L'abbiamo fatto tutte...



Ci fu (come per tantissime donne) l'esperienza di aborto spontaneo. Non lo sapevo ancora. Ero ricoverata per delle perdite. Il medico facendo il giro mi chiese notizie. Io misi in fila un po' di tempi e di valori. Lui guardò nella cartellina con gli ultimi esami, poi disse, senza guardarmi in faccia, mentre stava già uscendo dalla stanza "Signora, ma lei mica é più incinta, con sti valori è chiaro che non c'è più, é andato", non l'ha capito?". E io sono rimasta lì, con le lacrime che scendevano mentre non capivo più niente. Non capivo se mi stava brutalmente preparando a quello che sarebbe inevitabilmente successo. O se mi stava dando notizia di qualcosa che era già accaduto. Furono le compagne di stanza a starmi vicino, a consolarmi, a dirmi che no, non era normale dirmelo così.
Il giorno dopo mi dissero che ci voleva il raschiamento e mi portarono con la sedia a rotelle fino alla sala operatoria. E mi mollarono lì, vicino ad una tenda. Non so esattamente per quanto. Ma fu un tempo che mi sembrò infinito. Sentivo i medici che chiacchieravano e si lamentavano "che palle, mo, che è tutto il giorno che facciamo interruzioni e raschiamenti, io voglio fare i parti, oh, mica sta roba". E quell'altro rispondeva "che prima li fanno e poi non li vogliono, o non sanno nemmeno tenerseli in pancia" E io li, ad un passo da loro che con le lacrime che scendevano pensavo solo che anche io avrei preferito fare un parto e non questo, ma mi sentivo come una che, in effetti "non avevo saputo nemmeno tenerlo in pancia".
Questa é stata la mia esperienza all'Ospedale Casilino.
Quando, fortunatamente, ci fu una nuova gravidanza, andai al Fatebenefratelli. Travaglio lungo. Stanca morta e dolorante. Me lo ricordo che, nonostante in teoria fossi preparata, mi stupii del fatto che loro realmente lo lasciassero subito sempre lì con me. E che pensai: "Ecco, di tutte le cose che ho fatto nella vita, questa é forse la prima che é davvero davvero irreversibile. Davvero, davvero per sempre. Da qui in poi, qualsiasi cosa accade, io sarò sua madre per sempre". Mi ricordo che dissi all'infermiera "Ma come faccio? Non credo di riuscire a non addormentarmi dopo tutto quel che c'è stato..." lei mi rispose "Non preoccuparti, ci sono le sbarre apposta, non cade. Te lo metti vicino, dormite assieme, vedrai che riposate entrambi".
L'abbiamo fatto tutte, mille volte, di addormentarci allattando. Lei è stata solo infinitamente più sfortunata.

Il grande sogno (infranto) di poter guidare il cambiamento - Tommaso Vitale


Il grande sogno dei movimenti, delle istituzioni civili, democratiche, solidali, progressiste, per anni e anni, è stato quello di riuscire a costruire una narrazione in cui in qualche maniera noi esseri umani siamo capaci di guidare il cambiamento. E’ una delle cose più importanti che hanno caratterizzato il pensiero sociale e le piccole ideologie associative e civiche negli ultimi 200 anni. Guidiamo il cambiamento. A volte lo guidiamo male, non va bene, allora discutiamo, deliberiamo, facciamo democrazia per guidarlo meglio.

Fermiamoci un attimo. Facciamo una pausa su questa idea che sia tutto nelle mani di Trump, della Meloni, delle Acli, del collettivo, degli esseri umani... Fermiamoci sul fatto che ci siano forze determinanti che strutturano la nostra realtà. Siamo in una situazione in cui un sacco di cambiamenti che viviamo sul piano politico, sociale, sanitario, esistenziale, spirituale, psicologico, sono mossi dalla trasformazione tecnologica. Difficile dire che sia qualcosa che è frutto di politiche, scelte, regolazioni. Un po’ si, ma per lo più è una forza che possiamo in buona misura considerare autonoma e che fa cose straordinariamente importanti e con cui dobbiamo confrontarci, come facciamo di fronte ad altri agenti di cambiamento (climatico etc…). Ovviamente è legato ad azioni di attività umane, ma lo è in maniera molto complicata. E’ un cambiamento che avviene in virtù di forze che in grande misura sono autonome da noi e dobbiamo confrontarci con esse.

