E il futuro? Sentinella, a che punto è la notte?


Non torneremo mai più quelli di una volta o forse si. Ci ha preso alla sprovvista, stravolgendo le nostre vite e quella dei nostri cari, ci ha fatto sprofondare nel turbamento della percezione di non essere niente in questo mondo di fronte alla potenza della natura. Forse ancora più turbante è stato il fermarci di fronte a tutto ciò, ripensarci, analizzarci: forse è questo quello che ci spaventa di più. Il mondo oltremodo fa il suo corso, senza di noi, senza curarci di noi, andando… In fondo la notte potrebbe non esserci, la sentiamo solo noi.
PASSO 10 DI 11: E IL FUTURO? SENTINELLA, A CHE PUNTO È LA NOTTE?
- Io per andare ad una riunione che magari dura un’ora, devo fare 2 ore andata e 2 ore ritorno, da casa. È chiaro che anche dopo ci andrò meno a queste riunioni. Perché so che quella riunione di un’ora può essere fatta online, risparmiando tempo. Adesso che l’abbiamo provato non torneremo indietro. Ma non tutto può passare solo online. Come si sceglie e chi sceglie cosa no e cosa si?
- Il modo di vivere che vedo oggi è: chi vivrà vedrà. Senza troppe domande.
- Non credo finirà presto. Non credo sarà un mese o due. Niente tornerà come prima.
- Per il futuro vedremo. C’è chi dice che forse qui deve ancora arrivare, che qui deve ancora iniziare. Che arriveremo dopo, come in tutto. Speriamo che non abbia ragione…
- Sul dopo sono scettico.
- Sul dopo penso che sia come le periferie. Non sono né il disastro inevitabile né innovazione assicurata. Credo che il dopo contenga delle opportunità, che non è detto che coglieremo. Ma credo che ognuno di noi possa fare qualcosa, nel suo piccolo. E penso che cercare di cogliere il senso e l’opportunità personale non sia inutile o insensato, anche se eventualmente non lo facessero tutti.
- La normalità di prima era parte del problema. Dobbiamo far venire fuori un altro modo.
- Sono sicura che sapremo tirare fuori creatività anche da questo. Perché dalle situazioni esce tutto. Anche la creatività. Anche dalle situazioni drammatiche. La creatività non toglie il dramma. Ma c’è.
- Per il futuro vorrei che non si tornasse alla normalità. Ma non sono sicuro che accadrà.
Temo che poi ci sarà la corsa per recuperare il tempo perso. Ma questo non è tempo perso. Don Alberto Vitali (assistente delle Acli Milano) ci ha detto: quando sarà finito tutto dovremo essere in grado di liberarci dalle catene che non ci facevano vivere, già prima.
- Dopo ci sarà da rielaborare. Il lutto e non solo. E la rielaborazione non è solo personale. C’è una rielaborazione organizzativa che andrà fatta.
- Il rischio del dopo è dimenticare. Mentre serve anche rielaborare il qui ed ora. Il qui ed ora personale e quello organizzativo.

C'era un clima strano alla riunione di classe tra prof e genitori...


Fare scuola come prima era semplice. Io le cose le sapevo. E sapevo come insegnarle. 
Fare scuola come facciamo oggi è complicato. Devo avere chiari in testa gli obiettivi di cosa voglio insegnare. Devo cercare i materiali, provare gli strumenti, devo costruirmi una scaletta in anticipo di cosa voglio fare. Perché i documenti, le immagini, i video che voglio usare devo averli tutti già pronti, disponibili, in ordine. 
Quando ho videolezione mi sveglio in ansia, alle 5, pensando a se tutto è a posto. 
Qualcuno un po' ce lo perdiamo e questo non é ciò che vorremmo. Ma dai ragazzi arrivano lavori meravigliosi. Ricerche, elaborati, approfondimenti, fatti come mai avremmo pensato prima. È faticosissimo per tutti. Ma stanno imparando tantissime cose, stanno imparando ad imparare cose nuove. E anche noi, con loro.
(C'era un clima strano alla riunione di classe tra prof e genitori. Una sorta di malinconia di fondo che rendeva tutto un po' ovattato. Anche le criticità reciproche si sono confuse, mischiate alle ansie e alle fragilità umane messe di fronte ad un futuro incerto. Ma questa frase ed il tono con cui é stata detta mi é rimasta impressa, assieme alla notizia che, pare, dall'anno prossimo ci sarà, finalmente, il registro elettronico...). 

