
Cercando di focalizzare le cose fondamentali mi pare di vedere:
- La prima emergenza, quella fondamentale, da cui ripartire, è l’emergenza associativa. Ridare essenza all'essere associazione deve essere l'obiettivo primario in base al quale scegliere.
- C'è qualcosa che viene ancora prima della scelta della mission e degli ambiti di impegno in una associazione. “La longevità delle Acli deriva dalla complessità materiale ed organizzativa. Ma soprattutto da quest’anima. Da questo carisma che fa volare il calabrone. Se gli tiri via l’anima, il calabrone non vola più. Se la complessità si rompe, non vola. Finisci per fare un servizio di serie B, un sindacato di serie B…. A noi non ci definisce la dottrina. Ma la mistica”(Il calabrone può continuare a volare - Giovanni Bianchi) . Oggi abbiamo bisogno di ritrovare l’anima, il carisma, la mistica delle Acli.
- L’analisi complessiva è stata fatta ed è abbastanza chiara (potrebbe e dovrebbe essere fatta un’analisi anche un po’ scientifica, a partire dai dati). Ma ora non è più tempo di grandissime analisi. Ora si tratta di scegliere alcuni nodi con conseguenti snodi, formulare alcune proposte, confrontarsi e poi, concretamente, decidere e sperimentare.
La storia
“Però….Non è andata proprio
così”. “Non ho mai pensato che gli albori delle Acli fossero gloriosi”. C’è tutto un filone di ragionamento che riguarda la
ricostruzione della storia delle Acli. Che in parte, fa notare qualcuno, sfocia
anche in una “mitologia aclista”. Un
mito è una narrazione investita di sacralità e assieme al rito (che ne è in
qualche modo espressione) aiuta a costruire e mantenere comunità. E anche
un’associazione ha bisogno di coltivare questa dimensione. L’importante è non
confondere il mito con la storia.
La memoria
“Ci aggrappiamo alla memoria come ad
un pezzo di legno in mezzo alla tempesta. Ci aggrappiamo ai simboli, al nome, al logo”. Per anni abbiamo
detto che il logo è esteticamente brutto e che è un po’ datato. Anni fa abbiamo
persino cercato di cambiarlo. Poi… tra bandiere, volantini, sfondi….in quasi
tutte le iniziative è l’unica immagine/messaggio presente.
“In Alice nel Paese delle Meraviglie
c’è un punto in cui la regina bianca dice "E’ ben poca cosa la memoria che
guarda solo indietro". Da lì parte
il riscatto, la battaglia vittoriosa contro il Ciciarampa e il risveglio di
Alice che potrà finalmente avverare il sogno del padre”. “Lavoriamo per le
Acli di oggi. Quelle del passato non ci sono più e quelle del futuro non ci
sono ancora (e se non partiamo da qui non ci saranno mai). Alla faccia della
quarta fedeltà ”. Ecco, quello che ci serve è una memoria che guarda
avanti.
Il futuro
“Dobbiamo metterci in testa che i tempi sono cambiati. C'e
bisogno di rinnovarsi nelle idee e nel modo di operare, se ci si arrocca
intorno alle posizioni di potere conquistate…”
e anche “Questo
nostro resistere all’evoluzione non è una condizione sostenibile”. La necessità, il
bisogno, l’urgenza del cambiamento mi pare veramente percepita da tutti. Ma
convive con un diffuso (nel Paese prima ancora che nelle Acli) conservatorismo
intrinseco. Cambiare diventa un mantra ma ogni cambiamento fa paura e trova
mille resistenze. Emotive e morali prima ancora che organizzative. E poi, manca
ancora un indirizzo. Quale cambiamento? In quale direzione? Per
fare cosa? Per essere chi?
