Chiediamoci perdono


Di Marco Bonarini - lavoratore Acli 
Oggi ci si presenta una crisi drammatica delle Acli, analogamente alla crisi del nostro tempo, una crisi che appare legata al denaro, ma è una crisi di fiducia e di capacità di condividere il cammino che ci unisce nella nostra umanità, quell’umano-che-è-in-noi, come dice il teologo Sequeri.
A) Riconoscere il dono
«La fine di tutte le cose è vicina. Siate dunque moderati e sobri, per dedicarvi alla preghiera. Soprattutto conservate tra voi una carità fervente, perché la carità copre una moltitudine di peccati. Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare. Ciascuno, secondo il dono ricevuto, lo metta a servizio degli altri, come buoni amministratori della multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto sia glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo, al quale appartengono la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen!» (1Pt 4,7-11)
Prima di tutto occorre ringraziare del dono che abbiamo tra le mani: la possibilità di “fare le Acli”, dono che abbiamo ricevuto gratuitamente dai nostri padri e che dobbiamo trasmettere gratuitamente (per loro) ai nostri figli. Questo dono è il nostro carisma che occorre riconoscere con semplicità, umiltà e spirito non proprietario. E’ un dono per il popolo italiano in Italia e nel mondo e per la chiesa italiana e universale.
B) Chiedere perdono
«Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente» (Mt 5,13).
In questa crisi delle Acli, occorre poi chiedere perdono per tutti quei peccati, soprattutto di omissione, che abbiamo compiuto a tutti i livelli, dalla presidenza nazionale a quelle dei circoli, dai soci ai lavoratori.
Distratti dal vero compito
«Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri parole, opere ed omissioni»
Il primo peccato è di omissione: ci siamo distratti dall’impegno comune, ci siamo lasciati prendere dallo spirito del tempo che ci chiede di occuparci prima di tutto di noi stessi e poi, se c’è tempo e voglia, degli altri. E’ una omissione profonda, rimossa, nascosta, che facciamo fatica a distinguere nella nostra coscienza, perché siamo impegnati con molto impegno (è voluta la ripetizione) a compiere molte buone azioni che rimangono e ci alleviano il senso di colpa, ma che ci hanno distolto da quel fare attenzione al nostro stare insieme «per realizzare un grande compito».
Noi, uomini e donne, siamo relazione, la relazione ci precede, siamo già in relazione con tutti. La vera libertà non è quella se entrare in relazione con altri, ma è quella di scegliere quale qualità dare alle relazioni con gli altri. E questa qualità, nella Bibbia, si chiama giustizia: «La giustizia implica una relazione fra due (o più) soggetti spirituali dotati del principio interiore della libertà; parlare di giustizia quindi significa porre in atto un discorso che riguarda non l’individuo in quanto tale – fosse anche nel suo rapporto ad una norma -, non l’individuo in rapporto alle cose, ma il soggetto definito dalla sua relazione ad altro soggetto […] Data l’”alterità” dei soggetti in rapporto tra loro, la relazione di giustizia (opposta alla relazione ingiusta) è allora quella che rispetta, promuove, afferma il senso di ognuno dei soggetti; in altre parole, la giustizia è quella qualità (o virtù) della relazione per cui ad ognuno è dato quello che gli spetta come soggetto» (p. P. Bovati sj, biblista e attuale segretario della Pontificia Commissione Biblica).
I riti della politica
«Quando sarai entrato nella terra che il Signore, tuo Dio, sta per darti e ne avrai preso possesso e l’abiterai, se dirai: “Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno”, 15dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore, tuo Dio, avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. 16Ma egli non dovrà procurarsi un gran numero di cavalli né far tornare il popolo in Egitto per procurarsi un gran numero di cavalli, perché il Signore vi ha detto: “Non tornerete più indietro per quella via!”. 17Non dovrà avere un gran numero di mogli, perché il suo cuore non si smarrisca; non abbia grande quantità di argento e di oro. 18Quando si insedierà sul trono regale, scriverà per suo uso in un libro una copia di questa legge, secondo l’esemplare dei sacerdoti leviti. 19Essa sarà con lui ed egli la leggerà tutti i giorni della sua vita, per imparare a temere il Signore, suo Dio, e a osservare tutte le parole di questa legge e di questi statuti, 20affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli ed egli non si allontani da questi comandi, né a destra né a sinistra, e prolunghi così i giorni del suo regno, lui e i suoi figli, in mezzo a Israele» (Dt 17,14-20)
Il secondo peccato è di esserci fatti prendere e sorprendere dal luogo comune: “la politica è fatta così”, con i suoi riti di ambiguità. Questi hanno caratterizzato in modo speciale il nostro dibattito negli organi. Siamo usciti da un congresso spaccati in due e non siamo stati capaci di ricucire, al di là delle apparenze, tutti timorosi di riposizionarsi per non essere tagliati fuori dal potere, dal nazionale ai provinciali. In questo il fatto di essere cattolici, incapaci di reggere il confronto e il conflitto in nome del presunto bene di una unità, in questo caso magica, non ci ha aiutato e qui serve una vera conversione.
