La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -



Tra religione e organizzazione 
Il caso delle Acli – A cura di Ilvo Diamanti e Enzo Pace
Pubblicazioni della facoltà di scienze politiche dell’Università di Padova, dipartimento Sociologia – 
Ed. Liviana – 1987

1984-1985 ricerca volta a ricostruire in chiave sociologica l’esperienza delle Acli venete nel dopoguerra, attraverso modelli capaci di ricomporre e in qualche misura spiegarne le vicende, le forme di impegno, i caratteri sociali ed organizzativi. 

Studio delle Acli venete, che (almeno in parte) racconta le Acli in generale, semmai con accentuazione di alcuni aspetti. 

Le Acli costituiscono un caso emblematico che consente di osservare le molteplici soluzioni che emergono da un intreccio tra religione, società e politica. Il fattore religioso rappresenta infatti una dimensione importante di questa associazione ma, come si vedrà meglio in seguito, non risolutivo. Né comunque importante quanto per altre associazioni di area. Cattolica. 

Le Acli sorgono e si sviluppano nel mondo cattolico ma non sono un’articolazione della chiesa. La loro azione non si svolge in ambito ecclesiale ma prevalentemente “sul territorio”, in prospettiva sindacale, politica, assistenziale.

Le Acli si prestano a dimostrare come un’associazione, seppure a matrice religiosa, possa venire studiata e compresa solo attraverso approcci disciplinari di segno diverso, in particolar modo analizzandola in quanto “organizzazione”, al cui interno la religione è solo una tra le risorse (ed i vincoli) che entrano in gioco. 

Ci si è quindi avvalsi di metodologie e tecniche diverse: 

- Sondaggio sulle caratteristiche sociali e sugli orientamenti culturali e politici dei quadri delle Acli. Questionario distribuito ai delegati presenti ai congressi provinciali 85/86. 

- Il grado di informalità che ha presieduto e presiede alla storia organizzativa delle Acli si presenta elevato e si riflette in una sorta di assenza di memoria collettiva, questa appare quasi completamente relegata all’interno del ricordo e dell’esperienza dei militanti. 

Il recupero attuale della memoria e delle memorie diffuse (interviste, archivi…) come forma di risposta… 

Cattolicesimo sociale: accettazione da parte di una componente del mondo cattolico della centralità della classe operaia nei processi produttivi che viene ad incontrarsi con una tematica cara a molti gruppi del dissenso veneto anni 65/70, secondo la quale l’operaio è la traduzione in termini capitalistici del povero, evangelico segno di contraddizione per i cristiani, dall’altro costruzione di esperienze di presenze in fabbrica che, soprattutto agli inizi anni 70 si concretizza, grazie a GA; in nuclei di fabbrica. Si sforza, durate tutto l’arco della prima metà degli anni 70, di anticipare e tradurre in modo operativo la linea emersa da Vallomborsa concretizzandola in alcuni obiettivi strategici precisi: 
- Unità sindacale
- Democrazia in fabbrica
- Rifiuto di una contrattazione verticistica. 

Spinta dal basso che dopo il 1971 parte dalle Acli e da altre realtà e dalla GIOC che si coagula attorno alla pastorale del lavoro. In alcune diocesi il vescovo dà l’impressione di assecondare tali spinte e desiderare che esse promuovano una nuova sintesi: prendere posizione e autonomia del sociale e dell’economico con uso di linguaggio laico accanto o intrecciato con quello evangelico (piramide rovesciata). 

Una associazione come le Acli che funge, negli anni che vanno dal 1968 al 1976, da vera e propria cerniera tra il vecchio modo cattolico di considerare il mondo dele lavoro e le nuove forme dell’impegno della realtà sindacale, inteso in modo laico. Non più cinghia di trasmissione tra strati popolari e la DC, ma cerniera che filtra il passaggio consistente di operai, dirigenti e quadri intermedi, dalle associazioni cattoliche al sindacato (in particolare la CISL). 

