Ognuno di noi, in questa stanza, ha almeno 2-3 ruoli, 2-3 appartenenze, 2-3 identità, se non di più...


Silvia ha iniziato raccontando di come fosse buffo il suo intervenire al congresso Arci, come portavoce Aoi, quando lei è anche direttrice Arcs ed é Arci da una vita. 

Io sono qui a nome delle Acli nazionali, ma sono anche ex presidente Ipsia, ex cooperante, ex tielle...

Mirsada é arrivata qui da Trieste, ma è anche albanese.

Marco é Ipsia, ma è pure Patronato e pure Acli a Torino... 

L’ex ambasciatore prima parlava di quel “passarsi la palla” Ipsia e Caritas in Bosnia che spesso trova sintesi nelle stesse persone e nelle loro multi-appartenenze…

 

Ognuno di noi, in questa stanza, ha almeno 2-3 ruoli, 2-3 appartenenze, 2-3 identità, se non di più… 

Il punto é come le ricomponiamo e come le mettiamo in gioco. 

 

Le contraddizioni, i dubbi, le sfaccettature, sono dentro di noi. Ci attraversavano. Se non ricomponiamo le nostre identità, superando la frammentazione dei ruoli e andando a quel punto di sintesi che é la persona umana, portiamo fuori le lacerazioni interne e le facciamo esplodere... Per questo dico che intervengo come Paola, non ponendo questo come contrapposizione ma come punto di sintesi del resto… 


 

Se abbiamo un'idea di identità ferma, stabile, granitica, queste doppie e triple identità sono limiti. E ci rendono più difficile dialogare, capirci, ascoltarci. Anzi, inaspriscono il conflitto. Confliggo con te, che rappresenti una parte di me. 

Confliggo con te, per non rendermi conto che ci sono lacerazioni in me…

 

Se abbiamo un'idea di identità ferma, stabile, granitica, io non posso aiutare il dialogo tra Acli ed Ipsia, perché sono troppo Ipsia da un lato, troppo Acli dall'altro...

tu non puoi impegnarti per l'inclusione di altri migranti, perché sei mezza albanese, anzi, perché sei anche albanese...

Ipsia (o le Acli) non possono stare serenamente in una rete, perché limita la mia identità... 

La Focsiv o l’Aoi o altre reti, finiscono per diventare soggetti singoli con cui rapportarsi, se non possono interpretare una parte plurale. 

 

Vale per ciascuno di noi, nelle organizzazioni.

Vale per le reti.

Vale per l'Europa.

Vale per i migranti... 

Vale per ciò che sta accadendo nella società.

Vale per i giovani e per il loro rapporto con le organizzazioni e con l’azione sociale e volontaria.

Se abbiamo un’idea di identità ferma, stabile, granitica, tutto questo va in crisi. 

 

Ma se abbiamo un'idea di identità che si costituisce nella relazione, se pensiamo che il capitale sociale è dato dalla opportunità di interazione che una organizzazione offre alle persone che ne fanno parte e che le persone che ne fanno parte offrono all’organizzazione…Allora le doppie e triple identità sono ricchezza. Moltiplicano i punti di connessione con più parti di mondo. 

 

Ugo Morelli parla di diventità. “Noi siamo vivi fintanto che diveniamo. Il costrutto dell’identità scolorisce progressivamente: ciò che abbiamo bisogno di mettere al centro nel processo di individuazione è il continuo divenire. Anche un semplice dialogo ci cambia, pur se impercettibilmente. Che cosa rimane quindi dell’identità? Progressivamente non ha più un correlato neurocognitivo, se non esperienziale e storico. L’identità è un simulacro che noi esibiamo continuamente”. Ma “Abbiamo tutti l’ombelico, e l’ombelico è l’epistemologia originaria: la dimostrazione che siamo tutti figli, la nostra condizione costitutivaTante cose sono possibilità, scelte. L’ombelico non lo è: per esserci devo essere stato figlio”. Ed in fondo Ipsia ha, tra le sue varie identità, ha anche quella di essere figlia delle Acli e di determinate storie che si sono, più volte, reinventate e sono divenute…

“L’identità, se non è fissa, è l’esigenza di riconoscersi in un tratto di persistenza all’interno di un reindividuarsi continuo attraverso le relazioni”. Ed in questo senso il moltiplicarsi delle relazioni e delle identità è ricchezza che messa in gioco e reinventata. 

Oggi la crisi, per ciascuno, è di senso. Che senso ha impegnarsi? Che senso ha provare a cambiare le cose? Ha ancora un senso? Ha ancora senso l’azione sociale? Ha ancora senso cooperare? Il senso non me lo posso dare da solo. Il senso lo trovo con gli altri. Trovo la mia felicità solo decentrandomi. Abbiamo bisogno della comunità, degli altri, per passare dalla nonesistenza alla esistenza, e poi per continuare a sussistere e per comprendere. 

 

Gli altri ampliano la capacità di comprensione. Le doppie identità, se vissute in modo consapevole, ampliano la capacità di connessione e di comprensione. Hannah Arendt in un’intervista diceva: “Per me ciò che conta è il processo stesso del pensiero. Personalmente, una volta che sono riuscita a riflettere in profondità su una questione, sono molto soddisfatta. Se poi riesco anche a tradurre in maniera adeguata il mio processo di pensiero in scrittura, ne traggo ulteriore soddisfazione. Ma lei mi chiede dell’effetto che i miei lavori hanno sugli altri. Per me non è poi così essenziale. Io voglio comprendere, e se altri comprendono – nello stesso senso in cui io ho compreso – allora provo un senso di appagamento, come quando ci si sente a casa in un luogo”. 

