Ragionevole


Adulto: che liste c'erano nel tuo istituto? Com'erano? Come hai scelto chi votare?
Ragazzi: ce n'erano 6-7. Certe erano pazzesche, dicevano cose incredibili, tipo mettere il pannello solare sul tetto e vendere persino l'energia prodotta in più alle case circostanti. Io ho scelto una che mi pareva abbastanza ragionevole, che diceva cose più normali...
Anche oltre il tema specifico delle comunità energetiche, mi interroga una adolescenza che cerca ragionevolezza e normalità.

Assemblea


Ragazzo: la prof ci ha fatto fare assemblea. Per decidere delle cose assieme.
Mamma: interessante, così vi preparate alle superiori...e cosa avete deciso?
Ragazzo: che vogliamo fare almeno una gita e che devono aggiustare le porte degli spogliatoi che sono senza maniglia e restiamo chiusi dentro.
Mamma: mi sembrano buone richieste, ed eravate tutti d'accordo?
Ragazzo: si, su queste si, tutti! Ma la prof ha detto che queste cose non si poteva deciderle. E che potevamo scegliere le squadre del torneo di di dodgeball. Ma poi il prof di ed.fisica ha detto che non andavano bene e ci ha fatto fare maschi contro femmine. E poi la bidella ci ha sgridato perché siamo rimasti chiusi negli spogliatoi...
Mamma: e voi adesso quindi che fate?
Ragazzo: boh! Abbiamo pensato che potevamo chiedere all'altra prof, che é coordinatrice, di aggiustare la maniglia degli spogliatoi...
Educazione civica non è un'ora in più a scuola. É esperienza concreta, credo.
Ndr: con gita si intende una qualsiasi attività scolastica fuori da scuola. Fosse anche nel quartiere. Sono in seconda media, l'ultima gita l'anno fatta in terza elementare.

Un uomo felice


Cosa vuoi essere da grande?
Un uomo felice.
(Mi sembra un ottimo obiettivo...)

Prima smettiamo di fare le pulci al look delle donne in politica, meglio è....


Una differenza tra uomini e donne è anche che gli uomini hanno uno standard di vestito per l'impegno pubblico.
Camicia, cravatta, giacca e pantaloni, scarpe chiuse standard. Varia (di poco) il colore. Varia (per gli esperti) la qualità e il prezzo. Ma in generale (per tutti noi) lo standard é standard. É "il vestito" e non si nota. Si nota solo ciò che esce dallo schema.
Le donne non ce l'hanno, lo standard di look in politica.
Ogni donna deve scegliere che fare, attribuendo un significato ed un peso alla situazione e declinandolo.
Anche per questo il look della donna in spazio pubblico viene analizzato, commentato, criticato.
Detto questo, prima smettiamo di fare le pulci al look delle donne in politica, meglio é. Secondo me.

Il Concilio Vaticano II in chiave sinodale - Nathalie Becquart



 

di Suor Nathalie Becquart  – sottosegretaria al Sinodo Mondiale 

 

Alla luce dell’esperienza sinodale che abbiamo in corso, possiamo capire un po’ di più l’esperienza e i frutti del Concilio.

 

Il Concilio Vaticano II si è aperto sulla Piazza San Pietro. E’ una apertura fuori dalla Chiesa. E’ la prima immagine per capire il Consiglio: aprire le finestre della Chiesa. E oggi Papa Francesco parla di Chiesa in uscita. Chiesa per andare fuori, alle periferie. La stessa idea di Chiesa aperta tra Concilio e Sinodo. 

 

Parlo con voi oggi, dopo una settimana con rappresentanti di tutto il mondo. 12 giorni a Frascati per leggere tutte le sintesi sinodali, tutti i feedback arrivati. Possiamo ascoltare una chiamata forte che arriva da più parti per una Chiesa più aperta e allargata. Una Chiesa per il mondo di oggi. La stessa Chiesa dall’inizio, ma che tenga conto che oggi siamo in un altro mondo, in un altro periodo della Storia.