Tra il 1965 e il 1970 accanto alia tradizionali modi di presenza nel territorio delle Acli trevigiane (patronato, Enaip, leva del lavoro, turismo sociale) si venivano manifestando prese di posizione sempre più attente alle realtà di fabbrica e si moltiplicavano, soprattutto nella sinistra piave e nell’area di castelfranco e montebelluna, nuclei di fabbrica animati da giovani aclisti o giovani operaie cattoliche. 

La scoperta da parte di giovani operai aclisti, agli inizi degli anni 60, della possibilità sul terreno sindacale e delle lotte di fabbrica di trasferire gli ideali religiosi maturati all’ombra delle Acli si fa concreta. Quali ideali? Le letture di Mounier e Mazzolari costituiscono in ambiente operaio e aiutano ad approfondire da un punto di vista non marxista la critica alla società capitalista. Ora esistenza, entro a certi limiti in alcune frange del movimento e del pensiero sociale cattolici, un atteggiamento di rifiuto istintivo e radicale nei confronti di una società fondata sul primato del denaro. 

Negli anni 60 questa tradizionale ostilità subisce una modificazione sostanziale. Uno dei ritardi più vistosi dell’elaborazione cattolica è infatti l’insufficiente concetto di economia capitalista. Proprio perché la chiesa ha sempre pensato in termini giusnaturalistici (di diritto di proprietà) i rapporti economici sociali borghesi essa ha sempre concepito i rapporti produttivi come sostanzialmente paritari tra chi dà e chi presta lavoro, trasferendo eventuali ingiustizie al momento della distribuzione. Così facendo la chiesa cattolica ha sempre colto più l’apparenza che la sostanza della società capitalistica. 

Esercizi di futuro, pensando alle Acli - Paola Villa


Acli bresciane. Ma il cielo è sempre più blu... 
Percorso formativo per pensare il futuro delle Acli e delle nostre comunità... 
terza tappa. Io, noi e le Acli. con Paola Villa. 

Siamo nel 2024 – Epoca di grandi trasformazioni. Quali sono i grandi cambiamenti sociali, antropologici, che attraversano il nostro vivere e che quindi impattano sulle nostre comunità e sul nostro fare ed essere Acli, oggi?

- La velocità. Il cambiamento c’è sempre stato. Oggi è molto più accelerato. Da cui il senso di spaesamento. Il bisogno di orientarsi. Di comprendere, di dare senso, di trovare un filo.

- La molteplicità delle opzioni. La personalizzazione delle offerte. La profilazione. Da cui il bisogno, continuo, di fare scelte. Da cui la necessità di essere aiutati ad orientarsi su queste scelte, di essere affiancati, di avere l’offerta di criteri per effettuare le scelte. E sostenere il peso che il fallimento porta nelle proprie vite (ho scelto io, quindi il fallimento è colpa mia). 

- La complessità. Non è solo la somma delle precedenti. E’ qualcosa di più. E’ la consapevolezza che tutto è connesso. Da cui che il nostro modo tradizionale di ragionare causa/effetto, una causa produce un effetto. Non regge più. Abbiamo la necessità di cambiare il modo di guardare alle cose. 

- Il futuro. Abbiamo  la fatica di trovare un modo nuovo di approcciarci al futuro. Da un lato tendiamo a pensare ancora linearmente. Se in passato c’è stato questo, in futuro ci sarà quest’altro. Per continuità o per frattura, ma facciamo derivare il futuro dal passato. Dall’altra abbiamo l’impressione che se tutto cambia, tutto ciò che c’era fino ad oggi crolla. Tutto, in automatico. Tutto ciò che c’era non vale più, tutto ciò che sarà è necessariamente un nuovo che parte da zero. 

Non si può prevedere il futuro. Ma si possono fare esercizi di futuro. Si può allenarsi a pensare che dal passato di ieri e dal presente di oggi partono moltissimi futuri possibili. Alcuni sono futuri più probabili, alcuni sono futuri più auspicabili, non necessariamente questi due concetti coincidono. Anzi. Ma per districarci dobbiamo tenere presenti entrambi. 