Ecco, questo sentire gli altri come casa, nasce dal pensare assieme e dal dialogare.  Io ci credo. Io ci credo realmente che pensare non è posizionarsi. Che pensare non è votare (online o no) scegliendo tra a e b. Pensare assieme, tenendo presente la complessità e la relazione con l’altro, anche quello che è apparentemente lontano. 

 

E ci credo veramente al fatto che tenere lo sguardo su Madina (tenere in mente Krushe Madhe, potrei dire, per quanto mi riguarda) è necessario ed è qualcosa che non smette di interrogarti. Tenere in mente il pezzettino di tragedia che ci è dato di incrociare è un dovere ed una responsabilità. Che però, personalmente, non mi porta a propendere nettamente per una soluzione specifica o a rifuggirne nettamente un’altra. Mi chiede di tenere aperta la domanda: come viene letto ciò che faccio e che dico dai miei amici che sono altrove? Mi chiede di andare sempre più a fondo. Ma, personalmente, non mi dà soluzioni specifiche su cosa fare o non fare. 

 

Nessuno detiene la verità. Nessuno comprende tutto. 

Io ci credo realmente che posizioni differenti, onestamente interessate ad approfondire, se si ascoltano e dialogano, non necessariamente arrivano ad un punto comune di sintesi, ma sicuramente avanzano entrambe nell'analisi e nella comprensione. E penso persino che questo abbia a che fare con la democrazia. Che per tradizione è fatta di luoghi di pensiero e dialogo e che l’aver svuotato questi luoghi, portando le decisioni altrove e non avendo creato queste forme di dialogo altrove, abbia a che fare con la crisi della democrazia attuale. 

Non è illecito avere idee diverse, di fronte ai fatti importanti della vita. 

E avere idee diverse non vuol dire automaticamente odiarsi o non rispettarsi. 

 

In questo senso allora si, certo che ha ancora senso la cooperazione. Perché cooperare è mettersi insieme per fare assieme, per riflettere assieme su ciò che si è fatto, per comprendere insieme. Ha senso, anche più di prima. Solo che cooperare non è più ciò che era un tempo. 

 

Cooperare non è più quell’idea che, tanto tempo fa, quando il mondo si pensava ancora diviso in Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo, quando si parlava di nord/sud, si pensava che fosse… Cooperare non è più un paese ricco che dà ad un paese povero. Inviare un cooperante che insegna a pescare... C’è stato un tempo, molto lontano ormai, in cui si pensava potesse essere così… 

 

Oggi la cooperazione ha senso solo nel quadro di un rapporto che è già e diventa sempre meno asimmetrico e che tiene conto della complessità. L’ha detto Mauro, crescono Paesi che ancora non abbiamo imparato a riconoscere a sufficienza. Crescono Paesi che hanno un modello autoritario, non democratico. Diminuisce il nostro peso nel mondo. Noi come Italia, noi come Europa, non siamo più al centro dei processi di sviluppo e innovazione. Al massimo siamo al centro dei conflitti. Ma è diverso. 

 

La cooperazione oggi non è generosità (non solo per la questione di ciò che Caritas diceva prima, cioè di non dare per generosità ciò che va dato per giustizia). Ma anche perché è una nostra stessa necessità. Stare in rete con altri ci serve. Fare assieme ci serve. Anche egoisticamente, se vogliamo. Ma possiamo farlo solo se accettiamo un modo diverso e meno scontatamente egemone di metterci in relazione con l’altro. 

 

Ed un tema che cooperazione e società civile potremmo riprendere e che avrebbe connessione anche con la pace è il tema degli organismi internazionali. Esista ancora l’idea di provare a costruire spazi in cui i paesi si parlano e provano a governare alcuni processi e si danno regole comuni? 

 

Concretamente, intanto, lancio qualche pista di “insieme” possibile: 

-        Come Acli stiamo provando a ragionare sulla Azione Sociale oggi. E per farlo l’idea di fondo è far emergere tutto ciò che c’è, nel mondo Acli, senza distinzione tipo: solo l’associazione, solo l’impresa, solo i servizi, solo l’Italia, solo l’estero… il primo obiettivo è fare emergere tutto ciò che c’è, come azione sociale, quindi compreso ciò che è Ipsia. Non per governare il tutto. Ma per renderlo visibile e per favorire uno spazio in cui sono possibili connessioni. 

-        Sullo sport, USACLI ha appena concluso un progetto internazionale sullo sport come strumento di integrazione dei rifugiati. Come diceva Enrico Leoni, è ovvio che viene in mente la connessione possibile con Football no Limits. Ma non solo. Anche con gli altri luoghi. 

-        Sulla pace l’invito è a tutti. Sedi locali, Ipsia all’estero, singole persone che hanno voglia… Proviamo a pensare a momenti, anche piccoli, anche privati, anche tutti diversi gli uni dagli altri, in cui insieme Acli ed Ipsia mettiamo a tema la pace e ci confrontiamo. Io credo che sia fattibile e che questo arricchirebbe davvero tutti. 

 

Buon lavoro e grazie e in bocca al lupo a chi c’è stato e chi ci sarà, e a tutti…. 

Poi c’è tutta l’aneddottica e gli affetti personali con tanti qui. Ma per quello… meglio in privato o davanti alla birra o al caffè… 

 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...