La domanda di senso (9 di 11)

La domanda di senso. 
Quale senso? Quanto tempo di riflessione abbiamo trascorso su questo "senso"? 
Quanto abbiamo riflettuto insieme alle nostre organizzazioni sul senso delle nostre attività, aldilà dei vincoli logistici?
Cosa fate? Le attività già programmate alla luce della domanda di senso
- Molti progetti in corso sono stati interrotti, quindi ci stiamo concentrando sulla scrittura di
nuovi…
- Da noi tutto è bloccato, perché si facevano cose con le persone. E non possiamo più farle.
Ma questo ci obbliga a ripensare il nostro ruolo nella comunità.
- Noi avevamo laboratori di consulenza legale, di animazione, di educazione… tutte cose con
contatto diretto, che non si possono fare oggi. Però stiamo continuando lo stesso, a
distanza…: il supporto legale e il supporto psicologico vanno avanti online o al telefono, a
seconda di come vuole la persona. Loro chiamano il numero fisso della sede provinciale
che li mette in contatto con il professionista…
- Noi avevamo laboratori educativi, e quelli proseguono, online.
- Noi stiamo lavorando in particolare su famiglie ed anziani chiamando tutti quelli che erano
in contatto con noi, che avevano partecipato alle attività. Li chiamiamo al telefono. Facciamo
un po’ di compagnia così, telefonica. E poi sentiamo se hanno bisogno di qualcosa. La spesa,
le medicine, altro… E provvediamo con i volontari.
- Noi facevamo già il Banco Alimentare e il Banco Farmaceutico e quelli stiamo continuando a
farli, con i volontari.
- Noi avevamo lo sportello di ascolto e quello continua, al telefono.
- Noi stiamo recuperando il nostro specifico. Abbiamo sempre fatto cultura e cose di questo
tipo. Anche con migliaia di persone. Adesso stiamo decidendo di continuare a farlo,
- I circoli stanno dando una mano nelle proprie comunità. Come hanno sempre fatto.
- Noi siamo stati sollecitati da altre organizzazioni che hanno visto le Acli come qualcosa che
poteva essere utile. Quindi la possibilità di fare per noi è arrivata soprattutto da fuori.
- Le idee ci sono, ma poi è difficile passare dal pensiero alla possibilità di fare quando hai una
sede con una persona sola che deve occuparsi di tutto.
- Nell’emergenza ciò che stiamo cercando di fare è dare una mano a chi è nel bisogno. E il
bisogno da noi è il mangiare. C’è difficoltà legata alla difficoltà di fare la spesa. Portiamo
avanti il progetto eccedenze.
- Un progetto prevedeva una specie di coaching e stiamo provando a farlo online. Ci sono
interviste da fare ai commercianti per capire come si stanno organizzando. Ma per il resto è
tutto fermo
- Il lavoro con la scuola prosegue. Un po’ con le lezioni, un po’ facendo compagnia. Perché ci
sono genitori che non hanno tempo ma non è solo questione di tempo. E’ che anche gli adulti
non sanno capire ciò che sta succedendo, anche gli adulti sono spaesati
- Quello che so è che quello che facevamo prima influisce su quello che siamo oggi. Quello
che andava bene va rivisto ma regge. Quello che andava male già prima oggi non va più del
tutto. Come se l’oggi avesse spogliato completamente il punto di vista di tutto. Oggi il re è
nudo. Oggi sta venendo a galla tutto. Ciò che non è essenziale oggi si vede che non lo è.

Che fate? La dimensione organizzativa e la domanda di utilità (8 di 11)


Sembra quasi un controsenso, il fare, mentre sei confinato. Eppure, questa emergenza mi fa comprendere come nella dimensione del fare si debba rinnovare, anche nel tempo, il desiderio di utilità. 