Sono cambiamenti che non rispondono a logiche meccaniche. Non rispondono a logiche semplici o lineari: se aumento questo, ci sarà meno di quest’altro. Se faccio questo, ne deriva questo. Il cambiamento tecnologico ha una portata straordinariamente importante e si muove secondo un’altra logica. Ed è straordinariamente importante perché entra dentro il grande sogno della modernità ed entra nella antropologia delle persone su un aspetto cruciale che è l’apertura verso possibilità sconfinate. La voglia di andare al di là dei propri limiti, di oltrepassare le frontiere. Questa, che era una enorme questione, ora si presenta tutta di un colpo nelle nostre vite su un piano cognitivo, che riguarda simboli, culture e questioni del cervello. 

La filosofia moderna inizia con Kant. Quello che ragiona sul senso del limite, nell’etica, nell’estetica, nel diritto, per immaginare forme di vita regolata che uscissero da modalità autoritarie. Il senso del limite caratterizza le dimensioni dell’esistenzialismo. Chi sono io rispetto ai limiti con cui mi confronto. Caratterizza le riflessioni più importanti delle scienze economiche e sociali sulla produzione. Sono belle riflessioni. Il problema è che una cosa autonoma (il cambiamento tecnologico) ci fa provare un’esperienza specifica di limite e lo fa a tutti, a qualsiasi età, quasi a qualsiasi latitudine, quasi a costo zero (ci sono problemi energetici e disuguaglianze ma le cose nelle società occidentali sono comuni) a tutti. Fa provare lo spazio sconfinato della conoscenza ad altissimo contenuto estetico.

Questa rottura storica totale con il limite è qualcosa che entra profondamente nei sentimenti e nelle emozioni condivise che abbiamo. Nessuno ha tempo. Tutti sono in ritardo. Tutti siamo in ansia. Le questioni che prima erano solo dei manager frustrati diventano oggi il problema educativo di tutti. Tutti, a tutte le età, praticamente da subito, ci troviamo di fronte all’infinito, ad una forma di possibilità infinita. Perché il filtro alle opportunità era un filtro simbolico mediato dai soldi. La moneta, siamo a Berlino, Zimmel. La moneta è un bene in sé, può creare mercati, etc… ma la moneta è in gran parte qualcosa che ci permette di gestire la relazione al limite. Siccome ogni cosa ha valore economico e siccome noi abbiamo un potere economico limitato, non possiamo avere tutto. Nel momento in cui le cose sono a costo zero o comunque con un costo di entrata bassissimo. La moneta, la ricchezza, la stratificazione sulla base delle risorse non è più il criterio su cui si gestisce in maniera semplice il limite. Quindi il limite viene soggettivizzato a livelli che non hanno paragone.

Pensate all’accesso a piattaforme di gioco, a Netflix, a Spotify… sono accessi non ad una cosa, sono accesso ad una quantità di cose così sterminate che nessuno può fruire di tutto. Nel momento in cui passo da: pago le telefonate al minuto (o a risposta), a telefonate che hanno costo zero, ho fatto un cambiamento straordinario. Nel momento in cui passo da “ogni foto che faccio ha un costo” a “le foto hanno costo zero, la manipolazione delle foto ha costo zero… mi trovo di fronte alla necessità di gestire il mio rapporto con quelle opportunità infinite. Mi trovo a dover scegliere. Tutto nella nostra vita cognitiva (estetica, spirituale, relazionale) tutto, nella realtà della nostra vita, è senza limite. E tutto (o quasi) richiede una scelta, perché non vi è più un filtro economico basato sull’acquisto per l’accesso. Non è così per la casa, non è così per il cibo, non è così per tutto… ma dal punto di vista di come gestiamo il nostro tempo qualcosa di sconfinato entra nelle nostre vite e rimanda a problemi di responsabilità individuale e questo pesa enormemente sugli individui. Non solo su quelli in tenera età. Su tutti. Pesa in una maniera che stiamo solo iniziando a conoscere.