E soprattutto, in realtà a noi spetta, in questo scenario, un ulteriore scelta da compiere. Dobbiamo comprendere cosa, di ciò che è stato, ci serve ancora e dobbiamo preservarlo e cosa invece va cambiato. 

Allora, facciamo un piccolo passo indietro… 

1944/45/46 – Nascita delle Acli – 
Quali sono i grandi cambiamenti che attraversano quel periodo del vivere e che quindi impattano sulla nostra nascita come Acli? E sulla forma che hanno scelto in quel periodo le Acli? 

Guerra che sta finendo. Paese che (già durante la guerra) si sta attrezzando non solo per la resistenza armata, ma anche per porre le radici di una ripresa culturale e sociale. 

Si forma l’Assemblea Costituente. Con una alleanza larga. 
Si mettono le premesse per il formarsi di un sindacato unitario (a cui poi non si arriva).

Dall’altro c’è il grande timore di essere annullati. E’ l’epoca di don Camillo e Peppone. Di PCI e DC. Le Acli nascono, su iniziativa della Chiesa. Per provare ad occupare lo spazio del mondo del lavoro. Per entrare in rapporto con il mondo dei lavoratori. Che era tutto PCI. 

Da un lato c’è quindi un’istanza, fortissima, di mettersi assieme ad altri. Di creare spazi in cui tutti gli uomini (e donne) di buona volontà possano collaborare a creare le regole e gli spazi comuni. 

Dall’altra c’è l’istanza, altrettanto forte, di rafforzare la propria identità. Di un identità cattolica che, per stare in dialogo con altri, approfondisca e sviluppi se stessa.

La prima forma delle Acli è una capillarità territoriale:
-       Circoli (sul territorio, prevalentemente in parrocchia ma non solo)
- Nuclei (nei luoghi di lavoro, nuclei di fabbrica)
- Nuclei (in ospedali e sanatori) 
L’idea era la diffusione massima e presenza ovunque. Ma la prevalenza di circoli, rispetto ai nuclei, è qualcosa di attuale? No. Il circolo era, già da allora, il prevalente. Perché? Perché le fabbriche erano già occupate (dai sindacati e dalla sinistra in generale). Ma anche perché c’era un’idea di lavoratore come persona a 360gradi. Di persona che vive 24h al giorno. Non solo dentro la fabbrica. E quindi il territorio, la città, diventa il luogo principale di presenza e azione per le Acli. Un territorio che sta in mezzo tra fabbrica e campanile. Ma che è spazio civico. 

L’organizzazione interna delle Acli iniziali era una organizzazione per territorio, attraverso i circoli e le province, ma anche attraverso le associazioni di categorie (tabacchini, metalmeccanici, ferrovieri etc etc…). 

Successivamente nascono le associazioni di settore (sport, turismo, ricreazione…). Ma, per il diverso livello di importanza che si vuole dare, questa parte non ha peso in termini di democrazia interna, non davano accesso alla democrazia associativa. Nelle Acli delle origini, centrate sull’obiettivo di portare il Vangelo e la Chiesa e la capacità dei cattolici di organizzarsi, nel mondo del lavoro, la centralità era il mondo del lavoro. Il resto era contorno. 

1955. Quando finisce l’orizzonte del sindacato unitario, le Acli o accettano che sia finito il loro compito o si reinventano. E’ qui che Pennazzato colloca il suo discorso con le 3 fedeltà. La parola fedeltà oggi suona stantia. Ma sono i paletti identitari che hanno connotato anche il periodo successivo: 
- la fedeltà al lavoro (che allora era detta come fedeltà alla classe lavoratrice) era l’identità iniziale. Le Acli nascevano per quello. 
- la fedeltà al Vangelo (che allora era detta come fedeltà alla Chiesa) era la famiglia di provenienza. Erano i genitori. Chi ci aveva fatto nascere. Non siamo il frutto di un moto di un fondatore illuminato. Siamo frutto della scelta della Chiesa in quanto tale. 
- la fedeltà alla democrazia era in fondo qualcosa di nuovo. Era mettere le premesse per Acli che siano movimento sociale. Successivamente abbiamo declinato quell’essere movimento come movimento educativo. E recentemente stiamo riprendendo questo termine. Ma questo è stato un seme che ha posto le premesse di ciò che è stato dopo.

