Far collaborare il fenicottero, il porcospino, le porte e il campo... è possibile!



di una lavoratrice Acli 
“E tu chi sei?” domandò il bruco. […] Intimidita Alice rispose “Io… a questo punto quasi non lo so più, signore, o meglio, so chi ero stamattina quando mi sono alzata, ma da allora credo di essere cambiata più di una volta”. Lewis Carroll, Le avventure di Alice nel Paese delle Meraviglie
Il cambiamento non è un proclama, il cambiamento di suo non è minaccioso…è solo cambiamento, ed è necessario adattarsi a quello esterno per sopravvivere. E noi stiamo cambiando.
Alice nel Paese delle Meraviglie è il racconto di una bambina alle prese con scenari e personaggi strani e sempre diversi, che, interagendo con lei e lei con loro, la modificano continuamente e la spingono a interrogarsi su se stessa. La partita a croquet della regina contenuta nel romanzo è un’abile metafora che possiamo utilizzare per spiegare la complessità del momento: non c’è solo il giocatore che decide le sorti di una partita, studiando la traiettoria, calibrando il tiro, ecc. ma in gioco c’è anche il campo; e la mazza con cui si gioca è viva e interferisce nella partita, così come la palla che è un porcospino e si muove, che va dove vuole, indipendentemente dalla nostra volontà e le porte? Anch’esse esseri viventi. Possiamo solo sperare, oltre che essere buoni giocatori, di influenzare fenicottero, porcospino, porte e campo per giocare, ovvero interagire costantemente e con abilità rispetto al contesto, avendo chiaro il nostro fine.
Il cambiamento esterno può diventare minaccioso e pericoloso se non lo si comprende e non lo si affronta in modo adeguato, se l’identità della persona o dell’organizzazione che lo sta vivendo non è forte o se non si ha chiaro quale ruolo si debba o si voglia giocare in un contesto che, nel tempo, si è modificato e che ancora si modificherà.
Quando si verificano questi casi, le risposte al cambiamento o non vengono date (rinviando ad un generico “dobbiamo lavorare per un cambiamento”, intendendo magari anche una futura modificazione profonda e salvifica…), oppure vengono fornite sulla base di vecchi schemi che non soddisfano più la domanda. Spesso, ancora in questi casi, nelle organizzazioni i vertici spingono per accentrare, convinti di poter meglio rispondere alla situazione esterna che via via appare più complessa e pericolosa; in realtà ciò non avviene (e perché dovrebbe accadere se il problema è il modello generale, lo schema di riferimento di risposta adottato e non le singole azioni?) e le strutture si burocratizzano e determinano una lacerazione fra le persone e l’organizzazione (e le persone, nel frattempo, elaborano e magari attuano schemi divergenti di fronteggiamento della situazione).
Ecco, ritengo che ora il focus di attenzione perciò non possa essere il concetto di necessità di cambiamento, o la ricerca di metafore che lo interpretino (seppur utili per introdurre i temi), ma i termini chiari della risposta ad esso, risposta che deve essere concreta e strutturata in una proposta di intervento organica e di sistema, politica e tecnicamente definita.
Comunque se lo scenario della partita su richiamata è oggettivamente ansiogeno, c’è anche da dire che nella realtà, mai come adesso, in un momento di grande trasformazione sociale, normativa, culturale, emergono non solo degli scenari esterni minacciosi fatti di tagli, crisi e ridimensionamenti, ma anche scenari affascinanti, sfidanti, ancora parzialmente inesplorati per il Terzo Settore e per il sistema Acli e che danno la possibilità di ripensarsi e di innovarsi, lasciando ben salde le proprie radici nelle finalità associative e nelle sue fedeltà. Finalità e fedeltà che vanno ri-narrate, ricondivise e vivificate, soprattutto tramite azioni concrete, affinché quanto l’associazione “professa” e quanto “attua” siano coerenti e mai divergenti, a cominciare dalla quotidianità dei volontari, dei collaboratori e dei lavoratori dell’associazione e delle imprese di sistema che ne costituiscono, di fatto, con i soci e gli utenti, veri e propri rappresentanti.
Se è vero che la necessità di cambiamento nasce soprattutto da esigenze esterne, non può essere di certo affrontata guardando solo all’interno, ma confrontandosi in modo onesto con l’esterno stesso, affinando le nostre competenze e i nostri saperi, accogliendo punti di vista divergenti e non cercando solo delle strategie di adattamento al contesto, ma sforzandosi di modificare lo stesso scenario. Ho l’impressione che mai come adesso sia possibile cogliere e re-interpretare in chiave innovativa il rapporto fra l’agire che le ACLI possono porre in campo e i modelli emergenti dal “fuori”; basti pensare alle nuove forme di economia che si stanno diffondendo anche in Italia: le forme dell’economia della condivisione, sostanziate spesso dalla nascita di comunità e reti sociali collaborative ad impatto economico. Queste nuove forme sociali lasciano spazi insperati fino a poco tempo fa, spazi