La capacità di organizzazione della propria vita quotidiana. La capacità di decidere quando fermarsi. La capacità di scegliere, la capacità di porre un limite. La capacità di darsi una sfera simbolica di confini, di tempo o altro che non si vuole toccare, che si vuole preservare, tutto diventa concretamente responsabilità nostra. E’ una responsabilità "psicoqualcosa" che cade su ogni individuo singolo e separato. Il primo punto (enorme) è che l’individualismo di oggi sta anche nella scelta continua di “quando mi fermo”? Non la scelta di chi può vedere la tv fino a tardi e si ferma alle televendite. E’ la scelta di chi ha accesso al meglio del meglio, in qualsiasi momento. Il corpo e i suoi ritmi sono nostra responsabilità. Bisogna ri-regolare, ogni singolo giorno, ogni singola scelta. Le abitudini sono continuamente sfidate da opportunità sconfinate. Questo tipo di individualismo non ha niente a che fare con l’egoismo di chi vuole accumulare più soldi e con l’individuo solo che non ha relazioni. E’ un individualismo iper esistenzialista. E’ un individualismo di necessità responsabile. Io devo centrare me stesso sul tentativo di darmi un limite. E non è una scelta che faccio una volta per tutte. Mi basta non farlo per un pochino che prendo percorsi difficili… Il problema che era solo della iper elite e dei frustrati è oggi il problema di tutti. Il problema della noia di fronte ad un iper infinito che non si placa mai. Chiama ad un intrattenersi perché ci si annoia.

Non c’è più distinzione tra digitale e reale. E’ un tuttuno ed è comunque infinito e senza limite monetario la possibilità di incontrarsi. E questa noia ha anche un doppio, una backlash, una reazione, che sono tutte le comunità estremamente normate, iperideologizzate, che danno delle norme da setta, ma diventano un possibile ancoraggio, per scaricarsi un po’ di peso iper individualizzato.

Il cambiamento tecnologico è sempre stato importante, soprattutto nelle esperienze che hanno origine nel movimento operaio. Il cambiamento tecnologico ha effetto sulle dinamiche di produzione. Ma il cambiamento tecnologico storicamente rinforzava una centratura su alcuni problemi comuni. E polarizzava il campo delle risposte, tra progressisti e conservatori. In passato il cambiamento tecnologico diceva: ecco, questo è il nostro problema. Il lavoro minorile, la sicurezza industriale, il tempo di lavoro… questo è il nostro problema. E si discuteva su: cosa ne facciamo? E, per chi veniva dal movimento operaio, la risposta era: mettersi assieme serve, per avere maggiore forza, per sostenere le nostre ragioni.

Dobbiamo tornare sempre alla genesi della modernità. Un pezzo della storia è la genesi del limite. Un altro pezzo della storia è la dialettica. Abbiamo pensato il nostro rapporto al tutto, in senso dialettico. Con forze un po’ più di progresso e redistribuzione e forze più reazionarie che tornano indietro. Ma più o meno questa centratura dialettica ha funzionato bene per spigare tante cose. Anche in Italia, in cui c’erano complessità legate alla DC… ma comunque c’era una istanza di un lato e di un latro che si confrontavano… Negli USA era molto più leggibile ma la dialettica delle reazioni in avanti e indietro su oggetti comuni era una filosofia importante che ha strutturato il modo con cui abbiamo pensato le cose.

In maniera sempre più sofisticata. Ma dietro c’era la tensione tra due e un’idea virtuosa di compromesso come sale della politica per avanzare sulla gestione di progetti comuni. Questa è una delle basi cognitive. Si convergeva in dei luoghi in cui tutti riconoscevano che questo era l’oggetto di priorità e si discuteva se fare così o così. L’arrivo autonomo, non pensato, del cambiamento tecnologico, ha completamente sfidato, distrutto, marginalizzato, spostato sul lato, le istituzioni formali e rappresentative e il ruolo dei media tradizionali (che, appunto, mediavano e alimentavano questa dialettica, erano uno dei luoghi in cui la dialettica si esprimeva). Il cambiamento tecnologico ha aperto progressivamente un enorme pluralizzazione sotto ogni aspetto. Le comunità di discussione e riflessione sul nostro vivere insieme si sono pluralizzate anche nel riferimento sulle pluralità degli oggetti comuni e sui luoghi e modi di dialettica. Questo è enorme. In questo si accompagnano altri fattori: c’è chi può pensare che non si fida più della scienza, c’è chi non vota, c’è chi dice che è uguale.