In fondo questa triplice fedeltà collocava le Acli su un crinale molto moderno. Il conflitto/rapporto tra democrazia e capitalismo. 

Nel frattempo i circoli avevano sviluppato tantissime attività. Che non erano, almeno all’inizio, altro dall’identità associativa. Segretariati sociali (che erano il corrispettivo delle case del popolo), formazione professionale, distribuzione di aiuti… I circoli, già da quegli anni, diventavano un sistema di welfare (anche se la parola viene dopo). Ma il discorso di Pennazzato indica come crinale questo snodo da tenere assieme: essere movimento e essere sistema di welfare. Non come due mandati separati, ma come due identità da tenere assieme. 

Sistema di welfare significa un insieme di iniziative, fatte per rispondere ai bisogni del territorio e dei lavoratori del territorio in primo luogo. Movimento democratico significa pensare che tutti i lavoratori (in forma non individuale, per questo attraverso i circoli) sono chiamati a partecipare alla definizione del il programma, alla direzione, a scegliere nelle sfide che questo movimento deve prendere. Da questo il complesso reticolo di congressi, assemblee, appuntamenti… a cui ogni 4 anni andiamo incontro…

Poi succede tanto altro… ma torniamo al presente, quali sono i grandi temi del presente? C’è qualcosa che è dirimente oggi e che si connette con il patrimonio che ci portiamo dietro noi da allora? 

- La democrazia è ancora un valore? La democrazia riesce ad essere efficace per promuovere diritti? La democrazia riesce a far partecipare o è diventata una retorica senza contenuto? I grandi scontri mondiali si collocano qui, oggi. 

- Il sistema di welfare, le iniziative che permettono di proteggere le persone nelle situazioni che attraversano durante la vita, creando un bilanciamento alla disuguaglianza, perché non dipendono dal reddito individuale, regge ancora? Se quelle pubbliche (intese come promosse e pagate e sostenute e gestite direttamente dal pubblico) arretrano, quelle private (di terzo settore e non) che ruolo hanno? 

- E’ i tema della partecipazione. Che anche la Chiesa italiana ha messo in luce in questo periodo: come promuovere azioni che mobilitino altri? Che attivino processi che vanno oltre noi? Che favoriscano la partecipazione e il protagonismo altrui? Si connette con la democrazia (che se non diventa più partecipata non funziona più) e con il sistema di welfare (che se non propone partecipazione ai soggetti che intercetta, resta indietro anche rispetto all’aziende profit). 

- Cosa vuol dire essere movimento, in un tempo in cui le grandi ideologie sono crollate e non esistono più partiti che si aggregano attorno alle idee? 

- Come è fatta l’azione sociale oggi? Di cosa si costituisce l’associarsi? Ci sono varie riflessioni. Una di queste mette in luce come di fondo conti molto più di un tempo il cosa si fa, come lo si fa, con chi lo si fa. L’esperienza che l’associarsi produce. Non sono sufficienti i fini, i valori, le motivazioni. Serve che il quotidiano dell’esperienza del fare sociale volontario motivi a continuare. Serve che produca almeno un po’ di felicità. Le ricerche dicono che non è un problema in sé la tessera. Ma la tessera non è più un valore in sé. Sono disponibile a fare la tessera se ne vale la pena. Può valerne la pena per tante cose diverse. Per gli sconti, per le convenzioni, perché mi dà accesso ad un’offerta o ad un’esperienza interessante, perché mi piace il gruppo… 

- Postura territoriale. Vale per chi, come me, guarda ai territori a partire dal nazionale. Ma vale anche per chi, come alcuni di voi qui, guardano ai territori a partire dal provinciale. Non funziona più l’idea di una unica azione progettata al centro e realizzata identica nei diversi luoghi. Funziona l’idea di una pista di lavoro attorno al quale ci si si muove e ognuno la personalizza e definisce e adatta in base al proprio territorio. 