 

Ieri era il primo anniversario dell’apertura di questo Sinodo. E un anno fa, il 10.10.2021 Papa Francesco ha iniziato questo percorso sinodale per tutte le Chiesi locali. Siamo in questo tempo: comunione, partecipazione, missione. Abbiamo finito la prima fase e a fine ottobre si pubblicherà il documento per le tappe successive. Sarà interessante per voi leggere questo documento. E’ un documento che non vuole fare sintesi definitiva. E’ un documento per restituire a tutti la Parola del Popolo di Dio di tutto il mondo. 

 

Il Sinodo è un frutto del Concilio. Ieri abbiamo pubblicato un messaggio per l’apertura. E’ un momento di particolare grazia anche per il Sinodo e per tutti. Il Sinodo rappresentanza un frutto del Concilio, una delle più preziose eredità. Il processo sinodale stesso si situa nel solco del Concilio. La sinodalità è un tema conciliare in tutto. La Magna Charta del Sinodo è la dottrina sulla Chiesa. Teologia del Popolo di Dio. Un popolo che ha per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio, nel cuore dei quali lo Spirito Santo dimora come un tempio. 

 

Qualcuno ha detto che il Sinodo è stato fatto per prolungare il Concilio. 

 

Il momento più importante del Concilio è la redazione di una costituzione importante sulla Chiesa: la Lumen Gentium. La Curia romana, come si usava, aveva preparato i primi schemi sui temi da affrontare nella discussione e il documento sulla Chiesa era pronto. Il primo capitolo era sulla gerarchia. Durante il dibattito e il discernimento comune, ad un certo momento, è arrivata la chiamata per per cambiare e per mettere prima un capitolo sul Popolo di Dio. Per sottolineare l’importanza dell’eguaglianza e della regalità di tutti i battezzati. Siamo prima una Chiesa come Popolo Di Dio, poi una Istituzione con una sua gerarchia. Abbiamo tanti tanti anni di storia di una mentalità di vedere la Chiesa come istituzione gerarchica, come piramide. Per questo, dopo 60 anni dal Concilio, noi viviamo ancora spesso la Chiesa come gerarchia. Quando diciamo Chiesa pensiamo prima alla gerarchia. Non siamo ancora pienamente entrati nella visione di Chiesa del Concilio.

 

La sinodalità è il Concilio Vaticano II in sintesi. (teologo australiano Ormond Rush). 

 

Quali sono le caratteristiche essenziali del Concilio Vaticano II:


Pre - passaggi...


Il pre passaggi è un tempo strano. Ti dicono "dividiamoci in gruppi di staff" e non per tutti é immediato dove andare. "Sono le staff 2021-2022 o le staff 2022-2023?" Hanno chiesto i formatori l'altra sera. E, a guardare bene, ciò che eravamo in quel momento era un mix. Un tempo di transizione, a cavallo tra prima e dopo, più che un nuovo inizio.
Ma poi arriva il cerchio (e il quadrato) la domenica mattina e questo, tutto sommato, rimette in fila le priorità. Le persone cambiano a volte i ruoli, i gruppi nel tempo attraversano le loro fasi, i ragazzi (sempre) crescono e passano oltre. Ma, alla fine, l'impegno che accomuna resta sempre lo stesso. Fare la nostra parte per accompagnare i ragazzi a crescere. E, nel farlo, non smettere di "crescere" noi.

Onde inesistenti


La fiera dei Maker é un classico autunnale. La location post pandemia al Gazometro la trovo meno ordinata ma fantastica, nel suo connettere direttamente il futuro alla archeologia industriale.
Tanti spunti, tante idee, tante suggestioni. Mi colpisce sempre che in fondo gli stand si dividano in due.
Chi mette al centro l'idea, l'intuizione, l'innovazione (E poi dice: potete usarla ed applicarla voi in tutti i modi e campi). E tu, guardando inesperto, hai sempre l'impressione di non riuscire a capire se hai capito o meno la portata dell'idea.
Chi mette al centro un prodotto finito (E a volte pensi geniali cose che sono banali e viceversa).
Se devo dire il tratto principale notato quest'anno sono i *robot umanoidi* pronti per sostituire/affiancare l'umano nel lavoro.
Il robot capace di vendemmiare non mi inquieta. Lo capisco. Mi funziona.
Il sistema di rilevazione che raccoglie tutti i parametri e li trasmette ed analizza supportando il lavoro dei medici in ospedale mi pare solo utile.
L'infermiere/oss robotico che distribuisce medicine ai pazienti, il dialogatore robotico che allena ragazzi autistici alla comunicazione, l'animale robotico per fare compagnia ai malati di Alzheimer, il promotore finanziario avatar in grado di cogliere le tue emozioni e rapportarsi con te di conseguenza...ecco...tutto ciò che (nella mia ignoranza) confonde l'umano con il non umano...mi preoccupa un po'...
Poi c'è questo: onde inesistenti, prodotte in forma artistica, da analisi di dati reali di onde vere. Questo non l'ho ancora compreso ma mi affascina...