Passo 8 di 11: Che fate? La dimensione organizzativa e la domanda di utilità

- Con Caritas e Protezione civile siamo a servizio per la raccolta e la distribuzione delle eccedenze alimentari.
- Poi, siamo parte della Consulta Giovanile, e alla consulta è arrivata la richiesta da parte di Protezione Civile e Centro Operativo Comunale. La prima richiesta è stata di recuperare i libri lasciati a scuola dagli studenti e riconsegnarli. E’ stata una esigenza che si è presentata subito. E che all’inizio ha svolto direttamente la Protezione Civile. Ma poi è stata impegnata in altro. E quindi hanno chiesto a noi. Adesso stiamo anche recapitando tablet per le scuole medie/elementari e licei. Fare queste attività fuori mi ha messo in una dimensione nuova. Da una parte mi ha permesso di uscire dagli “arresti domiciliari” e sentirmi utile. Dall’altra sento ancora di più l’assenza di contatto. Quando una bambina delle elementari ci ha dato un disegno con la scritta “andrà tutto bene” mi è pesato tantissimo non potermi avvicinare e non poterla abbracciare. E poi abbiamo diviso le 11.500 mascherine che erano destinate agli over 70. E’ stato un lavoro, questo delle mascherine, che ci ha impegnati per 3-4 giorni. In 4-5 persone. Noi ci conoscevamo già tra noi. Ma questi lavori di questo periodo ci hanno unito molto.
- Assieme ai Giovani degli Oratori siamo stati mobilitati per fare la spesa agli anziani e per il servizio farmaci. Altre cose erano già coperte dal servizio volontario delle reti già presenti. A volte ci viene chiesto di fare da autisti, perché magari i volontari che lo facevano di solito sono anziani e non possono più farlo.
- Come Centro stiamo chiamando tutti quelli che erano in contatto con noi, che avevano partecipato alle attività. Li chiamiamo al telefono. Facciamo un po’ di compagnia così, telefonica. E poi sentiamo se hanno bisogno di qualcosa. La spesa, le medicine, altro… E provvediamo con i volontari.
- In Parrocchia è stata organizzata la donazione del sangue. 

Convivere... (7 di 11)



25 aprile è passato, ma questo non è ancora tempo di Liberazione. 
E' tempo di convivenza. Ha detto Conte oggi. 
Convivere. Noi e il virus.
E convivere. Noi, tra noi. 

Non sarà breve. 

Che spazio c'è per stare assieme in questa epoca di distanziamento fisico? 
C'è da inventare i modi, online ed in presenza, affinché una convivenza non annulli l'altra... 
Perché la vita non si ferma, qualsiasi cosa accada. 
E perché non basta sopravvivere. Serve vivere. 
E solo stare da soli non basta… 

  • I circoli hanno chiuso, per forza, per legge… e ora? 
  • E' tutto fermo. Fermi i congressi, fermi i commissariamenti...
  • La prima fase è stata mettere in sicurezza tutto. Adesso? 
  • La gestione dell'emergenza è qualcosa che necessità di velocità e restringimento di partecipazione. Ma non c'è solo quello. C'è l'emergenza ma c'è anche il bisogno di futuro. Per il futuro servono menti lucide, pensieri lunghi e partecipazione di visioni differenti... ad oggi non l'ho ancora visto partire, tranne in pochissimi casi... mentre sarebbe importante...
  • Abbiamo fatto una call con i circoli, per ascoltare...
  • Abbiamo fatto una riunione regionale. Eravamo più numerosi del solito...
  • Abbiamo sentito l'esigenza di sentirci, tra alcune città in situazione simile, per confrontarci, non lo facevamo abitualmente...
  • Abbiamo preso contatto per confrontarci su come riprendere il nostro essere associazione in questa situazione. Ma il lavoro di ripresa deve ancora venire. Oggi è ancora difficile. Oggi siamo ancora immersi. 
  • Sono rimasta stupita nel sentire che il suo territorio sta progettando. Noi non ancora. Noi siamo ancora schiacciati dal presente. Anche loro sono sotto un presente pesantissimo, ma non ne sono schiacciati. O almeno sembra. Non mi ero mai fermata a pensare a questo, fino ad oggi. mi sembrava normale non poter progettare...
  • Facciamo tantissime riunioni, siamo sempre in riunione...non c’è nemmeno più il tempo di pensare, tra una riunione e l’altra… 
  • Prima facevamo presidenza 3 volte al mese, adesso 3 volte a settimana...
  • Da noi adesso in Presidenza online ci si presenta con il calice di vino...
  • Nella primissima fase la cosa che ci chiedono di più i circoli è pregare assieme. Si collega anche gente mai vista, anche da altri posti... 


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Didattica mediata dalle famiglie



