L'animazione di comunità come cura?


Intervento a cura degli animatori del percorso Acli all'interno del Festival dei Diritti del CSV Lombardia Sud copromosso dal circolo Acli Crema. 

La burocrazia non va semplificata!

 

Abbiamo detto che i due cardini sono: facilitatori e democrazia partecipativa. Ma bisogna anche essere consapevoli che, per fare questo, dobbiamo radicalmente mettere in discussione come oggi funziona la burocrazia. Dobbiamo esigere una pubblica amministrazione capace di crowd soursing. Una pubblica amministrazione che, per affrontare i problemi, ricorre al sapere collettivo e così facendo mobilita le risorse. In Italia questo è un tabù, più che in altri paesi. 

 

La pubblica amministrazione, per favorire queste cose, per non impedire ai singoli di essere effettivamente utili e facilitatori del processo, cosa deve fare? Deve ripensarsi radicalmente, uscendo dal blocco di regolamenti, di uffici, di selva oscura di codicilli, per avere la capacità di mettersi in contatto al territorio e dare voce ai saperi che ci sono sul territorio. 

 

Per esempio: La ricostruzione post terremoto. Ho in mente il libro di Giulia Scandolara. Ho preso il terremoto. Racconta il terremoto del 2016 in centro Italia. Le persone “prendono il terremoto”. Si ritrovano la casa distrutta la casa, i parenti morti… E’ un trauma profondissimo. A fronte di questo si trovano la pubblica amministrazione che dice loro: per avere questo e questo devi fare domanda, ma sappiate che prima di una qualsiasi risposta ci vuole almeno un anno. Questo è una cosa assurda. Assurda in generale. Ancora più assurda se detta a della gente che ha appena subito un trauma enorme. L’ho visto quando anche io ho lavorato ad una ricostruzione. A Camerino. Anche se operi molto bene sul territorio nell’ideare e fare. E tutti ti dicono “bravissimi”. Poi quando arrivi all’amministrazione ciò che è stato scritto in modo partecipato, è stato stravolto attraverso gli organismi burocratici. E’ venuto fuori che ogni singolo cittadino singolo doveva compilare, entro un mese, un modulo, l’amministrazione doveva rispondere, entro un mese…  tutto si è irrigidito in un processo individuale e ciò che ne è emerso è l’esperienza che non è possibile affrontare i problemi con un rapporto capace di crowdsoursing. Perché nel crowd soursing l’amministrazione non viene tagliata fuori. Anzi. 

 

Ho scritto un articolo su Sbilanciamoci: Al di là del muro della burocrazia. Ci sono una serie di esempi. Prendete il caso dei drenaggi dei  fiumi. Hai il problema della cura del territorio, fondamentale e drammatico. Non di rado la situazione è: i fondi ci sono, ma sono bloccati. Perché c’è sovraccarico degli uffici, perché c’è un motivo, un altro… a volte sono bloccati per anni. Hai il problema, hai i soldi, non riesci a intervenire. Come si può aggirare questa situazione con un approccio che mobilita le risorse? Con approccio di democrazia deliberativa. I cittadini, insieme all’amministrazione, vogliono affrontare il problema. La macchina pubblica è intoppata. Che fanno?  Puoi fare un’indagine attraverso i cittadini che hanno a cuore il problema e che vivono lì vicino. Puoi dialogare con esperti sulle possibili soluzioni. Se l’amministrazione non è in grado di affrontare rapidamente il problema, puoi ricorrere ai professionisti che fanno le analisi di fattibilità che l’amministrazione non è in grado di fare. 

 

C’è l’idea dell’accaparramento dei saperi da parte dell’amministrazione pubblica. L’idea che controllo e monitoraggio sono appannaggio della pubblica amministrazione, perché è l’unica che possa garantire che il lavoro non venga fatto in modo partigiano. Queste idee non funzionano. L’accaparramento di queste funzioni da parte della attuale burocrazia non è efficace. L’attuale burocrazia deve imparare a dialogare con i saperi nella comunità. E’ un po’ l’idea di ruolo del terzo settore oggi. Ma la vera rivoluzione è cambiare il ruolo della pubblica amministrazione. Non perché è morale. Perché questo è il modo di funzionare possibile di una amministrazione che vive nel 21esimo secolo. 

 

Riguarda anche il linguaggio. Non si può agire in gergo burocratico. Dobbiamo togliere ai giuristi del diritto pubblico il monopolio del dibattito pubblico.

 

Come si fa a cambiare? Noi abbiamo la sensazione che si stia andando nella direzione giusta, ma che ci voglia tempo. Perché la burocrazia è così impastoiata in leggi e regolamenti e codicilli che non si può semplificare da un giorno all’altro. Ci vorrà qualche anno, almeno. Ma la verità è che non è vero che ci vuole del tempo. Ci vuole un cambiamento drastico della burocrazia. 

