Che cos’è la pace?
Chi è un “clandestino”?
Esiste un confine sicuro?
Che cos’è lo sviluppo?
Pace, confini, clandestini, sviluppo, “terroristi”…
Un frastuono quotidiano di parole che evocano paure o false sicurezze, ma di cui spesso ne abbiamo perso il significato.
Parole di narrazioni che, con i confini fisici chiusi, ci fanno sentire al “sicuro”, riparati in un presuntuoso e ucronico passato.
Narrazioni che fu impediscono di comprendere gli stravolgimenti economici, istituzionali e climatici che attraversano il presente.
Mentre pretendiamo e imponiamo limiti e confini ad altri, dimentichiamo che la pace nella nostra Costituzione deriva dall’accettazione di un limite che imponiamo alla nostra sovranità normativa ed istituzionale.
La pace nasce dalla relazione con altri, accettando la relatività della propria identità. Nuovi equilibri e nuove istituzioni possono nascere solo dal confronto anche con chi sino ad oggi è stato tenuto ai margini, siano essi persone o Paesi.
Ma accettare l’altro vuol dire accettare il conflitto come motore della storia e del progresso. Oggi rifiutiamo il conflitto e promuoviamo la guerra. Uno strumento estremo anziché un fine.
II "cum fligere" presuppone l'altro come interlocutore, l'alteritá come prospettiva, il presente come passato. La guerra, mischia per la mera sopravvivenza, nel rifiutare l'altro rifugge il nuovo, per la conservazione di un eterno presente, destinato, come tutto, ad essere inesorabilmente superato.
La guerra da rifiutarsi, però, non è solo quella per la risoluzione delle controversie internazionali è anche, e soprattutto, quella verso la libertà degli altri popoli.
Non sono forse guerra allora i controlli militari ai confini? Non sono forse guerra gli accordi commerciali predatori di risorse naturali di altri Paesi? Non è forse guerra la riduzione dei migranti a mera risorsa produttiva?
Questo intervento è volutamente senza parole e senza volti.
Le parole non sono solo le sbarre delle narrazioni in cui le persone sono rinchiuse. Le parole sono anche la prima forma di discriminazione e di violenza.
I migranti e le vittime delle guerre sono al centro del dibattito, ma ne sono sempre e solo l’oggetto, mai il soggetto narrante.
In Europa solo il 10% di articoli e servizi televisivi ha come voce narrante quella di un migrante, il resto è vocio politico, impressioni di gente comune, riflessioni di addetti ai lavori.
In Italia la voce delle vittime è ridotta all’ 1%...
E noi?
#Esci#Incontra#Ascolta#Confrontati#Promuovi#Sostieni#IPSIA
Che cos'è la pace? Flash mob
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