Un particolare

Non risolve tutto. É chiaro. É un particolare.
Ma c'è chi vuol votare e non riesce. Cosa ci impedisce di trovare un accordo trasversale a tutte le forze politiche, su un tema per nulla divisivo, e permettere il voto fuori sede? Organizzativamente oggi non mi pare impossibile.



Con postura territoriale




La globalizzazione accresce il rilievo della dimensione locale. Viviamo in un’epoca che è contemporaneamente delocalizzazione (spostamento in un altrove indefinito, a volte smaterializzazione) e ri-territorializzazione. 

Se diciamo che lo spazio in cui viviamo influisce su di noi, stiamo dicendo che abbiamo la necessità di trasformare gli spazi, anche quelli pubblici, per il nostro benessere. E stiamo dicendo che la costruzione di un popolo (o di una comunità) non può che avvenire in un «dove», perché il dove è il luogo in cui l’esperienza si forma e nel quale il pensiero «atterra» e dove, potenzialmente, il dialogo tra diversi può comporsi.

Animazione di comunità per noi, quindi, significa agire in dimensioni prendibili per la persona: tipicamente il quartiere o il paese (ma potrebbe anche essere una dimensione più ridotta). Dimensioni non istituzionali, che abbiano connotati in qualche modo identitari e che producano senso di appartenenza (può essere il rione, difficilmente è il municipio). Perché il centro non è la rigenerazione degli spazi, ma il modo in cui le persone li abitano e attraversano.

Pur sapendo che la dimensione territoriale non è più unica per ciascuno. Ciascuno viene da, si sposta attraverso, e vive online e offline. Ciascuno abita contemporaneamente più territori, partecipa contemporaneamente a più «pubblici». E questa complessità è ineliminabile. Affrontarla però non vuol dire virare a un’astrazione neutra ma assumere una visione policentrica. Se si dovesse progettare lo stile democratico di vita nella forma di uno spartito musicale, il suo maggior tema sarebbe l’armonia della dissonanza [Alinsky, 1971].


(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Senza fare a meno di attraversare i conflitti



Per fare sviluppo serve portare visioni che aprono conflitti [Carrosio, 2019]. È necessario che la gente dibatta con le modalità indicate da Amartya Sen [Sen, 2000] e che costruisca dialoghi, discorsi, 

visioni. Per arrivare allo sviluppo è necessario introdurre elementi di conflitto e di rottura nella costruzione della visione locale. Serve portare tutti al tavolo. Servono tutte le visioni presenti. Decostruire la comunità che si presenta in maniera apparentemente compiuta e monolitica. Con un’opera di svelamento. Perché poi la comunità si ricostruisca nel processo di riappropriazione condivisa del passato e d’individuazione del futuro. Attorno a uno specifico territorio. Non in astratto, ma con una postura territoriale.

I conflitti hanno un potenziale evolutivo, ma solo se vengono attraversati e trasformati. Nel suo manuale dal titolo: La trasformazione del conflitto con mezzi pacifici, Galtung parla di capacità di trascen-

dere i conflitti [Galtung, 2006]. E prende un esempio: due bambini, un tavolo, un’arancia. Che succede? Nel suo schema tutte le soluzioni possibili di questa scena (ne individua 16) si raggruppano in 5 categorie: prevale una parte o l’altra (seguendo il più forte, seguendo un principio, seguendo il caso, o seguendo una compensazione che contiene in sé anche un possibile ampliamento del conflitto), prevale la scelta di ritiro (si regala l’arancia, la si mette via per dopo, non la si mangia ecc.), si arriva a un compromesso (tagliarla, spremerla, dividerla ecc.). 