 

Il problema della nostra burocrazia non è semplificarla. Le basi della burocrazia sono semplicistiche. La mossa per innovare oggi non è semplificare, è fare emergere la complessità. La nostra burocrazia non riesce a governare il presente perché è incapace di fare emergere la complessità. Ogni volta che si confronta con la complessità, impazzisce e complica le cose. La semplificazione nasce solo dopo che hai fatto emergere la complessità. Altrimenti ti resta la complicazione. La burocrazia non devi semplificarla, dei riformarla. E devi farlo attingendo ai saperi diversi. 

 

L’invenzione è sempre creatività, è capacità di guardare con occhi nuovi ciò che l’abitudine ha reso opaco. E’ una competenza dell’essere umano, prima ancora che una competenza del facilitatore. La burocrazia guarda la realtà con occhi routinari, a partire da quello sguardo lì non riesce ad inventare. E’ impossibilitata ad inventare. Ed è impossibilitata a muoversi nella complessità. 

 

Appunti tratti dall'intervento di Marianella Sclavi durante l'ultima giornata del convegno "Invenzioni di comunità: annodare fili dentro città fragili" organizzato da Animazione Sociale, Ordine Assistenti Sociali Puglia, Firss. 5.12.2020

Il facilitatore. Come può legittimarsi? Che potere agisce?




Il facilitatore. Come può legittimarsi? Che potere agisce? 

 

Il facilitatore nasce attraverso una serie di esperienze fatte dagli anni 80 in poi. Molto spesso in ambienti ambientalisti. Il facilitatore diventa l’organizzatore di dinamiche di decisione dal basso, di dinamiche di decisione inclusiva. Non si esclude nessuno, purchè accetti le regole del confronto creativo. 

 

Questa figura non viene legittimata da un ruolo o da un nome. Viene legittimata nella misura in cui c’è. Grazie alle esperienze che abbiamo iniziato a fare, dagli anni 90 in poi, ormai in italia si sono create una serie di competenze. Se prendete il libro “Coltivare partecipazione”, trovate che è scritto da una ventina di facilitatori. In Italia molte sono donne. Sono persone che oggi sono capaci di mettere in piedi un processo di dibattito pubblico. 

 

In Francia c’è un organismo che seleziona i facilitatori. Qualsiasi investimento oltre una certa cifra, in Francia, vede come obbligatorio la previsione di dibattito pubblico e la creazione di una sottocommissione che ha il compito di fare questa apertura al territorio, agli abitanti, ai saperi diffusi. 

 

Il facilitatore è nuova figura nata al di fuori da un intervento legislativo. Nata dalla necessità di operare in modo diverso e di superare la partigianeria dei partiti. Il facilitatore è il garante di una modalità di rappresentanza democrazia diversa da quella partitica. Complementare a quella partitica. Una modalità che per il solo fatto di esserci richiede che i partiti rivedano la loro funzione. 

 

Il facilitatore è il garante della rappresentatività del territorio, garante del fatto che c’è la presenza di tutte le posizioni. Devo garantire che tutti coloro che vogliono avere voce in capitolo si sentano rappresentati da qualcuno nel gruppo. Non tutti possono essere nel gruppo. Ma tutte le posizioni devono essere presenti nel gruppo.  Il marginale, il non ascoltato, il rompiballe che non ascolta ed è contro per principio. Tutti possano fare parte del consesso. Che è la creazione di un contesto di mutuo apprendimento. Ormai queste cose girano, di esperienze ce ne sono molte in giro. Il facilitatore ha questo ruolo di mettere in piedi questo processo di ascolto. 

 

Il parlamento non funziona. Abbiamo problemi concreti, urgenti, drammatici sul territorio che non sono mai al centro della discussione. Se riesci a mettere al centro il territorio, viene fuori una modalità di diagnosi e di elaborazione delle soluzioni che è completamente diversa da quella attuale a cui il potere politico ricorre. Su tante cose si può continuare ad operare come si sta facendo. Su altre serve un nuovo approccio…

 

Pensate alla sanità territoriale. La soluzione olandese è che esiste un gruppo di infermieri che ha detto: vogliamo curare la gente a casa loro, trattandola come persone. Vanno lì, bevono il the, portano la spesa, fanno le medicazioni, hanno il computer per parlare con il medico in diretta... E’ una figura di assistenza a 360 gradi, che ha avuto un successo enorme ed è diventata la modalità principale di cura in Olanda. Siccome in Olanda l’assistenza sanitaria è pagata con assicurazione, quello che è successo è che l’assicurazione paga loro al posto di pagare gli ospedali, per una serie di prestazioni. Questi infermieri sono organizzati territorialmente. Prendono in affitto insieme un posto, assieme costruiscono un rapporto di imprenditorialità, assieme affrontano i problemi del territorio, insieme formano i nuovi che si aggiungono… E’ una cosa che affonda estremamente le radici nel territorio, ma che usa anche internet. Una cosa che ha capacità di essere radicato e insieme capacità di innovazione. Devi avere, assieme, il senso del grande cambiamento in atto e la capacità di guardarlo a partire dalla concretezza delle persone. Questa oggi è una possibilità ed è una possibilità meravigliosa.