Il presente
L’immagine del 70enne ad alcuni è sembrata impietosa. Da altri
è stata interpretata come caratteristica generazionale di tutti i 70enni. E
questo mi spiace. Il 70enne senza futuro mette tristezza proprio perchè è
innaturale. Un 70enne che ha avuto una vita piena potrebbe essere sereno e
saggio. E ci sono moltissimi 70enni (in giro ma pure nelle Acli) che sono estremamente
vivi, generosi, positivi e vitali. E ci
sono 30/40enni vecchi, spenti e lamentosi. La metafora si agganciava al
compleanno. Ma se ne possono trovare anche di più efficaci:
- Il calabrone Giovanni Bianchi nel suo intervento riprende la classica metafora aclista del calabrone. Che (dicono gli studiosi) non potrebbe volare, ma poi in realtà vola. E non si sa esattamente cosa lo fa volare. C’è qualcosa che rende possibile quel volo. Un qualcosa che esiste anche se non si vede. Se si perde quel qualcosa, non si vola più. Il calabrone può continuare a volare - Giovanni Bianchi
- L’uovo e il pulcino Lorenzo Gaiani riprende la metafora di Buttè: Qualcuno dice: cosa sono le Acli? Né carne, né pesce! Risponde Buttè: giusto. Sono un uovo. Alimento completo! E Lorenzo suggerisce di guardare a quell’uovo con la prospettiva del pulcino che ancora deve nascere (immagine che mi piace moltissimo, se prima non ci mangiamo l’uovo!). Settant'anni insieme - Lorenzo Gaiani
- La vite e l’uva Ruffino Selmi nella serata dei 70 anni a Motta di Campodolcino paragona le Acli alla vite di suo padre. La pianta era ancora sana e buona. Ma l’uva lasciava molto a desiderare. Quel che ci volle per quella vigna fu, appunto, un innesto.
I nodi
L’essere
associazione: “Con onestà
occorre constatare gli attuali fallimenti della proposta associativa, legati
proprio al nostro modo di viverla e parteciparvi”. Consapevoli che “quello dell'identità e della funzione è
problema comune a tutte le associazioni ed è uno degli effetti della
regressione di un paese che, senza rendersene conto, si sta impoverendo” ma
(è nato prima l’uovo o la gallina?) consapevoli anche del fatto che l’impoverimento
e la regressione del paese sono corresponsabilità di una società civile che non
riesce più a svolgere il suo compito…
Il popolo e il
territorio: L’identificazione della scuola come
ambito di intervento è stato un punto molto contrastato. Da una parte alcuni
(prevalentemente 30-40enni) lo riconoscono pienamente come luogo primario e
centrato per esprimere l’essere “popolo”. Dall’altra molti altri non lo trovano
un luogo pertinente per le Acli. Mi pare però che invece ci sia molta
convergenza sul concetto di Popolo e di Territorio. Come dire, forse non è la
scuola (anche se io continuo a vederla centralissima) ma sicuramente è la
comunità territoriale con le sue dimensioni di vita “normale” la dimensione da
coltivare e da cui ripartire. “O siamo lì
o non siamo”.
La
partecipazione: pluralismo, differenze,
collegialità…. hanno sfumature e
significati differenti. Ma mi pare di poter tenere assieme queste dimensioni
emerse in molti provando a riassumerle nella Partecipazione.
Partecipare (anche portando la propria
specificità, la propria differenza, il proprio contributo divergente) è ancora
percepito come un valore nelle associazioni (“e nei partiti” diceva qualcuno)? “A volte sembra essere tollerato, raramente sembra essere richiesto e
stimolato”. Come si partecipa, come si esprime (anche al di là delle norme,
che comunque se coerenti aiutano) la collegialità, la dimensione collettiva e
non individuale, come si valorizza il pluralismo, come si fanno emergere e
tengono assieme le differenze?
Quasi nessun feedback sulla politica (e un po’ mi stupisce). Ma mi è rimasta in testa Lia
Quartapelle che a Motta dice: “La politica è costretta a volte a prendere
decisioni immediate. Guardando il presente. Ma la politica ha bisogno di
profezia. Di uno sguardo di lungo periodo. Questo la politica chiede ad
un’associazione come le Acli: un aiuto per darsi spazi e modi per riflettere
dal punto di vista dei valori.”. E
Giovanni Bianchi che spiega “Io ho una
concezione della vita e delle Acli
politica. Perché la politica dà ragione della complessità. La politica
seria parte dal riconoscimento del suo limite. Che non tutto è politica e che
c’è anche l’insufficienza della politica. La politica arriva ad un punto in cui
i suoi mezzi sono scarsi (Martini) lo dice in una relazione anni 80 in
Cattolica parlando ai giovani e pone domanda che da aclista con Pio ed altri mi
sono sempre posto: è possibile la santità politica? La risposta di Martini è
netta. No. Ma quello che è impossibile all’uomo
è possibile a Dio”. “Cercare dentro la storia i semi del Regno e fare con la
politica quel che puoi sapendo che c’è l’Altra possibilità”.
