Mons. Galantino all'apertura della scuola di formazione Acli, intitolata a Livio Labor, per dirigenti politici, responsabili all'organizzazione e animatori sociali di comunità.
Mi ha colpito molto l’immagine delle trame. Il riferimento
al fatto che la tessitura richiede atteggiamenti che vanno in senso ostinato e
contrario agli atteggiamenti che la società in questo momento ci sta
domandando, che ci richiede e molte volte ci impone: fretta, arrivismo,
arroganza. Atteggiamenti abbastanza coltivati nella nostra società che sono la
malattia mortale delle relazioni. Finiscono così le relazioni. Non solo fuori
da noi, in altri mondi, anche al nostro interno: nella Chiesa, nelle realtà che
comunque fanno riferimento alla Chiesa, come le Acli.
Un centro di formazione quale scopo deve avere? Per natura,
deve offrire strumenti per acquisire gli atteggiamenti necessari per essere
tessitori intelligenti. Ci sono anche tessitori confusionari. Tessitori che
tessono in modo che l’ordito sia da una parte e dall’altra, che se guardi, sia
di qui che di là, c’è solo confusione. Per sua natura un centro di formazione
fa questo:. dà la capacità di essere tessitori intelligenti, capaci anche di
finalizzare.
E poi offre opportunità di crescita per i singoli e per le
realtà. Con una precisa finalità: vivere (e far vivere) in maniera efficace e
solidale la propria presenza sul territorio. Con un richiamo, nel nostro caso,
anche a tanti uomini e donne che nelle Acli e in altre realtà associative hanno
lavorato e si sono spese. Si tratta di aiutare, favorire, garantire, la
presenza di una Chiesa che intende dire, in maniera efficace e solidale, la sua
vicinanza a tutti, ma soprattutto a quelli che non contano niente.
La vicinanza può esplicitarsi in diverse maniere. La maniera
più evidente è la presenza testimoniale della comunità credente attraverso la
vita e le opere. Specie negli ambiti dove si sperimenta la latitanza delle
istituzioni. Quella presenza che troppe volte, ha il sapore della sostituzione
delle istituzioni, che restano assenti. Però questo non basta. Non può bastare
una presenza fatta di attività, fatta di servizi.
La vicinanza che serve alle persone e al territorio è anche
la formazione. In un momento in cui sembra che formarsi, studiare, leggere,
confrontarsi sia tempo perso. Anche nella Chiesa. Dobbiamo darci da fare.
Perché, se non si studia, la pastorale diventa pastorizia e si fa solo
confusione. Specie in una società come la nostra, compressa, carente di spirito
critico.
Oggi noi non abbiamo spazi nei quali due persone possano
incontrarsi e, conoscendosi e conoscendo uno seriamente le motivazioni
dell’altro, possano dialogare tra loro per orientarsi reciprocamente verso
obiettivi avanzati. Oggi abbiamo solo tifo da stadio, atteggiamenti curvaioli
che non ci portano da nessuna parte. Lo sapete tutti, basta accendere la tv,
preme l’assenza di luoghi nei quali far incontrare seriamente posizioni
diverse, anche opposte. Oggi questo manca. A questo avete la responsabilità di
rispondere. In questo clima di mancanza di spirito critico, l’importanza di una
scuola di formazione è per supplire a questo deficit e far crescere la
consapevolezza e l’etica della responsabilità nei singoli e nelle comunità.
Penso vada visto in questo orizzonte.
Molte volte noi organizziamo scuole di formazione ma poi chi
investe in formazione viene lasciato solo. Io spero che le persone disposte a
investire in formazione non debbano continuare a mendicare attenzione e
riconoscimenti concreti. Che, se si organizza la formazione, poi ci sia una
reale e leale valorizzazione delle persone. Perché di corsi e di master ce ne
sono tanti. Ma sono pochi quelli che si prendono cura del dopo. Quelli che progettano
anche il come valorizzare le competenze acquisite. Con due perdite: perdita di
tempo e soldi di chi investe in formazione. E perdita di credibilità di chi si
impegna. Che chi investe in formazione non debba trovarsi a fare il mendicante
nella sua vita nei confronti di tizio, caio, sempronio, di questa o quella
struttura. Fosse anche la Chiesa. Non possiamo permetterci questo. Siamo in un
momento in cui la formazione non paga. Dobbiamo saperlo, e dobbiamo attrezzarci
per evitare di andare ad ingrossare le file di chi organizza corsi come
parcheggio abusivo. La scuola oggi è spesso ridotta a questo. Parcheggio di
persone che non sappiamo dove mettere. Cui non vogliamo lasciare spazio. E i
professori sono parcheggiatori abusivi. Noi non possiamo permetterci di
muoverci in questa linea.
La formazione è una sfida. Specie in un tempo come quello di
oggi in cui, per fare un esempio dal mio mondo, alcune ricerche ci dicono che i
2/3 dichiarano di credere, ma sono immersi in una fede light. Non si dichiarano
atei, dicono di credere, ma non hanno le idee chiare rispetto al contenuto del
loro credere e non hanno nessun contatto con la Chiesa. Come si fa formazione
in un tempo come questo?
Prima si diceva: pregare, dibattere, impegnarsi assieme.
Molti accettano di stare nelle nostre realtà ma si sentono autorizzati a poter
fare tranquillamente a meno di queste
dimensioni. Molti si sentono autorizzati a poter far a meno di pregare, anche.
Ma allora diventiamo altro. Noi dobbiamo vigilare su questo. Non per recuperare
integralismi. Ma per evitare di complicarci la vita e di complicarla agli altri
con equivoci, proponendo come
cristianesimo realtà che di cristianesimo non hanno niente o hanno molto poco.
Mi ha fatto piacere il presidente che richiamava il Papa
rispetto all’impegno politico. Attenti a
non confondere: il segretario della Cei che non si mette a fare il capopopolo
di un partito, non vuol dire che non interessa la politica. Vuol dire
rispettare i ruoli. Chi ha la vocazione a fare il politico deve farlo. Bisogna
che ci si assuma la responsabilità. E se si ha capacità, bisogna anche
coinvolgere altri in questo. Ma senza chiedere che il collante sia quel prete,
quel vescovo, quel cardinale. La presenza è importante, ma attenzione ai nuovi
clericalismi. Il Papa dice sempre il clericalismo è come il tango. Si balla
sempre in due. Se ci sono preti clericali è perché ci sono anche laici a cui
piacciono quei preti. Ma anche viceversa. Voi dovete ribellarvi a questo.
Assumervi la vostra responsabilità. Avere la capacità di intervenire.