Non è Didattica a Distanza. E' Didattica mediata dalle famiglie. Almeno fino alle elementari (ma con anche buona parte di medie). 
C'è una differenza concettuale di base su cui sarebbe utile riflettere. 
Il principio non è cercare di sollecitare o rincorrere una "autonomia dei ragazzi" che è sostanzialmente impossibile.
E' impossibile non il contenuto dell'apprendimento scolastico (capire storia, riuscire a fare un esercizio di matematica etc...) ma l'organizzazione della modalità di apprendimento. 
Ricevere e comprendere i compiti e le lezioni date.
Essere online con tutto ciò che serve al momento opportuno.
Fotografare, archiviare, ritrovare compiti svolti non più solo su quaderno ma su computer e in mille formati diversi. 
Consegnare al docente giusto, sul canale giusto, nel tempo giusto (mail, classroom, edmodo, registro elettronico, a voce a lezione, whatsapp...). 
Prestare attenzione all'eventuale feedback del docente (voto o correzione da integrare e scrivere sul compito...). 
Strumenti, spazi, tempi sono complessi per gli adulti, non possiamo pensare che bambini e ragazzi siano improvvisamente project manager... 
Inoltre tutto questo non deve nemmeno essere gestito da soli. Perchè tempi e strumenti sono parte di una organizzazione famigliare che va costruita e negoziata in famiglia. Non è possibile che ognuno faccia semplicemente ciò che vuole in autonomia, perchè spazi e strumenti sono comuni e i tempi comuni vanno costruiti. 
Paradossale che, oltre a tutti gli scambi informali e personali che ci sono stati, nessuna forma di scuola in quanto Istituzione che io conosca abbia promosso un dialogo formale genitori/docenti.
Un consiglio di classe almeno con rappresentanti.
Un consiglio d'istituto con rappresentanza genitori.
Una riunione ad hoc. 
Niente. 
Singoli genitori e singoli docenti continuano ad essere lasciati all'iniziativa personale. 
Senza contare che fino ad ora si è potuto beneficiare di disponibilità (enorme) e tolleranza (enorme) messa in campo da genitori e docenti (quasi tutti) a causa dell'emergenza. Ma non si può considerare scontato che ci siano per sempre, come fosse normale. 
Vanno costruite modalità più efficienti e funzionali, altrimenti i conflitti e le divergenze (che finora sono restate sopite per pazienza di tutti) riesploderanno. E questo avrà conseguenze sull'equilibrio famigliare (già difficile) e sulla difficoltà di apprendimento dei ragazzi (già messa molto alla prova). 
p.s. però stiamo tutti facendo un apprendimento organizzativo per immersione che nemmeno mille corsi da top manager sarebbero bastati!

Resistente o resiliente? (6 di 11)


