Le chiavi della cucina


di Stefano Tassinari
Il nostro rapporto con il ‘potere’ sarà la misura della nostra capacità di cambiare, per ‘sentirci intimamente uniti con tutto ciò che esiste’ (preghiera finale della Laudato si’).
Il potere: come lo concepiamo, come lo usiamo e soprattutto come ce ne distacchiamo, dando limiti di tempo e di ‘spazio’ ai propri ruoli, per creare attorno a noi una reale partecipazione, un reale poter essere degli altri e del mondo.
Siamo per accumulare potere o per distribuirlo e infine per consegnarlo? Lavoriamo per il potere di avere di pochi, che cercano di rappresentare tanti altri, o per il ‘poter essere’ di tutti?
Non sono domande retoriche. Non sono benvenute risposte affermative immediate e buoniste.
Su queste domande probabilmente si misura sia la nostra capacità di una autentica spiritualità (di essere, non solo come chiesa, in uscita da se stessi) sia quella di essere effettivamente un corpo sociale intermedio.
Si gioca la differenza tra essere associazione di promozione sociale che, partendo dalla forza umana e dalle contraddizioni del lavoro, genera una nuova coscienza e partecipazione di popolo, per chiedere e costruire una società più giusta e, invece, diventare un’organizzazione di addetti ai lavori, o meglio, una, pur legittima, lobby che difende gli interessi di una rete di imprese sociali. Non solo, su di esse si gioca anche la sostenibilità e il patrimonio economico e umano di un grande sistema di servizi di welfare.
L’invito di Papa Francesco a ripartire dal Vangelo incarnato chiama ad uscire da noi stessi, per saper piangere per chi soffre, per vivere la misericordia come qualcosa che ti tocca nelle budella, per ‘prendere dolorosa coscienza, osare trasformare in sofferenza personale quello che accade al mondo’. Ma questa tensione è tale se ci vede finalizzare il nostro fare al trasferire potere alle persone e ai contesti che incontriamo, al riscattare chi è più debole, i ceti più deboli, all’emanciparsi insieme, al rendere tutti più eguali e liberi. Su questo ci dobbiamo misurare faticosamente, anche per non confondere l”uscita da se’ con la voglia di conquistare spazi e potere.
Ridiamoci una nuova proposta associativa forte e aperta, che non abbia paura di proporre liberamente di fare gruppo insieme sulla Parola che parla alla vita vera di ognuno, sul riflettere e assumere coscienza della realtà, su un impegno sociale e politico autorevole perchè autonomo; rinnoviamo la nostra democrazia e la partecipazione nella vita degli organi. Non temiamo di riconsegnare con forme nuove questa grande associazione alle nuove generazioni di cittadini e lavoratori!
I corpi intermedi oggi sembrano messi all’angolo da una politica sempre più personalistica, ma soprattutto dall’essersi trasformati più in organizzazioni e strutture, importanti e autorevoli, e meno in animatori di partecipazione civile e politica. Qui ne va della democrazia e della lotta a quella esplosione delle diseguaglianze che è la più profonda radice dei mali sociali attuali, della frammentazione dei legami e del futuro. Quella esplosione delle diseguaglianze che parte dal lavoro e che ormai, concentrando con la ricchezza anche il potere di lobby, mina profondamente lo stesso libero mercato. E la nostra società globale rischia di somigliare alla Fattoria degli animali di Orwell, dove tutti sono eguali, ma qualcuno è più eguale degli altri.
Essere autori di un mondo del lavoro e di un welfare più giusti e promotori di uno sviluppo sostenibile e integrale. Quale sostenibilità economica possiamo trovare in epoca di tagli e di privatizzazione del welfare se non valorizziamo l’umanità, la competenza e la credibilità del nostro sistema di servizi per coinvolgere le persone nella stessa organizzazione e tutela dei propri diritti? Incontriamo almeno 3 milioni di persone ogni anno. Sprechiamo questo credito se non diamo loro volto, voce, se non le coinvolgiamo in un mix di servizi più integrato e personalizzato, se non pensiamo a una loro partecipazione, a un loro protagonismo. Non vediamo che sono i nostri primi alleati per promuovere e per rendere sostenibili in diversi modi i nostri servizi e le nostre attività, e il loro ruolo pubblico.
Non è facile cambiare il modo di concepire e vivere il potere, così come il denaro, che ne è l’altra faccia. Pesano molti aspetti reali. Le istituzioni sono partner del nostro lavoro. Ormai la maggior parte dei dirigenti sono/siamo anche lavoratori della nostra rete di associazioni e servizi. Tagli, emergenze e una profonda crisi associativa, per troppo tempo sottovalutata, ci trovano assediati dalla gestione e dalla quotidianità.
Eppure la quotidianità è il luogo della nostra sfida: se ormai anche il profit si gioca sul fare comunità, per esempio trasformando, come Eataly, un supermercato in un luogo dove mangiare bene e sentirsi parte di un mondo quasi alternativo, perchè non possiamo farlo noi che dall’essere comunità veniamo?
Con una differenza, profonda, molto profonda, che nel nostro fare comunità noi nasciamo, in ultimo, per consegnare alle persone le chiavi della cucina.

(post pubblicato sul blog di dibattito congressuale www.piugiusto.com)

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