Siamo portati a vedere la compensazione e il compromesso come le soluzioni virtuose. Quelle che permettono di evitare il conflitto. Ma in realtà scivolare sempre e immediatamente in una conciliazione, per certi versi acritica tra le parti, è ciò che impedisce al conflitto di essere attraversato e, quindi, trasformato.

La soluzione trasformativa (cioè animativa, secondo noi) è quella che comprende tutto il resto: cucinare una torta all’arancia, metterla all’asta con una lotteria, dividersi il ricavato, per fare altri esempi. Ma anche piantare le parti scartate (semi) proprie e altrui, avviare un commercio, conquistare il mercato ecc. La soluzione trasformativa è la capacità di ridefinire la situazione, in un modo che tutto quello che sembrava incompatibile, bloccato, venga sbloccato e si apra un nuovo orizzonte di possibilità. La creatività è la chiave per la serratura. Il dialogo è la forza da applicare e tra i mezzi più immorali di tutti c’è il non uso di ogni mezzo. Perché la paura di macchiarci entrando nel contesto della storia non è una virtù ma un modo di sfuggirla [Machiavelli, 2013, orig. 1532].

Se questa considerazione è affascinante per tutti, ciò che spesso si tralascia di considerare è che rifiutare il compromesso immediato e mantenere con forza e determinazione la propria posizione non è necessariamente un atteggiamento poco pacifico e poco costruttivo. Anzi, può essere la precondizione necessaria per i passi successivi. La chiarezza e la tenuta assertiva delle proprie posizioni sono infatti essenziali per permettere all’altro di comprendere le proprie ragioni, e il dialogo nasce proprio da questo. Approccio animativo è anche saper stare nella fase in cui il conflitto diventa più evidente e si esplicita; anzi, a volte, è anche provocare l’esplicitazione di conflitti latenti o negati, affinché possano trasformarsi.


(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

L'ascolto che apre la vista


Per passare dalla reazione d’istinto alla scelta, dal bisogno al desiderio [Punzi, 2018], la prima chiave di volta è l’ascolto. L’altro che mi ascolta non mi dice cosa fare. Prima di tutto mi riconosce. E il bisogno di riconoscimento è un bisogno primario di ogni persona. 

Vengo riconosciuto, vengo ascoltato. È questo ascolto che mi apre la possibilità di vedere altre opportunità, oltre a quelle viste fino a quel momento. Mentre è non essere ascoltati e non essere riconosciuti ciò che non mi permette di visualizzare le alternative. E visualizzare è la precondizione dell’agire. 

L’animazione (responsabilità collettiva da assumere comunitariamente) è quindi una funzione di ascolto come avvio di relazione e come recupero delle dimensioni costitutive dell’umano, con cui costruire comunità. È l’ascolto del grido della città al centro del Piano pastorale della diocesi di Roma, ad esempio. Proposta di un anno dedicato a questo. In un piano pluriennale di cui non si conosce l’esito. «Non è solo la raccolta dolorosa ma doverosa delle tante sofferenze e ingiustizie che dilaniano la vita degli abitanti di Roma. C’è qualcosa di più, che richiede uno sguardo contemplativo». Dove contemplazione è guardare a lungo, con attenzione e interesse, sentendo e gustando (o soffrendo) le cose interiormente [Ignazio di Loyola, 2006, orig. 1615]. 

Altrimenti, corriamo il rischio di proporre misure semplicemente pragmatiche, quando, al contrario, ci viene richiesta una contemplazione dei popoli, una capacità di ammirazione, che faccia pensare in modo paradigmatico [Fausti, 2018]. Il coraggio che ci serve, oggi, è avviare processi profondi, i cui sviluppi saranno, probabilmente, portati avanti da altri da noi.


(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

La comunità, tra la persona e la folla


Le idee, i sentimenti, le emozioni, le credenze possiedono un potere contagioso intenso tra le persone, quanto quello dei microbi, si direbbe oggi. Il contagio delle emozioni in una folla [Le Bon, 2013, orig. 1895] è ciò che ci porta a «stare tra noi». Per proteggerci dai «virus» della rabbia altrui. Ma la metafora del virus, sebbene attuale, potrebbe non essere la più corretta. La folla, la massa, il pubblico, potrebbe essere facilmente contagiata dalle emozioni altrui, non perché contaminata dall’altro, dall’esterno. Potrebbe esserlo perché si propaga facilmente ciò che già c’è. Ciò che dà modo di esprimersi a un contenuto comune condiviso da più persone. Qualcosa di difficile da verbalizzare in via diretta e quindi esprimibile solo attraverso rappresentazioni simboliche o metaforiche o indirette.