Per me e per tanti con i quali mi sono confrontata, i primi dieci giorni di isolamento forzato sono stati i più duri. Poi, con il passare  delle ore e delle giornate ci è sembrato di adattarci sempre di più a questa quotidianità del tutto nuova. 
"E' la nostra capacità di resilienza", mi sono detta , "sta funzionando!".
In questi giorni, e non credo sia un caso, mi chiedo invece se forse avremmo avuto più bisogno di resistere. " E se mi fossi abituata troppo a questa dimensione del tutto individuale?"
Resistere trasformando il trauma in epica, e quando il tornado è passato, vivificare la storia e renderla memoria.
Resistere in una dimensione collettiva. Un pò come i lego che possono trasformarsi continuamente, che possono diventare qualcosa di incredibile solo quando costruiscono insieme.
Persone in dialogo
Passo 6 di 11: Come fai? Strategie personali di adattamento… 
- Cerco di dosare le energie, perché è una maratona
- Non ho mai lavorato tanto come ora
- La situazione mi dà la possibilità di concentrarmi sugli affetti più stretti e sulle cose che mi piace fare.
- Ho il modellismo come isola felice.
- Mi dedico agli hobby e a ciò che mi piace fare.
- Mi piace partecipare a webinar gratuiti, interessanti, che ci sono ora.
- Mi sto dedicando allo studio, per togliermi gli ultimi 3 anni che mi mancano, prima ero rimasto indietro, adesso che è fermo il mondo non sto fermo io…
- La cosa che non riesco a portare avanti in questa fase è l’Università. Perché non trovo la forza per studiare e perché penso sempre che c’è altro di meglio da fare.
- Per me, non so se come genitore o anche personalmente, è stato importante da subito ricreare una routine. Alle 7,30 ci si alza, alle 8,30 si inizia scuola/lavoro, ogni sera un gioco di società assieme…
- Ciò che ho capito è che ognuno ha il suo modo di vivere questa esperienza. E che fare mille riunioni e mille attività è un modo di cercare un equilibrio tanto quanto dedicarsi a dipingere e darsi agli hobby. Non siamo diversi. Usiamo strategie diverse per rispondere allo stesso bisogno. Forse con un livello diverso di consapevolezza. Ma non è che c’è un modo giusto ed uno sbagliato. Né un modo unico per tutti. Ognuno cerca le strategie in base a ciò che è.
- Sento con chiarezza di essere passata da una primissima fase di tempo un po’ sospeso (come se fosse un tempo vissuto nella prospettiva del dopo) ad un tempo di presente incessante. Adesso si è ricreata una quotidianità. Oggi la quotidianità sembra quella che viviamo. Non ripenso più a cosa c’era prima. Non mi chiedo più cosa viene dopo. Oggi il quotidiano dell’oggi prende il suo spazio.
- C’è la mancanza del contatto umano. Ma connettersi non la risolve. Sento l’esigenza, spesso, di silenziare tutte le chat.
- Ci si può connettere e va bene. Ma adesso ho imparato che anche connettersi stanca, anche fisicamente.
- Connettersi non è un’esperienza emotivamente indolore. Ti riporta al mondo di prima e ti lascia un po’ spaesato, mentre nel mondo quotidiano di adesso, nel mondo di dentro, tutto sommato dopo un po’ ci si abitua e ci si assesta. E’ passare da un mondo all’altro che è straniante.
- Cerco di costruire un equilibrio tra due equilibri. Tra l’equilibrio tra persone con cui sono all’interno e l’equilibrio dato dai contatti con l’esterno. L’esterno per me c’è. Per la spesa vado fuori. Per noi e per mio padre ed altri del suo condominio. Quando esco sono molto colpita dal fatto che tra ciò che vivo nella mia zona e ciò che vedo nella zona di mio padre, nonostante passi poco spazio, c’è molta differenza. Sembrano due mondi diversi. Da me ci sono posti di blocco. L’ultima volta sono stata fermata e ho dovuto aspettare mezzora per il tempo in cui loro verificassero la marea di informazioni che mi stavano chiedendo per controllare. I dati di mio padre, quanti anni aveva, dove viveva… per fare una cosa naturale come andare a trovare mio padre ho dovuto subire un controllo e ho dovuto aspettare tanto tempo. Mi ha colpito molto questo, mi ha colpito che per fare una cosa che prima era naturale ho dovuto rendere conto a qualcuno. Poi in zona da mio padre ho visto il mercato, dove faccio spesa, dove sembra che nulla sia successo. Pieno di gente, vecchietti al bar che chiacchierano…
- L’ansia del vuoto non ce l’ho. Non ho il vuoto. Devo districarmi tra le esigenze, necessità delle persone con cui vivo. Ed il lavoro. I bambini, specie se piccoli, chiedono risposte, hanno le loro emozioni.
- Mi sono trovata ad assumere ruoli nei loro confronti che prima erano delegati ad altri. Ad essere maestra, capo scout, allenatore…Perché c’è tutto un fuori che si rapporta con loro. Ma quel fuori passa da noi. A volte sono senza respiro. A volte ho parlato dal bagno. Con mia figlia che spingeva per entrare da fuori dalla porta. 
Passo 1 di 11: Dove? Sono dentro. A casa. Casa!
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Passo 2 di 11: Come stai, lì dove sei? E la salute? E il lavoro?
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Passo 3 di 11: Com’è la situazione, lì da te?
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Passo 4 di 11: Come stai? Ho bisogno di capire!
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Passo 5 di 11: Come stai? Ho bisogno di essere utile!
https://rendicontare.blogspot.com/…/persone-in-dialogo-pass…

Ho bisogno di essere utile! (5 di 11)


Sentirsi utili è un bisogno essenziale. 


  • Mi piacerebbe essere più utile. Ma il lavoro mi prende molto e poi non so bene come fare, in questa fase.
  • Mi sono offerto come volontario ad alcune associazioni qui, ma non avevano bisogno.
  • Ho chiesto alle vecchiette del mio circondario se avevano bisogno della spesa, ma hanno tutte parenti che già ci pensano. Insomma…Sono inutile!
  • Ho pensato a come potevo essere utile, da casa. La prima idea che mi è venuta è stata quella di fare video leggendo brani di libri che mi erano piaciuti. Mi è venuta in mente pensando ai ciechi. Ho cercato anche di donare la voce, ma non ho trovato i riferimenti, per ora, quindi sono partito da solo...
  • Ho dato una mano a mia mamma e mia zia che hanno un negozio per organizzare la vendita online. Perché i negozi in questa fase stanno facendo moltissima fatica a cercare di restare aperti.
  • Da quando sono tornato “libero” cerco la possibilità di uscire, quasi tutti i giorni, facendo cose di volontariato... perché mi manca l’aspetto espansivo del contatto con gli altri. E poi perché mi serve non sentirmi inutile. 
  • Offro un po’ di aiuto tecnico a amici, zii, nonni…
  • Ho aperto delle pagine fb ai circoli
  • Sono di supporto a insegnanti e genitori per la didattica online ma anche per altro… 

Ho bisogno di capire! (4 di 11)


