, quando nel mio quotidiano vado “in centro”? E cosa è “centro” nella mia esperienza? E' centro dove ci sono i monumenti e i turisti o è centro dove c'è uno snodo di trasporti? Nella vita delle persone i quartieri ed i paesi confinanti sono spesso ognuno "centro" e "periferia" reciproci, per un aspetto o per l'altro. E l'identità di quel determinato quartiere o paese è data più dalla relazione (di similitudine o differenza) con il quartiere a fianco che dalla contrapposizione con un centro o una periferia che sta altrove. Leggere un territorio non è osservare dove sono posizionati i singoli punti, come sono e cosa fanno. E' soprattutto provare a osservare e sostenere le relazioni esistenti (o interrotte o anche solo potenziali) tra un punto e l'altro. 

    6. LA REALTA' E' VIVA QUINDI MUTEVOLE
    Tutto ciò che è vivo si muove e muta forma. Anche i luoghi mutano continuamente la loro forma e funzione nel tempo. E oggi lo fanno ad una velocità ancora maggiore rispetto a ieri. Per comprendere la realtà non possiamo ragionare sulle fotografie del presente. Il presentiamo è una lente distorta. Abbiamo necessariamente bisogno di una profondità maggiore. Non la foto ma almeno un video. Non il solo presente ma anche il passato e il futuro. 
    7. LE PERSONE 
    Ragionare di periferie non può significare ragionare di luoghi e di spazi. Il centro del ragionamento sono le persone. Altrimenti si corre il rischio della gentrificazione. I luoghi vengono migliorati al punto che le persone che ci abitavano non possono più permetterseli. E arriva qualcun altro con maggiore potere di acquisto a goderseli. E le persone che ci vivevano sono costrette ad andare altrove. In luoghi sempre più periferici. Come a dire che esiste una mobilità negativa che connota una perdita di livello sociale e porta con sé una perdita di speranza. Se il luogo in cui io vivo migliora, ma io sono mandato altrove, a che mi serve quel miglioramento? Non è forse meglio che io non mi attivi?

    8. LA MANCANZA DI POTERE
    Intervenire nelle diverse periferie d'Italia allora deve essere intervenire con le comunità di persone che quei territori li vivono. Uno degli assunti di base dell'animazione di comunità è che spesso nei contesti esistono i problemi, ma esistono anche già le soluzioni ai problemi. Quello che manca è il potere sufficiente a poter realizzare le soluzioni. 
    L'animazione di comunità allora non è animare, nel senso di far giocare, tenere allegri, svagare.
    Non è dare una colorata ai muri o costruire palazzi.
    Non è nemmeno insegnare alle persone ad avere idee diverse.
    Animazione di comunità è un lavoro con una alta componente di politicità (cioè di tensione a costruire la polis). E consiste nello stimolare, supportare, sostenere, far emergere luoghi di democrazia e di partecipazione. Luoghi in cui le persone possano prendere parola, confrontarsi, organizzarsi e riprendere potere. Potere su di sé, sulla propria vita, sul proprio territorio. 
    In quest'ottica il ruolo della società civile non è quello di lasciarsi sedurre dalla politica. Non è nemmeno necessariamente quello di rappresentare. E' aiutare le comunità a riprendere potere e usare il proprio (piccolo) potere per richiamare la politica alle proprie responsabilità. 

    9. LA RABBIA 
    Molta della rabbia che emerge e caratterizza le periferie (nel voto, nelle espressioni di chiusura e rifiuto...) ha a che fare con questa mancanza di potere. E la rabbia che non vediamo perché non viene espressa e resta dentro macerando la vita delle persone è forse ancora peggiore ma anche questa ha a che fare con la mancanza di potere. Perchè il potere logora, come diceva qualcuno. Ma il senso di impotenza forse logora ancora di più. 
    Di fronte a questo, quindi, non si risolvono i problemi delle periferie scandalizzandosi per il fatto che la gente si arrabbi. E non si risolve la rabbia chiedendo di non esprimerla o di negarla. Si depotenzia il lato distruttivo della rabbia trasformandola e canalizzandola in qualcosa di costruttivo e lavorando quindi sulle modalità per riacquistare potere. 

    10. IL MONDO COME E'
    Creare spazi di democrazia è un atto creativo. E come tutti gli atti creativi è in realtà trasformazione più che creazione. E non parte mai da zero. Come diceva Munari, la creatività nasce dall'aver di fronte un limite. La creatività parte facendo i conto con ciò che c'è, così come è. Agire in situazione è un atto creativo, prima ancora che un atto professionale e sociale. L'atto creativo è entrare in relazione con la realtà. Se io prescindo da ciò che ho davanti non libero il potenziale esistente nella situazione, non creo, non innovo, continuo a ripetere l'esistente o progetto qualcosa che poi non sta in piedi. Partire dal mondo com'è e non dal mondo come noi vorremmo che fosse è un'altro dei punti essenziale dell'agire nelle periferie in ottica animativa (riprende in particolare il community organizing) ed è forse uno dei punti di distanza tra chi vive la periferia e la politica, specie quella della sinistra e del sociale. 
A fronte di tutto questo? Da dove partire? I tre assi di lettura delle diseguaglianze dei territori (casa, terra, lavoro) restano confermati. E resta confermata l'idea che per agire sul territorio servano trovare dei "dove" che siano ancoraggi ancora più specifici alla realtà e che permettano quindi di intercettarla e di provare ad agire. Cosa è indispensabile nel tuo quartiere/paese? Nella ricerca "la scuola" era la risposta più presente, anche rispetto a polizia, ospedali etc... Anche nei luoghi più periferici. La scuola (specie quella primaria e secondaria di primo grado) è riconosciuta, ancora oggi, come un luogo che identifica, caratterizza, costituisce un territorio. Come un luogo "vicino" e come un luogo "di tutti". Certo, la scuola è in difficoltà, in crisi, arranca. Ma nonostante tutto oggi la scuola è ancora il luogo che abbiamo in mente quando pensiamo a ciò che ci serve per "far paese" e  "far comunità". Allora forse una delle "ancore" da cui partire per animare le periferie potrebbe essere esplorare la realtà delle scuole, entrare in rete con chi le sta già animando e provare ad allearsi in questa impresa. 

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