Appunti tratti dall'intervento di Marianella Sclavi durante l'ultima giornata del convegno "Invenzioni di comunità: annodare fili dentro città fragili" organizzato da Animazione Sociale, Ordine Assistenti Sociali Puglia, Firss. 5.12.2020

Hanno lavorato per 9 mesi con metodi di democrazia deliberativa


Un esempio. La conferenza dei cittadini sul clima, 150 cittadini presi con un campione statistico e stratificato, rappresentativi della Francia. Hanno avuto il compito di definire le linee guida per arrivare nel 2030 soddisfacendo gli impegni per il clima. E’ molto divertente vedere come sono stati convocati. Uno era una badante. Uno era un professore. C’erano 6 minorenni… Hanno lavorato 9 mesi, con metodi di democrazia deliberativa. Hanno prodotto 149 proposte, su 5 temi. Iniziative da prendere per iniziare a risolvere il problema della trasformazione ecologica e climatica. Praticamente accogliendo tutte le idee più avanzate sul tema e facendolo anche in modo molto concreto. In 9 mesi hanno fatto una operazione che hanno consegnato a Macron, che si è impegnato a proporla in Parlamento. 

 

Come mai 150 cittadini in 9 mesi sono riusciti a fare una operazione di questo tipo? Adesso si sono costituiti in gruppo, per vedere se le loro proposte sono ascoltate e messe in pratica davvero.  Hanno messo su sito le loro proposte ed hanno avuto 1 milione di visualizzazioni e feedback dai francesi. Come mai sono riusciti, mentre i parlamenti hanno questo problema da almeno 30 anni e non ci sono riusciti? La domanda è importante. Ti obbliga a riflettere sugli impedimenti che il sistema parlamentare partitico di oggi pone. In teoria le commissioni dovrebbero poter funzionare bene. Ci sono tutte le posizioni. Ci sono gli esperti. Ormai si può anche ascoltare in diretta ciò che vanno a dire gli esperti. E’ che gli esperti vanno lì a dare dati astratti. La soluzione non si costruisce da quei dati. Per risolvere tu non puoi partire dall’astratto. Devi partire dai territori concreti e avere delle soluzioni che funzionano in quel territorio concreto, usando l’unicità di quel territorio. Questi cittadini che sono stati selezionati erano portatori di questa esigenza di concretezza ed erano molto attenti a non essere manipolati. C’è tutta discussione tra loro su questo. 

 

Questa estate ero nel sud di Francia. In un piccolo paese. Entro in un negozio e trovo il cartello: facciamo la conferenza locale sul clima qui. Sono elementi di innovazione del dibattito pubblico che passano. In Italia sono assenti dalla discussione politica, mentre sono fondamentali.

 

Con questi miliardi che arrivano dall’Europa per la ricostruzione, io adesso sono terrorizzata. Il fatto che pensino di usare i soldi con 300 esperti, vuol dire che non hanno capito come far funzionare un investimento sul territorio in modo efficace.

 

L’ascolto attivo, la capacità di accogliere l’esperienza diversa e di farla fruttare, non è una questione morale ed etica. Non è questione di avere riconoscimento e rispetto per l’altro. E’ questione di efficacia. Il tuo investimento non funziona se non riesci a cogliere le risorse locale e a sfruttarle. Ogni volta che affronti questi problemi in un atteggiamento di chiusura, di professionalità esclusiva, trasformi la complessità in complicazione. La complichi e non la cogli. Rimani prigioniero di un reticolo che ti impedisce di operare concretamente e di verificare in progress quello che stai facendo. Ti impedisce di fare in itinere le correzioni che devi fare. 

 

Abbiamo bisogno del recupero della intelligenza collettiva ma per fare questo bisogna mettere al centro la democrazia deliberativa e una pubblica amministrazione capace di crowd soursing.