Tendiamo a vedere la folla come irrazionale. La città e la rete come luoghi della folla. E pur invocando astrattamente il richiamo alla comunità, in realtà, contrapponiamo semplicemente la folla all’individuo. Forse ci sarebbe più utile, al posto di una contrapposizione città/campagna, folla/comunità, razionale/irrazionale, riconoscere che i processi (compresi quelli più aberranti) si presentano in varie gradazioni, in ogni forma di vita intima e aggregata, comunitaria e politica. E che, ad ogni gradazione, il piano cognitivo razionale non è l’unico legittimo. In questo senso con l’animazione di comunità intendiamo anche la capacità di tenere presente l’interezza della persona. E di tenere presente che, qualsiasi sia il ruolo che in un contesto assumiamo, anche noi siamo e restiamo sempre persone.


(In Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Anche l'incompiuto serve


Ci lamentiamo dell’inconsistenza di politici che si limitano alle affermazioni, svincolandole da ogni ragionamento. Che semplificano ciò che in realtà è complesso. Ma dobbiamo riconoscere che è estremamente difficile oggi costruire discorsi compiuti e fondarli scientificamente e storicamente. E che, nella consapevolezza di non riuscire a farlo, finiamo per restare zitti o recitare formule senza senso a cui nemmeno noi crediamo. Possiamo riconoscere che il ragionamento organizzato, puramente razionale e completamente consapevole, non è l’unico modo di procedere del pensiero? Possiamo riconoscere che l’affermazione pura e semplice costituisce, comunque, un mezzo per avviare un processo? Che, a volte, quanto più l’affermazione è concisa, sprovvista di prove e dimostrazioni tanto maggiore è la sua profondità e incisività? Questo avviene solo per l’ignoranza della gente, si dice spesso. Ma forse c’è qualcosa di più. Forse, in un sistema bloccato, l’affermazione non dimostrata potrebbe essere un’intuizione. Potrebbe essere il primo passo per l’emergere di una verità che può essere affermata solo rompendo la coerenza dei discorsi precedenti. Verità che ancora non possediamo, ma che solo avviando dialoghi a partire dalle intuizioni possiamo scoprire, facendolo assieme e non nel presente.


(In Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Costruire un popolo



Se lo spazio sociale è frammentato e conflittuale, la comunità, così come il popolo, non è qualcosa di dato, ma è qualcosa che si dà continuamente. Il passaggio sociale e politico necessario all’organizzazione di un discorso è il movimento di creazione di un popolo [Bergoglio, 2013]. Che comprende la scelta dei confini territoriali, del nome e la capacità di fissare dei punti nodali. 

Oggi assistiamo alla spoliticizzazione del politico. Senza punti nodali non esiste più il politico. Senza domande sociali organizzate non esiste più il politico. E senza politico anche il sociale si disintegra. «Il rischio è che il politico scompaia dalla faccia della terra», scriveva Hanna Arendt [Arendt, 2006]. Ce lo diceva anche don Giovanni Nicolini, accompagnatore spirituale delle Acli, qualche tempo fa: «[...] la politica è morta. Ma senza politica nemmeno noi viviamo. Per fortuna che noi crediamo nella resurrezione» [Nicolini, 2018]. 

Senza politica non c’è più modo di riorganizzare le parti. Il governo diventa solo amministrazione. I popoli diventano inevitabilmente popolazioni (identità su basi etniche, l’elemento base di ciò che chiamiamo sovranismo). Ma «la popolazione non è una scelta contrapposta ad altre. È ciò che resta quando non c’è più il processo di costruzione di un popolo» [Tarizzo, 2018, p. XXI].


(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

Riposizionare la tensione tra sociale e politico


Il campo sociale è frammentato in una pluralità di domande particolari. L’operazione comune attuale è cercare tante singole risposte. E allearsi con la politica «amica» per suggerirle e concordarle.

