La paura.
Per me il primo passo di Niente Paura è “nessuna
paura di ammettere di avere paura”. Guardiamoci. Abbiamo paura. Siamo pieni
di paura. Siamo governati dalla paura. Siamo strafatti di paura.
Paure alte e paure basse. Paure che sono passioni
civiche e paure che sono personalismi.
Paura di perdere il proprio spazio di potere. Di
essere superati da altri…
Ma anche paura di non saper garantire i posti di
lavoro delle persone che lavorano con noi. Paura di non saper raccogliere il
testimone di 70 anni di Acli. Paura che le Acli non siano più in grado di
orientarsi e quindi di orientare una società.
Paure alte e paure basse sono presenti (magari in
proporzioni diverse) in ciascuno di noi.
“Arrabbiarsi assieme è già dialogo” dice Papa
Francesco.
Allora ammettere di aver paura, assieme, forse è
già inizio di comunità.
Cambio d’epoca.
Le Acli sono figlie del novecento. Il secolo è
cambiato. C’è la crisi e sono finite le ideologie. O le Acli riescono a
trasformarsi o, nella migliore delle ipotesi, saranno un bel pezzo di vintage
da mettere sul comodino in esposizione.
Lo sappiamo, lo sentiamo, ce lo siamo detti migliaia di volte. Ma siamo impotenti. Ci sentiamo impotenti. Siamo incapaci di gestire, di organizzare e persino di immaginare la trasformazione necessaria.
Lo sappiamo, lo sentiamo, ce lo siamo detti migliaia di volte. Ma siamo impotenti. Ci sentiamo impotenti. Siamo incapaci di gestire, di organizzare e persino di immaginare la trasformazione necessaria.
“Per il conflitto politico ci vuole materia
politica”. Dov’è la politica?
Non è una faccenda politica, si dice, ciò che sta
avvenendo qui. Invece no. La politica non è altrove. La politica ha a che fare
esattamente con questa materia. La politica ha a che fare con la paura della
gente, e soprattutto con la capacità o meno di proporre risposte a quella
paura. Soluzioni, certo. Ma anche sogni, visioni, interpretazioni in grado di
restituire senso.
La politica e la democrazia, o sono efficaci o sono
le prime alleate dell'antipolitica. Vale in Acli. Vale in Italia. Vale in
Europa. O esiste la capacità di interpretare la realtà o si finisce in derive
personalistiche, massimaliste o persino fasciste. Si finisce per confondere la
democrazia con la ricerca del consenso. Si finisce per pensare alla politica
come marketing, come un pallottoliere. Facendo leva sugli istinti o sugli
interessi. O su semplici immagini evocative.
La trasformazione
Non si tratta di vincere o perdere. Non si tratta
di sostituire o non sostituire una persona. Si tratta di un profondo processo
di trasformazione. Il cambiamento non è qualcosa che puoi pensare di
determinare solo con un segno o non segno in una cabina. Quello è una parte. Ma
la trasformazione è un processo. Giorno per giorno. E ci coinvolge tutti, non
solo uno. Oggi si vota e questo è un dato di realtà. Ma qualsiasi cosa ne
uscirà, non sarà tutto risolto.
L’insostenibile pesantezza dell’essere…
Siamo insostenibili politicamente,
associativamente, socialmente, economicamente, organizzativamente… La
sostenibilità è una caratteristica multidimensionale, contiene e supera i
concetti di crisi, crescita e sviluppo. E’ uso responsabile delle risorse
(economiche e non, quindi pure l’energia, l’entusiasmo, la fiducia, la
democrazia…) ed è capacità di rigenerarle. Ha come obiettivo una modalità di
soddisfacimento delle esigenze presenti in grado di non compromettere le
esigenze future.
Oggi usiamo tantissime energie per questioni che
riguardano noi stessi e che non producono nemmeno il nostro benessere o la
nostra felicità. Questo è insostenibile.
Decentrarci da noi stessi.
E allora la prima idea di trasformazione che ci
serve è uno spostamento, un decentramento. Ma, mi spiace deludere, non è uno
spostamento da nazionale a territorio. E’ comodo dirlo. Ma ciò che noi
chiamiamo territori (le sedi provinciali) sono sovrastruttura tanto quanto lo è
il nazionale. Lo spostamento che ci serve è uno spostamento da dentro di noi a fuori
di noi. Se non torniamo a indignarci, arrabbiarci, usare le energie per ciò che
sta fuori di noi, non abbiamo futuro ed è davvero tutto uno spreco di
energie…Questa idea basta ad indirizzare il cambiamento? No, certo che no. Ma è
la precondizione. Indispensabile, per tutto il resto.