E… il lavoro?
La non centralità del lavoro ha lasciato perplessi molti. E in fondo lo
capisco. Ma, come ha detto Paolo Petracca introducendo l’intervento di Ruffino
Selmi nella serata dei 70anni a Motta “La
fedeltà al lavoro è stata una fedeltà non retorica nei primi decenni, almeno
fino alla scrittura dello statuto dei lavoratori. Ma mi sembra che negli ultimi
decenni abbiamo fatto delle grandi analisi, qualche buona proposta, ma siamo
rimasti completamente fuori dalla capacità di incidere sul tema del lavoro. Se
siamo onesti è stato così. E questo non è un bene. Per le Acli ma pure per la
società italiana”. E Ruffino Selmi ha risposto “Se oggi fosse qui uno dei nostri utenti. Uno di quelli che vengono agli
sportelli del Patronato per cercare lavoro, uno di quelli completamente
disarmati, al punto da non pensare più ai diritti da rivendicare ma da dire - qualsiasi
lavoro, con qualsiasi condizione, purchè sia lavoro - da questa mezza giornata come ne uscirebbe?
Come movimento di lavoratori ce lo dobbiamo chiedere”. Un’associazione di
promozione sociale non è un’associazione di volontariato. Non ha l’obiettivo di
aggregare quelli che “stanno bene” per proporre loro di aiutare od offrire un
servizio a “quelli che stanno male”. Un’associazione di promozione sociale si
pone di aggregare le persone, tutte, perché si basa sulla convinzione che
mettersi assieme è fondamentale per trovare ed organizzare soluzioni ai
problemi. Oggi, in un paese in crisi e difficoltà, chi (al di là di tessera o
non tessera) si aggrega alle Acli? Chi partecipa? Chi fa le Acli? Se torniamo
ad essere popolari. Se stiamo nelle comunità, tra le persone reali, sono
convinta che il tema del lavoro tornerà centrale.
Alcuni snodi:
La
tessera: la tessera
oggi è qualcosa cui (fuori e dentro le Acli)
non si dà più valore. E’ possibile restituire valore alla tessera? O esiste
un altro modo di essere democraticamente sostenibili senza la tessera?
Il
circolo: sull’appesantimento
burocratico del circolo direi che sono veramente tutti d’accordo. Poi mi pare
emerga una riflessione sulla funzione del circolo. C’è chi ritiene che il
cambio di sistema di lavoro e di gestione dei tempi porti a non avere più
bisogno di circoli come spazi di aggregazione e chi (al contrario) pensa che
nella società attuale di spazi di aggregazione ed incontro ci sia estremo
bisogno. Chi prova a declinare le modalità di specifica aggregazione che si
potrebbe coltivare: dai punti famiglia (come luoghi di ritrovo e confronto e
risposta anche in termini di mutuoaiuto ai bisogni delle famiglie) alle
esperienze di coworking…
Il
sistema provinciale: l’abolizione
delle province che ricadute ha sul nostro sistema? Direi che nessuno di quelli
che ho sentito considera l’ipotesi di una abolizione anche del nostro sistema
provinciale (considerato l’asse portante dell’associazione). Però ci sono
proposte e riflessioni in merito a province “piccole” che potrebbero accorparsi
e al tentativo di snellire (mantenendo collegialità e presidio democratico) gli
organi e i modelli di gestione provinciali.
Le regioni: su questo snodo c’è molta divergenza.
Alcuni (anche guardando le regioni attuali) non credono proprio alla necessità
e/o opportunità di investire in questo livello. Altri sottolineano che troppe
volte sono stati assegnati ruoli senza assegnazione di risorse. Alcuni
sottolineano anche l’opportunità di modelli di aggregazione multiregionale dove
le condizioni storiche o geografiche o di dimensione lo richiedono.