Appunti tratti dall'intervento di Marianella Sclavi durante l'ultima giornata del convegno "Invenzioni di comunità: annodare fili dentro città fragili" organizzato da Animazione Sociale, Ordine Assistenti Sociali Puglia, Firss. 5.12.2020

Crowd Sourcing: Alla ricerca dei saperi diffusi



Io penso che sia utile partire dalla consapevolezza che siamo in un’epoca di enorme innovazione. Ci siamo dentro. Siamo an march, on the road. C’è innovazione in atto, fondamentalmente legata al passaggio al web, alla comunicazione attraverso la rete. Che ha messo in atto una rivoluzione che è paragonabile a quella della rivoluzione industriale ma che può essere di segno inverso. E’ utile avere presente questo.

 

Mentre la rivoluzione industriale ha funzionato attraverso un irrigidimento, come Marx raccontava, trasformando l’artigiano in forza lavoro. Portandolo alla ripetizione di un compito privo di senso, dentro un progetto non suo. Oggi c’è la possibilità, non inevitabile, di recuperare quel lavoratore che da forza lavoro torna ad essere soggetto, entra in contatto con gli altri e riesce a diventare coprotagonista di progetto sociale. 

 

Wikipedia è l’esempio tipico di capacità di attingere a riserve di sapere che la collettività ha e che nella organizzazione moderna non è chiamata a portare ma che, con i giusti strumenti, non è proibito esprimere.  E’ quello che si chiama crowd soursing: la possibilità di attingere al sapere di una comunità. E’ un sapere che c’è. Ma non sai dove è. 

 

Abbiamo questo problema, chi è interessato? Chi ha qualcosa da dire? Le persone arrivano, se riesci a mettere assieme le esperienze, riesci a trovare soluzioni creative ai problemi. Oggi questa è una possibilità che abbiamo. E questa è la vera rivoluzione. Bisogna sapere come trasformare questa ricchezza in operatività concreta. 

 

Nell’affrontare questi temi ormai c’è tutto un patrimonio di esperienze. I due nodi centrali sono: 

-       Il ruolo del facilitatore.

-       La democrazia deliberativa.

 

Le esperienze consistono nel chiamare i territori interessati ad un certo tipo di cambiamento, nel chiamarli ad essere protagonisti di questo cambiamento, attraverso la figura di un facilitatore, che è garante del fatto che c’è un dialogo. Garante del fatto che siano convocati, per affrontare quello specifico problema, tutti quelli che l’hanno a cuore.  Anche gli antipatici. Anche i non amici. Anche chi non è già d’accordo con l’idea di soluzione che hai. Anzi, specialmente chi è in disaccordo con l’idea della maggioranza. 

 

Convochi un territorio e costituisci un “parlamento”. Può anche essere fatto, in parte, da un campione statistico stratificato della popolazione. Ma devi sapere come gestirlo. Attraverso le regole semplici del confronto creativo. Il facilitatore è garante del processo. Della possibilità che tutti partecipino. Chiunque può partecipare. A patto che accetti alcune regole: 

-       Ascoltare gli altri

-       Cercare di capire le loro ragioni

-       Una volta raccolte tutte le ragioni, moltiplicarle ancora. 

-       Trovare la soluzione al compito in modo collettivo, facendo una emersione di intelligenza collettiva

-      Sulla base di questo, arrivi al momento in cui puoi co-progettare

-   La co-progettazione avviene in piccolo gruppo designato, che si mette lì, sulla base della discussione ampia, ed elabora un progetto, che poi viene discusso.

 

Se fai questo, nella stragrande maggioranza dei casi, quasi il 100% si trova d’accordo sul progetto finale. Non per magia. Non perché ha cambiato idea. Ma perché ognuno si è sentito davvero ascoltato. Quando senti che hanno preso davvero in considerazione le tue motivazioni, anche se in quel momento quelle tue preoccupazioni non sono accolte completamente, nel tempo di dialogo ti sei convinto che il processo è sano e che la soluzione ideata magari non è la migliore, ma è una delle possibile. E sei anche disponibile, in virtù del processo, a mettere da parte qualche tua preoccupazione non ascoltata. 

 

Possono esserne promotori tutti: i cittadini, gli enti di terzo settore, l’amministrazione... Quando promuovi devi rivolgerti alla comunità. Non è questione di un comitato o di una associazione o di un gruppo. L’inizio può essere un comitato, un gruppo, ma il punto è che fai un processo in cui tu fai out sourcing. In cui vai a scovare sul territorio competenze, esperienze, persone che siano in grado di “Coltivare partecipazione” (come il titolo del libro di Chiara Pignari). Il libro racconta come in un comune hanno messo in piedi una capacità di intervento e di cura del territorio e di prevenzione che ha davvero le sue radici nel territorio. E’ fatto dai cittadini che hanno a cuore quel problema, assieme all’amministrazione. 