Il voto per il presidente
Non credo sia un segreto che per tre anni ho più
volte criticato l’operato di Gianni. Non credo sia un segreto che ho provato a
pruomevere un’ipotesi alternativa a lui. Non credo sia un segreto che non ci sono riuscita. E oggi, se sono obbligata a
scegliere, io resto sul presidente in carica. Senza rinnegare niente del
bisogno di cambiamento delle Acli, anzi, ma nella consapevolezza di non riuscire a riconoscere
nella proposta alternativa che oggi è presentata ciò che serve alle Acli. E lo
dico anche con una certa fatica. Per il rapporto faticoso con Gianni e
per il rapporto anche personale con Emiliano. E per i tanti amici che
sostengono con passione quell’esperienza.
Ma se, come dirigente che si candida a consigliere
nazionale in un congresso per liste contrapposte, sono costretta a schierarmi,
mi schiero così. Mi schiero, ma rifiuto l’idea che tutto passi solo da questo
voto. Rifiuto l’idea che questo voto sia, di nuovo, come 3 anni fa, la scelta
tra un bene assoluto ed un male assoluto. Anche perché a usare il metro del
male assoluto poi ci si trova in posizioni imbarazzanti in cui il male assoluto
di ieri diventa l’ancora di salvezza di oggi e l’alleato di ieri il male
assoluto di oggi. E allora c’è qualcosa che non torna…
E rifiuto anche l’idea che la proposta di un tavolo
di dialogo per una soluzione condivisa, fatta tempo fa, fosse illegittima o non
politica. E' una proposta che ha fallito. Ma era una proposta sensata, legittima e politica. E avrebbe permesso di avviare un processo. Oggi votiamo senza aver avviato il processo. Votiamo. Assumiamo come risultato ciò che ne uscirà.
Ma già da ora dobbiamo sapere che, qualsiasi sia la risposta, qualsiasi sia, i nostri problemi non saranno finiti. E nessun risultato del voto sarà mai una bacchetta magica risolutrice. Ed il lavoro resta comunque tutto da fare.
Ma già da ora dobbiamo sapere che, qualsiasi sia la risposta, qualsiasi sia, i nostri problemi non saranno finiti. E nessun risultato del voto sarà mai una bacchetta magica risolutrice. Ed il lavoro resta comunque tutto da fare.
Il voto per il consiglio nazionale
Abbiamo un sistema elettorale che prevede la
presentazione di candidature individuali o per lista. La presentazione per
lista è probabilmente la modalità più vicina a ciò che stiamo vivendo, che è
più o meno un congresso per mozioni. Ma, così come è stato anomalo che le
candidature a Presidente Nazionale siano arrivate dopo tutto il processo
congressuale di circolo e di provinciali. Così come è stato anomalo che i
congressi regionali non abbiano pensato di invitare i due candidati per
ascoltare e mettere a confronto le idee e i programmi… Adesso mi verrebbe da
dire che è anche anomalo che le candidature delle liste aspettino l’esito
dell’elezione del presidente per essere presentate. Se c’è connessione tra
lista di consiglieri e candidato presidente, la lista dovrebbe uscire prima. In
modo che, in qualche modo, le due cose si reggano. In modo che il presidente
possa essere valutato anche in base alla squadra che propone. E che la squadra
possa essere valutata anche in base al Presidente che sostiene. Se si sceglie di
rimandare a dopo l’esito, allora vuol dire che i due termini non sono così
connessi. O che si vuol fare una lista unica tenendo conto delle
proporzioni numeriche tra le due parti. O che si intende fare allargamenti
immediati, cooptando già da subito qualcuno…o che c'è in ballo altro, non so, ma segnalo l’anomalia…
Da lunedi
Qualsiasi sia l’esito del voto e qualsiasi saranno
i dettagli delle percentuali, dobbiamo prendere atto che c’è un’associazione
spaccata a metà. E a partire dal presidente eletto, ma anche da tutti noi, io
credo che ci sia l’obbligo di assumere e trasformare quella spaccatura. Non è
solo ricucire sui territori. Non è solo allargare l’area del consenso. Non
possiamo permetterci altri 4 anni come questi. Non possiamo. Non perché ci sono
o non ci sono i voti in consiglio. Ma perché sarebbe da irresponsabili. La
prima sfida che tocca al presidente è saper immaginare e condurre un processo
politico che riconosca l’alterità interna e sappia farne una sintesi alta. Abbiamo
ricordato Camillo Monti. Camillo il 23 gennaio 2013, in CN era profondamente
contrario all’idea di una forzatura che vedesse, a fronte di un risultato
politico attorno al 50%, la costruzione di una presidenza composta da una sola
parte, fosse anche con due posti liberi per accogliere chi sarebbe arrivato
dopo. Se fare memoria delle persone nei congressi ha un valore, non ripetiamo
l’errore.