- Siamo in una situazione che è surreale. Se ci pensi, a come stiamo vivendo, è assurdo!
- E’ una situazione a cui non eravamo abituati. E’ tutto strano, ma ci stiamo abituando.
- Faccio fatica a collocare bene la situazione nella mia testa. Ogni tanto mi sembra uno di quei momenti in cui io sono sempre in casa perché molto preso da un impegno (tipo scrivere la tesi o un progetto, come mi è già successo…). Sono dentro ma mi immagino come se il resto del mondo fuori invece stesse andando avanti ugualmente. Poi quando sento i miei o esco a fare la spesa mi rendo conto che non è così.
- Penso che abbiamo ancora una visione limitata di ciò che ci sta succedendo. Perché siamo immersi. Ancora non abbiamo trasformato il modo di pensare. Ad esempio, ancora pensiamo come ad un adesso (in cui siamo chiusi, limitati…) e ad un dopo in cui torneremo ad una forma di normalità. Mentre penso che la fase del dopo sarà, per un tempo lungo, sfumata e variegata. Un misto tra normalità ed ora. E penso che quella fase sarà più complessa da gestire di quella di ora.
- Quello che mi domando è: le persone che vivono fuori da qui, si rendono conto? Hanno idea? Lo dico perché è un assillo che ho, non riesco a capire se fuori da qui si capisca cosa succede.
- Anche qui, da dentro, non capisco se capisco davvero cosa succede fuori.
- E’ tutto un po’ confuso. Come se tutto fosse ovattato. Non so se capisco. E non so se gli altri capiscono.
- Le percezioni che abbiamo sono molto diverse. Perché noi siamo diversi e le situazioni che viviamo sono diverse. Come facciamo a capirci, in tutta questa diversità?
- L’ironia, le banalità, le cose divertenti che si condividono, non sono per forza insensibilità, sono anche un modo per sopravvivere.
- Mi sento a cavallo tra più posti. E quindi sempre un po’ “fuori sintonia” rispetto a ciò che ho attorno. Sfasata rispetto a dove vivo. Magari in anticipo. Ma essere in anticipo non si rivela utile. Fino a che non “scatta” la nuova fase nella testa delle persone è inutile provare a spiegare ed anticipare.
- Non riesco a ritagliarmi spazi di pensiero. Ma non voglio dimenticare quello che sto vivendo. Mio padre che quando gli porto la spesa non entro, per non aumentare il rischio. E lui mi offre il caffè sulla porta. Il vecchietto del mercato che dice: non mi ha ammazzato la guerra… La collega che lavora in Comune e che si occupa di buoni spesa senza avere le protezioni, che ha visto morire un vicino di stanza per il coronavirus… Non è una narrazione. Sono appunti. Ma me li segno. Perché non voglio dimenticare. So che quando passa, poi si fa fatica a ricordare. Perché ci si adatta a tutto. Nel bene e nel male.
- Sento la distanza tra quello che stiamo vivendo noi qui e la narrazione di ciò che avviene altrove. Grazie a Dio non per tutti è uguale. Grazie a Dio non tutti si stanno confrontando con la morte. Ma che Italia sarà quella in cui avremo avuto esperienze diverse? Come ne uscirà il Paese?
- Dopo sarà la fase della crisi che da sanitaria diventa economica e sociale. Ma dopo sarà anche la fase in cui dovremo rielaborare ciò che stiamo vivendo. I flash mob non ci sono già più, perché c’è la morte. Dovremo elaborare il vicino di casa che viene portato via nella bara, le sirene, i morti… Dovremo elaborare il lutto. E’ giusto che le persone vivano cose diverse. Anche nello stesso posto non stiamo vivendo tutti la stessa cosa. Ma io mi domando se non servirebbe raccontare di più ciò che stiamo vivendo qui. Mi domando se noi non abbiamo l’obbligo anche di far comprendere ad altri quello che sta succedendo qui. Non so quale è il modo. Non voglio cose strappalacrime. Ma… come si fa…
- Sono soprattutto due i pensieri che mi ossessionano la mente in questo periodo:
Il vuoto: nei primi giorni, appena prima della catastrofe, c’era la lotta tra chi voleva andare a avanti come se niente fosse e chi voleva fermarsi. Sembrava un’ansia di riempire il vuoto. Un’ansia che rivelava un temere di non avere più un ruolo nella società. Come se non avere più il riconoscimento del ruolo pubblico della società corrispondesse a non avere più un senso anche nella vita privata. La domanda di fondo che ne emerge è: io, fuori dal mio contesto e dal mio ruolo, cosa sono? Sono me stesso. E chi è me stesso?
- Anche oggi mi domando quanto abbia senso fare tutte le riunioni che stiamo facendo… Perché lo facciamo? Cosa vogliamo dimostrare a tutti? Forse quella che stiamo vivendo è l’opportunità di fare i conti anche con il vuoto. Ci ricordiamo che il vuoto è stato uno dei temi del corso. La noia, la solitudine, il senso di non essere utili e produttivi…come li riconosciamo? Come li maneggiamo?
- Capisco la richiesta di distanziamento fisico, condivido meno il clima di controllo che si sta creando. Ho il dubbio che questo si presti ad abusi di potere, qui abbiamo visto già le prime situazioni...