Noi possiamo dire che i partiti non sono bravi, non ascoltano… ma non è quello il motore del cambiamento. Il motore del cambiamento è che questo accesso infinito ha fatto si che non riconosciamo più oggetti in comune. Le priorità si frammentano tantissimo. Non c’è un luogo abbastanza condensato in cui fare dialettica e fare sintesi. Quando si passa da 3 tg con più o meno 4 persone su 5 che li guardano a tutto un mondo infinito di informazioni e quei 3 tg che sono guardati da 1 persone su 6… non è che siamo in una società più pluralizzata, siamo in un’altra società…

Si litiga ancora su alcuni oggetti (politica della casa, accoglienza immigrati…) ma questo tocca meno, tocca moltissimo meno… E’ ovvio che la politica come capacità di regolare con continuità offerta di beni e servizi resta vicinissima e importantissima alle persone. Ma la politica intesa come spazio di discutere e ragionare di problemi comuni salta. Noi potremmo sempre fare degli sconti e potremmo dire “noi facciamo dibattiti con le persone nel circolo, in consiglio comunale, nel parlamento europeo…” Possiamo dirlo ma sono 25 persone su un territorio di 2 milioni di persone. E comunque non compartecipiamo ad un movimento complessivo che ragiona, si differenzia… facciamo l’ennesima bolla in cui discutiamo uno tra i mille oggetti possibili su cui si discute…

Possiamo discutere di cosa doveva fare Letta, la Meloni, della distanza dei partiti… ma la destrutturazione in questo campo è enorme. E. dentro questa destrutturazione passa di tutto. Passa la possibilità di elite iper ricche che si presentano come povere. Passano politiche redistributive verso l’alto presentate come politiche per i poveri. Passa che ognuno dica la sua su come funziona la malattia...

Il problema, di fronte a tutto questo, è che il cambiamento non avviene grazie a buoni movimenti progressisti che spingono verso la redistribuzione. Non è lì la forma del cambiamento. Il cambiamento è autonomo e sta nel fatto che la gente è dentro straordinarie opportunità relazionali. Senza un filtro centrale. Il rapporto di tutta questa gente con lo sconfinato, le modalità di relazione con il senso del limite, hanno conseguenze sulla nostra capacità di deliberazione. Il cambiamento tecnologico fragilizza l’idea stessa di poter ragionare in termini dialettici sulla politica.

La dialettica tra spinte diverse non era leggera. Le derive che potevano portare le spinte di qui e di là potevano essere brutte. Il compromesso non è mai stato facile. Ma la dinamica era leggibile. Pensare che la tensione elite/popolo (che è la tensione principale oggi) sia legata ad una evoluzione delle ideologie è ingenuo. La tensione elite/popolo è legata alla destrutturazione degli spazi di riconoscimento comune degli oggetti.


Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore di un intervento di Tommaso Vitale in occasione di una formazione a lavoratori Acli. 

In dialogo con l'intelligenza artificiale...


Cosa è l'azione sociale? puoi definirla?

L'azione sociale è l'insieme di attività e iniziative volte a migliorare la qualità della vita delle persone e della comunità. Può includere programmi di assistenza sociale, attività di volontariato, campagne di sensibilizzazione e azioni politiche volte a promuovere la giustizia sociale e l'uguaglianza. L'azione sociale può essere intrapresa da individui, gruppi, organizzazioni non profit e governi.


E cosa è l'animazione di comunità?

L'animazione di comunità è un insieme di tecniche e metodi utilizzati per coinvolgere le persone in attività che migliorano la qualità della vita della comunità in cui vivono. Può essere utilizzato per costruire relazioni, promuovere il senso di appartenenza, sviluppare progetti comuni, affrontare problemi sociali e promuovere la partecipazione attiva dei cittadini. L'animazione di comunità può essere utilizzata in una varietà di contesti, come quartieri, città, scuole e

organizzazioni. L'animatore di comunità si occupa di questa attività e agisce come un facilitatore, aiutando le persone a lavorare insieme per raggiungere obiettivi comuni.


C'è una connessione tra azione sociale e animazione di comunità? Quale?

Sì, c'è una connessione tra azione sociale e animazione di comunità. Entrambe mirano a migliorare la qualità della vita delle persone e della comunità in cui vivono, e possono utilizzare metodi simili per raggiungere questi obiettivi.

L'azione sociale si concentra sull'affrontare problemi sociali specifici, come la povertà, l'esclusione sociale e l'iniquità, e può coinvolgere la promozione di politiche e programmi che aiutano a risolvere questi problemi. L'animazione di comunità, d'altra parte, si concentra sul coinvolgimento attivo dei cittadini e sullo sviluppo di progetti comuni che migliorano la qualità della vita della comunità.