Il programma
Ho ascoltato le relazioni di Gianni ed Emiliano. La
relazione di Gianni usa un linguaggio molto distante da me, in cui fatico a
riconoscermi, sarà anche un dato generazionale. La relazione di Emiliano parla
ad un altro target, usa un altro registro. Che in parte mi è più vicino. Ma quelli sono dati di comunicazione...
In entrambe ci sono contenuti che condivido, sulla
linea politica tra l’altro trovo molte consonanze anche tra loro. In entrambe
c’è questo riferimento all’Europa, in entrambe mi manca un po’ la lettura
della dimensione politica dell’Europa, il cosa sta avvenendo... e in risposta a
questo credo che la dimensione di costruire ed abitare la società civile
europea sia una sfida da cogliere.
Il problema di fondo che vivo, non rispetto alle
due relazioni, ma rispetto a quello che questo congresso è... che… per dirla con una battuta…
si è appena aperto il congresso del partito unico in Corea... e quell’evento
rischia di avere più impatto di noi sulla realtà italiana… Non è un’accusa che
possiamo rivolgere contro questo o quel candidato. E’ un problema che dobbiamo
assumere noi tutti, complessivamente.
Una organizzazione sociale.
Qualsiasi cosa esca dalle urne oggi, non mi pare ci
sia già un programma chiuso e definito. E non mi pare il confronto si sia
giocato su questo. Ribadisco quindi ciò che a me pare il punto essenziale per
la costruzione del programma che si dovrà fare.
Credo che la sfida che ci aspetta oggi sia unire e
trasformare. Unire non riguarda solo la dimensione delle correnti. Unire vuol dire
ripensarsi, assieme. Vuol dire anche essere una organizzazione sociale unica,
di produzione e lavoro e di rappresentanza. Di innovazione sociale e coesione.
Non una dicotomia separata tra associazione e servizi. Una organizzazione
sociale che in quanto tale si presenta al mondo. Dico organizzazione sociale
per indicare il nostro tutto. Perché ci manca il termine. Ma è sempre così per
le cose nuove. Non esiste il termine, prima che nascano. E noi possiamo essere
una storia di 70 anni ma anche una cosa nuova che rinasce oggi.
Un enzima capace di unire e trasformare.
Non credo si tratti di rappresentare i lavoratori,
i poveri, gli ultimi o il ceto medio, oggi. Oggi la sintesi di fedeltà a
democrazia, lavoro e chiesa, è la tensione allo stare assieme di una società
che oggi è liquida e domani potrebbe essere addirittura gassosa. E’
l’idea del popolo come concetto collettivo in divenire. E’ la difesa non
dell’idea ma della pratica di una democrazia deliberativa e creativa. Acli che
provano ad essere un enzima, un catalizzatore. Qualcosa capace di produrre i
processi necessari a tenere assieme senza bloccare nello status quo, ma anzi
attivando le trasformazioni sociali necessarie.
Per uscire dalla metafora, oggi la rappresentanza
non è data dalla delega in bianco che qualcuno ci consegna dal basso o che
qualcuno ci riconosce dall’alto. E’ data dalla capacità di stare in modo
significativo, coerente e competente nelle comunità. Di attivare processi, di
costruire legami, di individuare risorse e di immaginare modalità concrete di co-costruzione
di risposte e soluzioni. E questo non è un mestiere separato da assegnare
all’associazione mentre i servizi fanno altro. E’ un mestiere complessivo. Per
l’organizzazione tutta. Per tutti noi.
Chi semina chi raccoglie
Qualsiasi cosa oggi accada: non ci sono miracoli
possibili. Non ci sono scorciatoie. Non ci sono uscite di sicurezza. Non c’è
speranza immediata. C’è la fatica di assumersi di stare in un processo di
semina. Di cui, se avremo saputo fare la nostra parte, i frutti saranno raccolti
da altri dopo di noi.
Traccia dell'intervento per il 25° Congresso
Nazionale delle Acli. La dimensione congressuale difficile ha poi portato ad
accentuare alcuni aspetti e a tralasciarne del tutto altri.