Ma su questi temi sto ancora riflettendo


L'incontro fu ad una Agorà dei Giovani delle Acli, agli inizi degli anni 90. Portò una riflessione sulla partecipazione: lamentarsi della altrui non partecipazione è inutile. In molti casi persino ingiusto. Non possiamo chiedere partecipazione se avanziamo proposte non dotate di "parti prendibili". E "prendibile" è inteso come immagine anche fisica, pratica. Ed è connesso con "visibile", "dicibile", "comprensibile" e "possibile". Ed anche con l'idea stessa di "parte", e con il bisogno di smetterla di chiedere sempre e per forza "tutto". 

Ieri, rileggendo Canta il merlo sul frumento (Lidia Menapace. 2015. Manni Editori) mi sono appuntata alcuni spunti che rimandano l'idea di lei. E offrono piste per proseguire riflessione, discussione, azione. 


Discutevo alla follia sempre, di tutto, specialmente di politica e di religione, ne parlerò molto e sempre, restano temi che innervano tutta la mia vita. 

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Non so se fosse leggerezza o presunzione: fatto sta che feci tutto con la massima tranquillità. Se ci si rende conto della importanza e non rinviabilità di una incombenza, ce ne si fa carico, come si può.

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Bisogna dunque cominciare a lavorare su una alternativa che, secondo me, è una alternativa culturale. Bisogna cominciare a lavorare sulle relazioni umane, su tutte le cose della quotidianità, su tutti gli aspetti della vita democratica. 

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E' importante tornare al concetto di complessità della nostra società, che non è più divisa solo in ricchi e poveri: è appunto più complessa, con varie stratificazioni sociali. Bisogna fare i conti con la complessità, anche perchè la complessità porta problemi di governabilità. 

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Oggi occorre trovare forme politiche che possano governare la complessità e non pensare che la complessità è ingovernabile a meno che non si faccia un governo antidemocratico. 

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Nel discorso sulla complessità e sulla sua governabilità non rientra l'organizzazione del partito. Il partito non è più possibile. Il partito non riesce più a governare, a gestire e a rappresentare questa complessità, nella società complessa. Quindi è inutile dire faccio un partito di sinistra, non serve, il partito è inadeguato nell'attuale situazione, non è in grado di ricomprendere in sé e di governare le relazioni economiche e sociali: è il partito in sé, che pure ha rappresentato una delle più grandi invenzioni politiche, che ha finito la sua storia. 

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Bisogna allora vedere quali sono i movimenti che oggi sono soggetti politici. 

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Sono soggetti politici coloro che danno una loro interpretazione. 

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Ma su questi temi sto ancora riflettendo. 



Comunità, partecipazione e territorio - Ripartire dai legami sociali

 


"Comunità, partecipazione e territorio - Ripartire dai legami sociali" è la prima tavola rotonda di Agorà Filca, la tre giorni di dibattito e confronto organizzata dalla categoria. Partecipanti: TOMMASO VITALE (Docente di Sociologia e Direttore Master Governing Large Metropolis, Science Po, Parigi, Ricercatore presso il Centro di Studi Europei)
FLORIANA COLOMBO (Filosofa, animatrice culturale e formatriceDocente di Pedagogia, Istituto Universitario Salesiano IUSVE Venezia-Mestre)
PAOLA VILLA (Assistente Sociale e Responsabile Progetto Animatori di Comunità ACLI Nazionale)
MASSIMILIANO COLOMBI (Sociologo, collabora con il Centro di ricerca WWELL Università Cattolica di Milano)
Modera: MARIO GHIDONI (Formatore Filca)

Per quante cose terribili stiate vivendo, queste non dureranno per sempre e non avranno il potere di determinare la storia


Don Alberto Vitali prosegue con le Acli di Milano ogni giovedì di avvento (in Diocesi Ambrosiana l'avvento è iniziato il 15 novembre 2020) dalle 18.00 su Zoom. Al termine della lectio ci si divide in piccoli gruppi (online) per condividere brevemente le risonanze che la Parola ha prodotto in ciascuno. Per partecipare basta connettersi a:  https://us02web.zoom.us/j/9416448267... ID riunione: 941 644 8267 Passcode: 1


Giovedì 19.11.2020 - Vangelo secondo Marco 13, 1-27 


L’Avvento. Cosa è l’avvento? Quale è il suo significato? (...) è un tempo liturgico in preparazione al Natale, che ci invita a fare memoria dell’incarnazione di Gesù, ma al tempo stesso è un tempo metaforico, che ci aiuta a comprendere come tutta la nostra vita è un grande avvento in attesa del ritorno di Gesù, in attesa dell’incontro definitivo con Gesù. Che, se per l’umanità sarà alla fine dei tempi, per ciascuno di noi sarà al momento della nostra morte, che non sarà la fine di tutto.