L’operazione necessaria oggi, invece, ci pare aggregare le domande particolari in un discorso complessivo. Il campo delle domande è il sociale. Organizzare un discorso è strutturare il discorso sociale da proporre al politico. In questo senso, il sociale non è prepolitico, è già politico, ma di diverso segno. È una tensione ciò che intercorre tra sociale e politico, non una progressione evolutiva. Eliminare la tensione elimina il processo. Il politico mira all’impossibile, alla costruzione di una società ordinata e perfetta che, se esistesse, abolirebbe nei fatti il sociale [Laclau, 2018]. Il sociale non è compatto e ordinato, è fatto di contrapposizione, fratture, negatività e, soprattutto, di tante, tantissime, specificità e particolarità.

Il primo passaggio, che viene dal sociale, è quindi riconoscere e fare emergere le domande sociali. Il secondo, che viene dal politico, è cercare di organizzare la risposta a quelle domande. Per fare entrambi i passaggi c’è bisogno di aggregare le domande singole in un fronte comune, che è un punto di divisione tra noi e loro. Il conflitto noi/loro è costitutivo. Oggi è evidente in diverse fratture che viviamo e che attraversano il nostro stare assieme. Più tendiamo a volerle risanare e ricomporre, più ci sembra che ricompaiano accentuate. Il conflitto è di per sé ineliminabile. Solo attraversandolo in maniera consapevole si può trasformarlo costruendo aspetti (sempre incompiuti) di comunità e restituendo al sociale il ruolo proprio e specifico di rendere le domande sociali emergenti, visibili, dicibili e prendibili.

C’è un ruolo sociale da assumere che è quello di aiutare a organizzare discorsi con le domande sociali che emergono. È qualcosa di differente dal rappresentare (cosa che richiede sempre la delega di qualcuno a essere rappresentato). È qualcosa che ha a che fare con la capacità di vedere e ascoltare e con la capacità di non fare storytelling (narrazione da fuori) ma discorso (conversazione da dentro). Ha a che fare con la capacità di rischiare una proposta che raccoglie e organizza ciò che si è ascoltato all’interno di un discorso. Un discorso che non teme, anzi ricerca sconfessione, confutazione, integrazione e che, attraverso questa, si modifica e trasforma continuamente.

Viviamo in un tempo in cui le domande sociali non si aggregano più in significati politici. E in cui lo spazio politico non si scompone più in domande sociali chiare. Manca il dialogo. Manca il discorso.

Ogni discorso si organizza cercando di trovare un centro. Ma costruire il centro non è cercare il punto mediano del discorso tra due estremi. È, caso mai, tentare di spostare il campo di gioco, stabilire quali siano le questioni centrali, influire per certi versi sul processo di costruzione dell’agenda politica. Fare emergere i punti nodali tra le molteplici domande sociali.

Tra il campo sociale e il campo politico va recuperata una tensione che è costitutiva della democrazia. Se questa tensione non attraversa questo campo, resta all’interno del campo sociale. E il nemico, pur simbolico o sublimato, diventa il mio vicino. L’altro da me. Se oggi, in tempo di caduta di tutte le ideologie, lasciamo al politico la funzione di organizzare le domande, lasciamo anche che sia lui a indicarci con chi entrare in conflitto. Possiamo sicuramente e con convinzione riconoscere i limiti della politica (e dei partiti che oggi la incarnano), ma non possiamo non riconoscere che ciò che manca prioritariamente oggi è il passaggio del sociale. Manca la capacità di organizzare un discorso e manca il coraggio di proporlo. 

Annullare la tensione tra sociale e politico vuol dire lasciare intatto il sistema e portare il conflitto all’interno della società. Non si deve rinunciare alla dimensione politica del sociale. Anzi, il contrario. Si tratta di esprimerla pienamente e autonomamente. «Se vincevi te, io non sarei più stato dalla tua», scriveva don Milani nella lettera a Pipetta [Milani, 1950].

(in Forma Esplora Anima - Una conversazione animativa - Paola Villa) 

I circoli di lavoratori: cellula base del movimento aclista dalle origini

I circoli esistono da quando esistono le Acli. Nella Acli della nascita, il circolo di lavoratori è la “cellula base” del movimento. I nucle...