In generale, l'animazione di comunità è un'attività a lungo termine che mira a costruire relazioni e a promuovere la partecipazione attiva dei cittadini. L'azione sociale, d'altra parte, è più mirata a risolvere problemi specifici e può essere un'attività a breve o lungo termine.

In sintesi, l'animazione di comunità e l'azione sociale possono anche essere complementari poiché l'animazione di comunità può aiutare a creare un ambiente in cui le persone sono più attive e più disponibili e disposte a partecipare all'azione sociale, mentre l'azione sociale può fornire risorse e supporto per affrontare problemi specifici della comunità.


Potrebbe essere corretto dire che l'azione sociale mira a risolvere alcuni problemi comuni e l'animazione di comunità è

un particolare approccio, cioè un modo (non l’unico possibile) per farlo?

Sì, potrebbe essere corretto dire che l'azione sociale è un insieme di azioni atte a risolvere problemi comuni e che l'animazione di comunità è un particolare approccio o metodo per affrontare questi problemi.

L'animazione di comunità può essere considerata un modo possibile per affrontare i problemi sociali e per promuovere l'azione sociale, lavorando sulla partecipazione attiva dei cittadini e costruendo relazioni positive all'interno della comunità.


Secondo te l'approccio di animazione di comunità può essere utilizzato anche "internamente"? Ad esempio per

rivitalizzare un'associazione?

Sì, l'approccio di animazione di comunità può essere utilizzato anche "internamente" per rivitalizzare un'associazione o un'organizzazione. L'animazione di comunità, infatti, non è limitata solo alle comunità allargate, ma può essere un approccio applicato anche a gruppi più piccoli, come le associazioni.

Nel caso di un'associazione, l'animazione di comunità può essere utilizzata per coinvolgere i membri in attività che migliorano la qualità della vita dell'associazione stessa, come ad esempio:

• Costruire relazioni e promuovere senso di appartenenza tra i membri dell’associazione

• Sviluppare progetti comuni e attività che rispondano realmente alle esigenze e agli interessi e alle capacità dei soci dell’associazione e della comunità in cui vivono

• Affrontare problemi interni all’associazione e promuovere la partecipazione attiva dei soci alla vita dell’associazione

• Promuovere una cultura della partecipazione e della collaborazione

• Intercettare nuove persone interessate a far parte dell’associazione come modo per attivarsi per rispondere ai bisogni della comunità

In questo modo l'animazione di comunità può essere utilizzata anche in una prospettiva interna all’associazione e può contribuire a rivitalizzarla, aumentando la partecipazione attiva dei membri e migliorando la qualità della vita dell'associazione stessa.


Gli obiettivi della comunità e gli obiettivi dell’associazione potrebbero non coincidere. Come ci si garantisce che

l'intervento (che vuole attivare la comunità ma vuole anche rivitalizzare l'associazione) non sia da un lato troppo

autoreferenziale e dall'altro non perda di vista anche i bisogni interni dell’associazione?

Per garantire che l'intervento di animazione di comunità promosso dall'associazione non sia troppo autoreferenziale e al contempo non perda di vista i bisogni interni dell'associazione, è importante seguire alcune best practice:

1. Coinvolgere la comunità nella definizione degli obiettivi e delle attività: è importante impiegare del tempo per ascoltare i bisogni e le aspettative della comunità e incorporarli nelle attività dell’associazione.

2. E’ importante che l'associazione coinvolga il più possibile la comunità nel momento in cui vuole sviluppare un piano d'azione che tenga conto degli interessi e delle esigenze di entrambe le parti.

3. Comunicazione trasparente: è importante che l'associazione fornisca costantemente informazioni sui progressi e sui risultati degli interventi, in modo che la comunità possa valutarne l'efficacia e l'impatto.

4. Valutazione continua: è importante che ci sia un tempo dedicato ad una valutazione continua degli interventi, per verificare se gli obiettivi sono stati raggiunti, per cogliere le novità prodotte e per adattare costantemente il piano d'azione.

5. E’ importante che l'associazione tenga in considerazione gli interessi della comunità ma allo stesso tempo che non perda di vista i propri bisogni per garantire la sopravvivenza e crescita dell'associazione.

Seguendo queste best practice, l'associazione può promuovere l'animazione di comunità in modo che sia efficace sia per la comunità che per l'associazione stessa.




I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...