Com'è la situazione, lì da voi? (3 di 11)

• Da noi la situazione è dura. C’è un ospedale saturo e fuori, nel parcheggio, un ospedale da campo. Sono arrivati 65 medici da Cuba. Segno che non ce l’abbiamo fatta a farcela, da soli. 
• Da noi moltissimi casi. L’ospedale è diventato Covid. Ho anche molti amici sotto i 40 anni che sono in ospedale.
• Da noi la situazione sembra sotto controllo per il Covid. Ma causa una incapacità di prendere in carico sanitariamente tutto il resto che c’era. È tutto bloccato. 
• Da noi c’è lo sconforto generale nelle famiglie. Soprattutto in quelle in cui ci si sosteneva con lavoro nero e non regolare.
• Il primo bisogno da noi oggi è mangiare. C’è il bando per il buono spesa del Comune ma la domanda è talmente complicata e difficile che c’è gente che preferisce non presentarla e andare direttamente a chiedere il pacco a chi distribuisce.
• Per fortuna da noi la morte non ci ha toccato tanto “dentro” l’associazione. Altrove è andata peggio.
• Da noi non c’è (ancora?) l’emergenza che c’è al nord. La situazione è ancora sotto controllo, dicono. Speriamo non sia temporaneo.
• Noi non siamo stati particolarmente colpiti, per fortuna. I casi sono pochissimi.
• Quella che era la città dalle mille possibilità oggi è il posto in cui la libertà è massimamente limitata. Ho amici che vivono vicino ai boschi, loro hanno maggiore libertà di me in questo momento. Possono uscire e fare una passeggiata senza incontrare nessuno.
• Dalla finestra vedo Nembro. La situazione qui è drammatica. Sono morte migliaia di persone. Non lo dico per dire.
• Da noi il Comune ha fatto la regia per la distribuzione dei buoni spesa alle famiglie. Noi come stiamo facilitando le domande di chi avrebbe diritto ma da solo non riesce a compilarla (per cultura, etnia, tecnologia...). Da noi è nata anche la rete di negozi in cui è possibile lasciare la spesa sospesa per chi ha bisogno.
• Nel territorio si è mobilitata tantissima solidarietà̀, sotto la regia del Comune e delle Associazioni.
• Penso che questo periodo ha rimesso al centro la persona, prima del ruolo o dell’organizzazione o dell’istituzione. E che questo è una cosa che in parte era già emersa anche dal nostro percorso. Perché́ oggi il come stanno le persone in quanto persone, come sanno gestire le ansie, le emozioni, come sanno stare in questa situazione influisce moltissimo sulle scelte anche collettive e decisionali collettive. Influisce di più di altro.
• Anche nell’emergenza si vede lo scollamento tra Terzo Settore e Istituzioni, da noi. E l’enorme differenza che c’è in questo tra grande città e piccolo comune. Nel Comune anche l’associazione piccola può̀ costruirsi un rapporto diretto con l’Istituzione. In città?
• È tutto diverso da posto a posto. È diverso tra nord e sud. È diverso tra grande città e aree interne. È diverso tra città più e meno colpita. 

Come stai? (2 di 11)