 

Noi facciamo memoria e ci alleniamo liturgicamente a fare memoria non perché siamo nostalgici, non perché ci importa della memoria fine e a se stessa, ma perché siamo proiettati verso il futuro. Questo dice molto del modo di vivere la storia e del modo di affrontare gli accidenti che ci capitano dentro la storia. La concezione della storia per il cristiano non è ciclica, non è un eterno ritorno del tempo su se stesso, ma è una proiezione in avanti. La storia per i cristiani ha una meta, una proiezione. La meta dà senso a ciò che accade. L’eterno ritorno rischia di generare la disperazione del non senso.

 

(...) Quando Gesù dice che alla fine del mondo si oscurerà il sole e cadranno le stelle sta dicendo: è vero che nella storia i potenti sono violenti e ne fanno di tutti i colori, ma la violenza non è eterna, ha una fine. Quello che Gesù vuole in questo modo non è metterci paura di catastrofi sempre peggiori ma dirci: guarda che per quante cose terribili state vivendo, queste non dureranno per sempre e non avranno il potere di determinare la storia. La storia non va verso la catastrofe. La storia va verso un punto di arrivo di salvezza. Questo punto di arrivo dà senso a tutto quello che avviene dentro la storia. Naturalmente va fatto un discernimento di ciò che succede. Ma questo punto di arrivo dà senso e dà la forza e il coraggio di resistere. 

 

Gesù ci dice di stare molto attenti a non farci travolgere da quello che succede, anche solo dal punto di vista psicologico e spirituale. Qui siamo nella logica dell’ultima richiesta del padre nostro(...) “non abbandonarci alla tentazione”(...): non lasciare che cadiamo in tentazione. 

 

Quando dice tentazione qui non sta parlando di tutte le tentazioni, della lista infinita di tentazioni con cui ci hanno educato. Sta parlando della Tentazione, con la t maiuscola, della tentazione di restare talmente schiacciati e scandalizzati dalle prove della vita, da arrivare al punto di pensare che Dio non esiste o da pensare che Dio ci ha abbandonato ed è cattivo. La Tentazione di corrompere in noi l’immagine di Dio come padre, come papà, come “paparino”. 

 

(...) La prima parola del Padre nostro non è padre, è un vezzeggiativo, un nome affettuoso. La Tentazione è quella di arrivare a non credere più che Dio sia quel “paparino”, di arrivare a pensare che Dio sia qualcosa di diverso. In questa logica dice: tenete duro, vigilate. 

 

(...) Quando Gesù ci dice di vigilare, ci dice questo. Non ci dice di stare attenti a non fare mezzo errore perché se l’errore lo facciamo nel momento sbagliato poi magari Gesù arriva proprio in quel momento, ci becca in castagna e ce la fa pagare per l’eternità. (...) Non è “Vigilate perché se non siete più che a posto con i conti andate all’inferno!”. E’ “Vigilate con speranza, con amore, senza farvi prendere dall’angoscia, nonostante tutto. Perché Dio c’è ed io arrivo. E  sarà amore, sarà festa!”. Questo è il senso dell’avvento. Questo è il senso di tutta la nostra vita: un grande vigilare speranzoso in vista dell’incontro con il Signore Gesù.




 

Una amorevole durezza


L’incontro con don Roberto... sono 50 anni adesso. E poi l'ho rivisto altre volte, anche in momenti personali importanti. L'incontro con don Roberto per me è stato un insegnamento profondo di rapporto con l’alterità. Sono un non credente, senza se e senza ma, l’incontro con don Roberto è stata la verifica concreta di che meraviglia possa essere un cristiano vero. Don Roberto è sempre stato prete, è sempre rimasto prete, in tutto ciò che faceva, fino all’ultimo momento. Io, da non credente, gli ho voluto bene e in quanto prete gli ho voluto bene. Lui non ha provato a convertirmi. Ma io mi sono reso conto che essere cristiano per lui era una dimensione essenziale, non accessoria. 


Per don Roberto essere cristiano era stare dalla parte degli ultimi. Ma soprattutto non pensare affatto che gli ultimi fossero destinati a rimanere ultimi. Riconoscere, in questi ultimi, una dignità ed una importanza per cui loro erano talmente importanti da essere degni della sua attenzione, ma anche del suo rispetto. Il suo rispetto consisteva anche in una modalità di rapporto totalmente anti-populista. Don Roberto non cercava di piacere loro, non dava loro sempre ragione. Aveva una amorevole durezza. Questa amorevole durezza, secondo me, è una qualità dei cristiani veri. Una qualità che riconosco e che ammiro. E la ammiro  proprio perché io non appartengo a quel mondo lì. Il rapporto con don Roberto è stata veramente una lezione per me, una lezione di quanto si può imparare da un rapporto basato su una differenza profonda e radicale. Perché alla fine si stava da una stessa parte, ma si stava dalla stessa parte in maniera profondamente diversa. Lui su quella parte ci aveva davvero investito tutta la propria esistenza e tutta la propria vita. 

