Un conto è parlar di morte, un conto è morire...

"Un conto é parlar di morte, un conto é morire".
Mia mamma lo dice sempre, citando suo padre e la saggezza degli anziani.
Io sono tra coloro che ne parlano. Ovviamente. Anche perché nessuno può parlarne dopo aver sperimentato, e questo é uno dei nodi del problema.
Ma "un conto è parlar di morte, un conto è veder morire" mi pare di dover aggiungere, anche, quest'anno.
Di cosa ha davvero bisogno chi muore, mentre muore? Di cosa é davvero fatto lo stare accanto e il non lasciar soli, mentre si muore? Cosa serve a chi va? Cosa serve a chi resta? Ho l'impressione che i bisogni non siano per forza sempre complementari. In quel tempo breve e dilatato che, improvvisamente, scopri non essere affatto istantaneo e ti confermi essere assolutamente non determinabile.
Chi resta vorrebbe qualche parvenza di certezza. Dei punti fermi a cui aggrapparsi. Quanto tempo, ancora? Non soffre, vero? Ma, mi sente ancora?
Chi va, cosa vorrebbe? Non lo sappiamo, realmente, perché la morte, nella sua dimensione di rottura delle forme di comunicazione che conosciamo, in fondo comincia già prima di morire. Già da prima gli scambi diventano intermittenti, cifrati, scarnificati, trasformati.
Agonia, lotta. Per resistere alla morte, per contrastarla, fino a che noi si perde e lei vince. Pensavo.
Agonia. Lotta. Per riuscire a smettere di resistere, per lasciarsi andare ed accettare il tutto che cambia forma. Penso sia più adatto, adesso.
La nascita. Il più grosso cambiamento che ci possa capitare, dopo un prima di cui non ricordiamo nulla.
La morte. Il più grosso cambiamento che ci possa capitare, dopo la nascita. Prima di un dopo di cui non sappiamo nulla.
La nascita e la morte. Così simili, nella loro differenza.
Così connesse tra loro.
La fede aiuta, chi va e chi resta.
Aiuta riuscire ad aver fiducia che dopo c'è un dopo di bene.
Aiuta riuscire ad aver fiducia che dopo, comunque, alcune forme di comunicazione restano. In qualche modo. Anche se ciò che non c'è più manca e lascia un po' disorientati. Lascia un po' orfani, direi, c'è una parola apposta.
Però aiuta sentire che c'è un Tu che è il Tu di entrambi i lati. Di qui e di lì.
Aiuta, ma non basta.
Non basta, ma aiuta.
Credo che sia più o meno questo il mio Te Deum quest'anno.

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