In dialogo, tra persone. Passo 2 di 11
Come stai, lì dove sei? 
-Stare a casa non mi piace, mi manca la natura, anche solo sentire l’erba sotto i piedi…
-Sto a casa. Ma visto che abito in aperta campagna ogni tanto mi concedo delle bellissime passeggiate in cui non incontro nessuno.
-Stare a casa in fondo non mi pesa, anche perché abito in una ex cascina e ho spazio per uscire.
-Soffro a stare in casa, soprattutto adesso che è primavera.
-Tutto sommato sto bene a casa. Con questi ritmi più lenti.
-Per me è cambiato l’uso della casa. Prima non c’ero mai. 
Come stai? E la salute? 
-Sto bene, sono tra quelli che ha fatto il tampone. Perché la mia compagna ha avuto 15 giorni di febbre che non passava nonostante le medicine. Per fortuna esito negativo. Ma ho fatto l’esperienza di vedere entrare in casa tutti bardati per fare l’esame…
-Sono stato i primi 21 giorni in casa, perché i miei si sono ammalati…
-Personalmente sto bene. In famiglia abbiamo avuto uno zio morto per il Coronavirus e siamo preoccupati per chi esce per fare la chemio, ma sto bene…
-Sto bene, perché sto bene. Ma è un bene che è comunque dentro una situazione.
-Io credo di stare bene.
-Sto bene, sono cambiato. Siamo già cambiati. Non siamo più quelli che eravamo 3 mesi fa. 
Come stai? E il lavoro? 
-Siamo in Cassa Integrazione, i congressi sono saltati…
-Si fa sempre più forte il pensiero che non lavorerò più lì…
-Il lavoro va avanti. Da casa. Il circolo ha ventilato l’ipotesi di cassa integrazione. Ma per ora c’è stato solo l’invito ad usare le ferie arretrate. Noi viaggiamo soprattutto con bandi e convenzioni pubbliche. Se arrivano i soldi, bene. Altrimenti…
-Non ho mai lavorato tanto come ora…
-Lavoro da casa, in quel modo che sembra tanto figo e che per la Pubblica Amministrazione è stato un salto incredibile.
-Lavoro da casa, perché anche da noi è chiuso e ci hanno messo a metà ore, quindi ci siamo, ma a tempo ridotto…
-Avevo fatto un colloquio di lavoro poco prima, mi avevano pure preso, poi ho capito che avrei sostituito persone che lì si erano ammalate…
-Intanto ho chiesto i 600 Euro come partita iva.
-Lavorativamente ci siamo adeguati, stiamo facendo tutto online.
-Personalmente ho la solita fortuna. Da 2 giorni avevo iniziato a fare l’animatrice in una attività con anziani e con disagio. E tutto è andato in vacca.
-Il lavoro con la scuola invece prosegue, a distanza, ciò che vedo è uno spaesamento degli adulti che ricade sui ragazzi. 
Foto di Aleppo oggi. #iorestoacasa per chi la casa ce l'ha.

Sono dentro (1 di 11)


Dove sei? Sono dentro.
- Sono in casa dal 6 marzo
- Da noi è iniziato il 22 febbraio.
- Non posso uscire, come tutti.
- Mi attengo ai regolamenti.
- Sono chiuso in casa.
- E’ un mese che non esco.
- Sto praticamente sempre in casa.
- All’inizio, per forza, non uscivo. Da quando sono stato liberato cerco di uscire anche tutti i giorni, per attività di volontariato.
- Non avrei mai pensato di ritrovarmi agli arresti domiciliari, senza aver commesso un reato.
Dove sei? A casa.
- Vivo con i miei genitori, 80enni.
- Mi sono trasferito con la mia ragazza, che lavora in farmacia.
- Stare a casa può essere alienante ma è anche occasione di guardarsi dentro. Stare a casa è come dire stare da soli. E’ essere messi di fronte. E forse è questo che è molto difficile per qualcuno. Perché non siamo abituati a fermarci a guardarci dentro.
- Stare in casa è qualcosa di nuovo, non ero abituato.
- Stare in casa pesa, però non più di tanto perché gli anni passati mi hanno allenato a questo.
- Personalmente in casa siamo in 4. Ci sono i figli con le esigenze specifiche, con la scuola e la didattica online… è bello stare a casa in 4 perché ci sono anche gli abbracci e gli affetti. Ma il tempo per riflettere è estremamente ridotto. Certe telefonate le ho fatte chiusa in bagno con la figlia che bussa alla porta.
- La cosa che mi pesa non è l’isolamento, più semmai l’idea di non avere uno spazio o un tempo del tutto riservato. Per esempio adesso mentre parlo io sono in sala e so che gli altri aspettano che io finisca per venire qui e so che da dietro il muro comunque si sente ciò che io dico.
La casa!
- Prima non c’ero mai!
- Adesso abbiamo imparato ad organizzarci gli spazi della casa tra noi.
- E’ diverso stare in casa, a seconda del tipo di casa che hai. Con mio padre abbiamo discusso. Lui guarda quelli in strada e dice: perché non stanno in casa? Io gli dico: guarda il palazzo di fronte. E’ una casa IACP. Sono case da 50mq senza balconi in cui magari stanno in 4. Stare così per tanto tempo può pesare più che stare da noi…
- Prima il balcone era il posto dove mettevi i secchi, le scope. Una specie di sgabuzzino. Adesso è l’affaccio sul mondo. Prima non era niente, adesso è il punto da cui passa la libertà.
- 1 metro e 20 è la distanza che c’è da balcone a balcone. Lì ha acquisito valore anche il caffè da balcone a balcone. Che c’è sempre stato. Ma adesso il valore lo vedono tutti.

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