Quale è la mia parte dentro la città?



Era stato il redattore del nostro giornale che aveva detto che Trento era la bella addormentata che aspettava il vero amore. Avevo cercato di capire chi era il vero amore. Da “partecipista” che sono avevo immaginato che il vero amore è quello che deve passare tra politici, funzionari e cittadini. Non il personaggio che risveglia la bella addormentata, ma il metterci tutti insieme. 


Ogni tanto ci viene la nostalgia dei grandi personaggi: Chiara Lubich, De Gasperi, i sindaci… io penso che oggi in una situazione così complessa e con i personalismi che ci sono in giro è meglio che le grandi personalità le lasciamo stare. La situazione è così complessa. Addormentamento e distanza hanno bisogno di un lavoro complesso, di una rete. 


Vorrei ringraziarvi perché essere invitata a questa vostra chiamata all’impegno per Pisa, dalla mia città, per me è stato una grande occasione per riprendere il ragionamento in tutte le nostre città. Siamo tutti in difficoltà, ma ho l’impressione che la fase costituente che viviamo non la possiamo delegare a nessuno. Dobbiamo svolgercela nella società. So che sapete bene che la partecipazione non è la piazza piena, non è il sondaggio. E’ darsi domande precise, luoghi precisi, temi precisi. In questo lavoro del principe che deve svegliare la bella addormentata sono stata colpita da 3 parole che avete usato:

Crescono


 









Crescono in numero e bellezza le aiuole curate nel quartiere... 

Animazione di comunità e periferia... il podcast





Nel programma ANGinRadio dei Giovani delle Acli di Milano: 

Sono oggi nostre ospiti, intervistate da
Simone Romagnoli
, Paola Villa e Simona Bartolini, formatrici della Scuola Livio Labor nel corso di Animazione di Comunità delle Acli.
Cercheremo di capire cosa si intende per animazione di comunità e che senso ha parlare di animazione di comunità oggi, nella fase pandemica in cui siamo.
Si parlerà anche di quartiere e di territorio, per introdurre poi il tema della periferia e di come questa può essere intesa in ottica di animazione di comunità.
Ascolta il podcast, e immergiti nell' #AnimazionediComunità assieme a noi:


















Dove la povertà è maggiore, funziona ciò che è comunitario




In altre città, nonostante la pandemia abbia colpito, sono scattati dei meccanismi di collaborazione tra amministrazione locale e società civile. E' accaduto dove c’era un pregresso di relazione e conoscenza. E' successo grazie ad una serie di alleanze già presenti. Roma non le ha. 

 

Roma è una città che è fortemente caratterizzata da una storia antica e importante di volontariato. Ma in cui le associazioni sopravvivono nonostante mancanza di fondi e di riconoscimento. Durante la pandemia ci sono state importanti allocazioni di fondi per associazioni. Fondi per poter aiutare chi aiuta. Il lazio non è stato coperto da nessun fondo. 

 

Charlemagne ha 20 anni. E' una fondazione privata, aconfessionale, apartitica che ha la volontà di avere come primo interlocutore non l’individuo ma le organizzazioni. Che scegliamo secondo una linea: che nel lavoro venga garantita la dignità della persona. 


Noi spesso e volentieri non lavoriamo a progetto, ma lavoriamo per il sostegno dell’organizzazione. E’ cosa un po’ invisa in Italia. Tutti vogliono progetti. Noi ci mettiamo a fianco dell’organizzazione. Non influenziamo il lavoro, assicuriamo autonomia, ma ci mettiamo a fianco perché l'organizzazione possa essere più efficace nel suo lavoro di promozione dei diritti, di supporto alle persone e anche nel rafforzamento del dialogo politico e nell’interazione con l’amministrazione pubblica.

 

Dopo anni di lavoro e di osservazione (anche a livello internazionale) abbiamo capito che dove la povertà è maggiore, gli strumenti migliori per fare fronte a quella povertà sono sempre quelli dove è presente un percorso comunitario. Dove ci sono associazione e gruppi che hanno dentro il senso di comunità e si mettono a servizio della loro comunità e insieme lavorano. 

Roma: una città enorme con almeno due città al suo interno...