Tra gli aclisti c’è una grande delusione di fronte alle aspettative di questa presidenza nel suo complesso, perché quello che si è deciso o non deciso, lo si è fatto insieme, c’erano tutti e alla fine si è deciso, o si è deciso altrove?
Dobbiamo sempre imparare da Gesù come stare nel conflitto con lo scopo non di vincere, ma di convincere l’altro a vivere in modo giusto. Ce la faremo a convertirci personalmente e quindi, di conseguenza, associativamente, cioè ad adottare un altro stile di esercitare il potere e di gestire il conflitto?
Il metodo del Sinodo sulla famiglia dovrebbe aiutarci a comprendere come fare emergere le diverse posizioni e poi trovare una sintesi e non viceversa. Lo stesso accade in famiglia: l’unità della coppia è un affare serio e si costruisce a caro prezzo, caro prezzo che non vogliamo e/o non sappiamo pagare per giungere a una vera unità nella diversità. San Paolo parla della carità come metro per dirimere le questioni delle sue comunità: sapremo farlo come lo ha fatto lui, che si è fatto tutto a tutti pur di salvarne qualcuno? 1Cor 9,19-23: «Infatti, pur essendo libero da tutti, mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero: mi sono fatto come Giudeo per i Giudei, per guadagnare i Giudei. Per coloro che sono sotto la Legge – pur non essendo io sotto la Legge – mi sono fatto come uno che è sotto la Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono sotto la Legge. Per coloro che non hanno Legge – pur non essendo io senza la legge di Dio, anzi essendo nella legge di Cristo – mi sono fatto come uno che è senza Legge, allo scopo di guadagnare coloro che sono senza Legge. Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Ma tutto io faccio per il Vangelo, per diventarne partecipe anch’io».
Quale fede ci accomuna?
«Mentre i Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini» (1Cor 1,22-25)
Il terzo peccato di cui chiedere perdono è che non siamo stati all’altezza di una vera riflessione su come conciliare la fede che ci è richiesta dal carisma con il mutare dei tempi: la fede dei nostri padri, viva e tradizionale (nel senso migliore della tradizione), oggi non è più sufficiente in questo tempo che ci interroga in modo pressante. Lo abbiamo visto al Sinodo, lo vediamo tutti i giorni, come la nostra ricerca di fede necessità di un di più, e non un di meno, da parte di tutti, credenti o meno che siamo. L’umano-che-è-in-noi ci accomuna e ci interroga, le risposte non possiamo che trovarle insieme, ma là dove la sfida è maggiore e non là dove possiamo accontentarci di pannicelli caldi.
Tutti siamo colpevoli
«Salmo. Di Davide. Quando il profeta Natan andò da lui, che era andato con Betsabea.
Pietà di me, o Dio, nel tuo amore; nella tua grande misericordia cancella la mia iniquità.
Lavami tutto dalla mia colpa, dal mio peccato rendimi puro. 
Sì, le mie iniquità io le riconosco, il mio peccato mi sta sempre dinanzi» (Sal 51,1-5)
tutti danno la colpa di ciò che non va agli altri, ma raramente sento qualcuno che dice: è colpa mia. Il nazionale non sa fare il suo mestiere; i territori si preoccupano solo di sé e non si interessano del nazionale, se non per avere soldi, i servizi e le associazioni specifiche vanno ognuno per sé, i circoli non sono curati dai provinciali, mancano i giovani. C’è qualcosa di vero in tutto questo, ma non è questo il punto: cosa abbiamo fatto affinché tutto questo non accadesse? Dobbiamo dircelo con carità, se vogliamo fare in modo che le cose vadano diversamente.
Chi sono io?
«Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un abortoIo infatti sono il più piccolo tra gli apostoli e non sono degno di essere chiamato apostolo perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. Per grazia di Dio, però, sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana. Anzi, ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. Dunque, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto» (1Cor 15,8-11)
Oramai diffido di chiunque si consideri giusto, anche a ragione. Se Paolo non fa fatica a riconoscersi come un aborto, a causa del suo peccato, se papa Francesco chiede preghiere perché è peccatore, se i santi chiedono perdono per i propri peccati, chi siamo noi per ritenerci giusti? (Non basta più essere una brava persona per fare il dirigente oggi in qualunque posizione di governo, dalla multinazionale all’ultimo circolo).
Nessuno è giusto e tutti siamo salvati dall’amore di Dio. Senza questa umile consapevolezza non andremo da nessuna parte, se non ci aiutiamo prima a riconoscere l’amore di Dio che ci rende fratelli e poi i nostri peccati quotidiani, in primis l’uso della parola che si permette di dire senza riconoscerne la sua potenza, nel bene come nel male. Anche qui possiamo imparare da Gesù e convertire il nostro dire, che non sminuisce ciò che non va e non esalta ciò che va, ma che sa incoraggiare lo sfiduciato, aiutare a riconoscere il proprio peccato e a dare speranza ai poveri.
Dobbiamo guardarci dentro con coraggio e aiutarci a cambiare insieme personalmente, prendendoci a cuore gli uni gli altri: lo sapremo fare?
Faccio mia l’esortazione di Paolo che scrive ai Galati, una comunità conflittuale:
«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Che questa libertà non divenga però un pretesto per la carne; mediante l’amore siate invece a servizio gli uni degli altri. Tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso . Ma se vi mordete e vi divorate a vicenda, badate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!
Vi dico dunque: camminate secondo lo Spirito e non sarete portati a soddisfare il desiderio della carne. La carne infatti ha desideri contrari allo Spirito e lo Spirito ha desideri contrari alla carne; queste cose si oppongono a vicenda, sicché voi non fate quello che vorreste.
Ma se vi lasciate guidare dallo Spirito, non siete sotto la Legge. Del resto sono ben note le opere della carne: fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordia, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose del genere. Riguardo a queste cose vi preavviso, come già ho detto: chi le compie non erediterà il regno di Dio. Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è Legge» (Gal 5,13-23).
C) Preghiamo gli uni per gli altri
«Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per tutti voi, lo faccio con gioia a motivo della vostra cooperazione per il Vangelo, dal primo giorno fino al presente. Sono persuaso che colui il quale ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù» (Fil 1,3-6)
Papa Francesco chiede preghiere per sé, io chiedo preghiere per le Acli. Nella Evangelii Gaudium, nel capitolo finale, quello più importante, Francesco dice:
«Quando si afferma che qualcosa ha “spirito”, questo indicare di solito qualche movente interiore che dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria. Un’evangelizzazione con spirito è molto diversa da un insieme di compiti vissuti come un pesante obbligo che semplicemente si tollera, o si sopporta come qualcosa che contraddice le proprie inclinazioni e i propri desideri. Come vorrei trovare le parole per incoraggiare una stagione evangelizzatrice più fervorosa, gioiosa, generosa, audace, piena d’amore fino in fondo e di vita contagiosa! Ma so che nessuna motivazione sarà sufficiente se non arde nei cuori il fuoco dello Spirito. In definitiva, un’evangelizzazione con spirito è un’evangelizzazione con Spirito Santo, dal momento che Egli è l’anima della Chiesa evangelizzatrice. Prima di proporre alcune motivazioni e suggerimenti spirituali, invoco ancora una volta lo Spirito Santo, lo prego che venga a rinnovare, a scuotere, a dare impulso alla Chiesa in un’audace uscita fuori da sé per evangelizzare tutti i popoli» (EG 261).
Papa Francesco ci propone un itinerario di conversione:
– l’incontro personale con l’amore di Gesù che ci salva;
– il piacere spirituale di essere popolo;
– l’azione misteriosa del Risorto e del suo Spirito;
– la forza missionaria dell’intercessione.
Preghiamo chiedendo lo Spirito per la nostra conversione personale. Questo ci aiuterà a discernere come «fare le Acli» in modo giusto, adeguato al nostro tempo, uscendo da noi e andando incontro ai poveri. Solo il Vangelo fa nuove le Acli e i poveri ci aiuteranno a farle.
Mi scuso in anticipo se qualcuno si è offeso. Mi potete contattare in sede nazionale per ogni chiarimento.

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

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