In tutto questo a che punto siamo? 
Rileggiamo il nostro quotidiano alla luce di queste sollecitazioni, partendo da 4 "situazioni tipo" e provando a capire cosa ci viene in mente, pensando assieme, per affrontarle. 

Brescia - 11 marzo 2024

La rete orizzontale tra circoli con esperienze simili




La dimensione organizzativa, il supporto delle sedi provinciali e il collegamento tra realtà simili...

Negli anni 80 Ilvo Diamanti (dopo essere stato dirigente delle Acli di Vicenza) uscì con una pubblicazione “Tra religione ed organizzazione. Il caso delle Acli”. Sulla pubblicazione ci torneremo più avanti, al momento ci interessa riprendere un aspetto specifico: la rete orizzontale tra circoli con esperienze simili. 

Il libro distingue i servizi Acli tra servizi “ad alta istituzionalizzazione" e “bassa istituzionalizzazione”.  “Per i primi vale l’ipotesi che li vede diventare via via polo complementare (a tratti alternativo) a quello politico, per i secondi si deve parlare di residualità rispetto alle strategie del movimento. Mentre i servizi assistenziali e quelli formativo addestrativi hanno conosciuto consolidamento e sviluppo, le attività ricreative e culturali, pur numerose, non hanno trovato momenti di raccordo a livello provinciale che non fossero episodici, finendo per occupare lo spazio esiguo nelle strategie e nelle scelte dell’organizzazione”.  

Quelli che nel libro sono chiamati “servizi assistenziali” e “servizi addestrativo/formativi”, che vedono uno sviluppo organizzativo guidato a livello centrale (nazionale, provinciale e regionale) vivono una notevole diffusione sul territorio che acquista via via autonomia dai circoli (in Italia nel 1980 solo 1370 addetti sociali su 5048 fanno capo ad un segretariato del popolo inserito in un circolo Acli). 

Le attività ricreative e culturali si caratterizzano come “iniziative spontanee, a carattere eminentemente locale, legate al circolo, e senza collegamenti con altre realtà simili”. Che si sviluppino attorno “allo spaccio di vini o alla sua versione evoluta, bar Acli” o che si appoggino “sfruttando le strutture parrocchiali (teatri, sale riunioni…) e attivando manifestazioni varie (cineforum, serate musicali, serate teatrali…)”. L’intervento della sede provinciale Acli nei loro confronti è in questo campo quasi unicamente di stimolo: “ogni circolo Acli studi la possibilità di realizzare almeno una tra queste iniziative e la realizzi subito. La stagione buona è questa” recita una circolare dell’epoca. 

La dimensione organizzativa (la proposta di format, strumenti, modalità di lavoro e non solo di tematiche), il supporto delle sedi provinciali e il collegamento tra realtà simili sono quindi gli snodi che, secondo Diamanti negli anni 80, avrebbero potuto fare la differenza per lo sviluppo dei circoli e di attività ricreative e culturali significative. 

Su dimensione organizzative e supporto ci si sta attrezzando (con diverse modalità organizzative) negli ultimi tempi, sia come sede nazionale che (in alcuni casi) come sedi provinciali e regionali. Rispetto alla rete orizzontale (anche extra provinciale) e allo scambio tra realtà simili ci sono forse meno esperienze consolidate (se non per alcuni esperimenti embrionali legati a temi specifici). In vista delle celebrazioni dell’ottantesimo ci piace riprendere una piccola ma significativa esperienza che il Circolo Acli Martellago (Venezia) ha promosso e che può essere ripetuta ed allargata. 

In occasione del suo 75° anniversario, all’interno di un ricco programma di iniziative, ha provato a mettersi in contatto con altri circoli della medesima età. Ne è nato un incontro online, una visita di persona ed un piccolo documento elaborato e sottoscritto assieme. 