 

Roma è un caso di studio privilegiato. Se da un lato ripropone le stesse dinamiche di trasformazione che sono caratteristiche di questo periodo di sviluppo economico, sociale e del periodo di globalizzazione che viviamo. Ma ha anche caratteristiche che la rendono speciale e che fanno si che alcuni elementi a Roma siano più marcate ed estreme.

 

Roma è città molto estesa territorialmente. Il Comune di Roma è grande quanto i primi 9 Comuni più grandi d’Italia (Milano, Torino, Bologna, Napoli… messi insieme). E’ una dimensione che ci portiamo dietro da una unità amministrativa di epoca pontificia. Territorio agricolo malarico, povero, ad indice di produttività bassissimo, un’area estesa senza barriere fisiche su cui ci sono le diverse ondate di costruzione e urbanizzazione a partire dal momento in cui Roma diventa capitale d’ Italia. 

 

Una polarità tra centro ricco e periferia bassa densità è da sempre. Ci sono sempre state una Roma ricca, centrale, densamente costruita e popolata dai ceti medi, alti e benestanti. Ed una città periferica, costruita con mezzi di fortuna e popolata da poveri e poverissimi. Subito dopo proclamazione di Roma Capitale si sono spostati verso Roma in cerca di opportunità e si insediarono nelle campagne in alloggi di fortuna. La città continua a crescere a bassa densità. Il confine del grande raccordo anulare è ormai superato. Nella zona est è superato anche il confine comunale. 

 

Roma ancora oggi è il comune agricolo più grande d’Europa. E’ una forma urbana poco ottimale, molto difficile da gestire dal punto di vista dei servizi. Una città urbano non urbano ha anche una dimensione di rete stradale spropositato. L’urbanizzazione puntiforme è difficile da gestire. Chi si sta insediando nella campagna intorno a Roma non sono più gli immigrati ma è spostamento della popolazione dal centro di Roma verso le aree più periferiche. Le dinamiche sono cambiate ma resta la grande differenza in tutti gli indicatori socio-economici tra centro e periferia a Roma. 

MappaRoma: un metodo per indagare le disuguaglianze della città


 



Mapparoma

Dal 2016 esiste Mapparoma.info che cerca di indagare le disuguaglianza della città. 

Salvatore Manni, Keti Lelo, Federico Tommaso. 

 

Alla vigilia delle elezioni comunali del 2016 ci sentivamo raccontare una città distante da come la sentivamo come studiosi e come cittadini. Oggi siamo nuovamente alle elezioni di un sindaco. Siamo entrati in contatto con diverse forze politiche e amministratori ed eletti. Il senso del nostro progetto di ricerca resta valido. E siamo a 150 anni di Roma Capitale. E’ una ricorrenza importante per la città. 

 

IL METODO

 

Come potevamo dare una mano?

Il nostro modo di dare una mano è stato fare un blog per fare in modo che i nostri lavori per addetti ai lavori(presentati a colleghi, in conferenze scientifiche, in lingua inglese) fosse fruibile anche da chi la città la vive. Abbiamo pensato che la rete potesse essere un modo per veicolare i nostri lavori. 

 

La scelta grafica. Le mappe.

Ci è parso un modo per arrivare a tutti e per comunicare in modo semplice ed immediato. Accanto alle mappe doveva esserci un linguaggio semplice (leggibile in 2 minuti massimo) ma al tempo stesso rigoroso. Perché siamo tre ricercatori e non poteva non rispettare il nostro percorso di ricerca e di lavoro. 

 

La scelta di mettere a disposizione i dati che utilizziamo.  

Da un lato come ricercatori siamo abituati a condividere tra pari i dati, perché chiunque deve poter verificare che ciò che diciamo è supportato da dati ufficiali. I dati che usiamo non li produciamo noi, ma li prendiamo dalle istituzioni e usiamo tutti i dati disponibili. Dall’altro l’abbiamo immaginato come un servizio. Poter usare questi dati per conoscere. Le associazioni, le scuole, i decisori politici… potevano usarli. 

 

La scelta del dettaglio territoriale che studiamo

Noi non studiamo Roma come comune unico. Noi studiamo le 150 zone urbanistiche. Sono una unità territoriale prodotta dall’Istat negli anni 70. All’interno del raccordo anulare più o meno rappresentano i quartieri. Invece fuori dal raccordo sono un po’ più ampie e la corrispondenza viene un po’ meno. Da un lato la scelta del rigore scientifico. Dall’altro l’idea di parlare del quartiere. E’ un modo per avvicinare al dato. Tutti ci sentiamo romani ma se raccontiamo ll quartiere i numeri assumono quasi una forma fisica, un racconto.

 


 

 Da "Le giornate di MappaRoma" 9.11.2020 www.mapparoma.info 

 

 

 

 

 

 

 

 


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