che consentirebbero di innovare e professionalizzare “mestieri” antichi che l’associazione da sempre svolge, anche assieme alle imprese di sistema. Queste nuove forme sono potenzialmente distorsive dell’attuale modello economico (si pensi solo alla recente polemica su AirBnb a Barcellona) e generano ulteriori sfide, come quella di promuovere una buona economia collaborativa, e non necessariamente solo non profit, che non intacchi il modello tradizionale a cui sono legati ovviamente la quasi totalità dei posti di lavoro esistenti, ma ad esso si affianchi, guardando a soggetti specifici, a partire da quelli a cui guarda anche oggi il sistema. Sarà necessario ricercare un nuovo equilibrio, una forma armonica di convivenza fra diverse forme di economia, che migliori la vita delle persone, che crei occupazione, salvaguardando a lungo termine il welfare sociale. E’ un’economia definita in primo luogo dalle relazioni e su questo il sistema potrebbe spendersi.
Quali possono essere gli ambiti di applicazione?
Innanzitutto i sistemi di welfare, per quello pubblico già oggi si denotano grandi carenze e in prospettiva sappiamo che potrà contare su minori risorse pubbliche. In questo ambito è possibile promuovere reti collaborative territoriali capaci di elaborare e proporre soluzioni di welfare locali in cui le Acli possono partecipare co-disegnando e organizzando un mix integrato di iniziative associative (a partire dai Circoli, a finanziamento pubblico, a finanziamento 5*1000, basate sul volontariato); servizi al cittadino e alle famiglie (a prezzi competitivi rispetto ai soggetti esclusivamente profit); servizi alle imprese per affiancarle nell’elaborazione di piani di smart working, di welfare aziendale e di conciliazione, sia nell’accesso alle risorse pubbliche e alle agevolazioni fiscali previste per le aziende; partnership con le pubbliche amministrazioni per l’organizzazione di servizi socio-educativi e socio-sanitari. Un filone comune (es: Acli, ENAIP, CAF, Patronato, US ACLI, ecc.), su cui si può intervenire in modo specializzato e differenziato con le associazioni (anche i livelli di base) e con le imprese di sistema, ciascuno con la propria vocazione e competenza, guardando a destinatari specifici (socio, cittadini, altre organizzazioni del Terzo Settore, aziende, Pubbliche Amministrazioni).
Ma anche la tutela del lavoro e i servizi ad esso collegati sono piattaforme interessanti per pianificare strategie di lavoro comune, così come l’ambito dei diritti di cittadinanza (immigrazione, pari opportunità, ecc.).
L’associazione e i servizi sono già adesso in larga misura osmotici, non vanno separati, ma meglio specializzati e gestiti, almeno su alcuni ambiti caratterizzanti quali il lavoro e il welfare, in modo integrato: soci che divengono clienti/utenti delle imprese di sistema e viceversa, pubbliche amministrazioni che possono trovare agevole un interlocutore unico/unitario da valorizzare come partner sono meccanismi di forza. Occorre dare però un nuovo assetto all’organizzazione che sostiene questi processi, a partire dalla struttura nazionale e dal suo rapporto con i circoli, le reti e con le imprese, alleggerendola in alcune sue parti e dotandola di unità organizzative nuove impegnate a lavorare sulle esigenze dell’attuale contesto, che offrano servizi all’interno oltre che all’esterno. Occorre impegno e investimento in ricerca e innovazione, pianificazione strategica e progettazione, comunicazione e marketing. La governance complessiva di tutto questo è una sfida che chiama in causa competenza e responsabilità.
Un processo trasformativo che si attivi guardando a proposte concrete che si collocano in queste tipologie di scenari offre la possibilità di confronti fuori dalla retorica e di attivare strategie differenziate che tengano conto veramente della centralità dei territori e della loro capacità di ascolto e elaborazione (dal contributo di Lodi si diceva anche di personalizzazione) degli interventi, ma in quadro comune, codificato, comprensibile anche all’esterno delle ACLI, dove ogni livello associativo e ogni impresa agiscono sinergicamente.
Spero possa nascere presto una fase di costruzione di un nuovo modello possibile e sostenibile di sistema, perché questo attuale, per forza di cose, volenti o nolenti noi tutti, ne uscirà fortemente ridimensionato. Mi auguro sia una fase fatta di ascolto a tutti i livelli, confronto (interno ed esterno), condivisione, sperimentazione, sintesi e ancora azione, utilizzando metodi nuovi (è possibile superare il modello “gruppo di lavoro”…) in cui si possa formare una sorta di “mente collettiva” che, come ricorda Weick, non nasce dal pensiero, ma dall’azione: “un contributo coscienzioso attiva una mente collettiva non appena comincia a convergere, integrare, assistere ed essere definito in rapporto ai requisiti immaginati di un’azione congiunta”.

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

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