All’incontro online, realizzato il 6 aprile, hanno partecipato 5 circoli (Cassano d’Adda, Limito di Pioltello, Ossona e Stacciola) e il racconto reciproco è stato per tutti prezioso.  il circolo di Stacciola è fisicamente andato a Martellago realizzando di fatto uno scambio ed il documento (sottoscritto anche dal circolo di Lovere e Sant’Angelo di Senigallia), dopo aver ripreso le tre fedeltà, le ha declina con attenzione all’oggi per cui questi circoli hanno dichiarato che “si impegnano a continuare ad essere presenti nelle comunità, verso di essere responsabili, mobilitando energie intorno a progetti concreti, parlando con le persone, creando legami e curando i territori” ed inoltre hanno ribadito il proprio impegno ad essere, in ogni momento “operatori di pace e testimoni di accoglienza”. Il desiderio di riproporre piccoli momenti di reciproco racconto online e di condividere la sottoscrizione di un medesimo impegno futuro è aperta. 

Articolo pubblicato su POP.Acli.it 

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini - Paola Villa


I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nuclei (aggregazioni nei luoghi di lavoro) sono il luogo dell’attività pre-sindacale e para-sindacale, ma tutto il resto è in capo al circolo, tanto è vero che è per lo più il circolo a promuovere la nascita di un nucleo sul proprio territorio e che il segretario del nucleo fa parte di diritto della commissione del circolo e non viceversa.

Perché questa centralità del circolo? Quando le Acli nascono, le fabbriche sono uno spazio già occupato dal sindacato, per non entrare subito in rotta di collisione meglio prenderla da un’altra parte. Ma ci sono anche motivi più profondi e che segnano lo sviluppo anche successivo, del circolo.  Il circolo è sul territorio, in città, in paese. In uno spazio che va tra il campanile e la fabbrica. Il circolo rimanda ad un’idea di lavoratore che è prima di tutto persona, non funzione. Il circolo assegna, dalla nascita, lo spazio civico come orizzonte alle Acli. Lo fa già prima che l’ipotesi di sindacato unitario naufraghi e che ci si trovi a ridisegnarsi. 

Il primo Circolo nasce a Roma, 15 soci, a Valle Aurelia. Accanto al circolo sorge una cooperativa di consumo.  Il giornale dei lavoratori (primo organo di stampa aclista) registra l’apertura di un circolo a Molfetta (Bari) con un centro di assistenza profughi, prigionieri ed ex combattenti, un circolo a Frattamaggiore (Napoli) con la Befana per famiglie, 3 circoli a Taranto che organizzano corsi serali di taglio e cucito e avviano una cassa di risparmio. Il circolo di Jesi (Ancona) costituisce una filodrammatica di lavoratori e il circolo di Massa Marittima apre una palestra e una libreria circolante. La varietà e specificità di ogni storia di circolo è tratto distintivo dalla nascita, non una deformazione successiva. 

Il segretariato del popolo (esperienza mutuata dall’esperienza cattolico-sociale del periodo prefascista) è spesso la base di presenza solida sulla quale nasce, come logica conseguenza, il circolo di lavoratori. In una delle prime circolari del Patronato il segretariato del popolo viene definito “Punto di partenza e fulcro principale dell’azione sociale” con l’addetto sociale che agisce “Un rapporto umano, non solo tecnico o burocratico, che si sviluppa attorno ad una pratica”. Nel 2022 poi l’addetto sociale si trasforma in Promotore sociale, per andare a rappresentare, già dal nome, la consapevolezza di un ruolo che gli deriva da quello che sfocia nella riforma del Patronato da un lato (legge 152 del 30 marzo 2001) e dalla legge sulle associazioni di promozione sociale dall’altro (7 dicembre 2003 n. 383). 

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

Tra religione e organizzazione  Il caso delle Acli – A cura di Ilvo Diamanti e Enzo Pace Pubblicazioni della facoltà di scienze politiche de...