Chiamiamoci per nome


di Andrea Bossi (Lodi)
Negli ultimi anni, alcune delle campagne di comunicazione che hanno raccolto un enorme successo sono quelle partorite dallo staff di pubblicitari della Coca Cola, ok, sembrerà starno ma vorrei partire proprio dalla famosa bevanda zuccherata per parlare dell’approccio alle sfide che richiamano le nostre Acli.
Il colpo di genio della multinazionale di Atlanta è stato quello della “personalizzazione del prodotto”.  Chi non ricorda le bottigliette 2014 con, al posto del marchio, il nome proprio di persona? “Il condividila con Lorenzo, Laura, Marco, Sara…” ? Chi non ha mai perso qualche minuto a cercare al supermercato o all’autogrill la bottiglietta con il nome della propria fidanzata, del fidanzato o dell’amico/a? Chi l’anno successivo non si è divertito a bere dalle bottiglie del “dillo con una canzone”?
Ecco questa strategia di marketing (copiata anche da altri) segna uno stacco, il ribaltamento della prospettiva: non sono più le persone a cercare i marchi che possano identificare una moda, una stagione, uno stile, ma sono gli stessi produttori a voler mettere la persona, il consumatore al centro.
Questo ribaltamento non lo vediamo solo nel commercio ma anche nella vita delle associazioni: non esiste più il socio fidelizzato ma dobbiamo essere in grado di accogliere esperienze di vita associativa legate a percorsi sempre più specifici e personalizzati, magari discontinue nel tempo. Non ha più tanto senso collegare il protagonismo alle tessere. Non so dire se fosse meglio prima o adesso, solo dobbiamo avere l’onesta di ammettere come cantava Bob Dylan  che “Things Have Changed”.
Questa è la conseguenza di due fattori:
1) La perdita delle mediazioni. A tutti i livelli si sono perse le rappresentanze intermedie che facevano formazione ma che creavano anche un senso di identità e appartenenza.
2) Le innovazioni tecnologiche e lo sviluppo digitale hanno velocizzato tutto, dalle comunicazioni alla relazioni.
In questo scenario credo che il terzo settore, ed in particolare le Acli, debbano imparare da quanto fatto dal mondo dell’economia negli ultimi anni. Partiamo da qui, oggi la sfida è quella di decentrare , di specializzare e personalizzare  il più possibile i percorsi.
Le Acli invece, nonostante la ritrita retorica sull’importanza dei circoli, sono stati un corpaccione lento e verticista. Hanno mantenuto un approccio decisamente centralista e questo lo notiamo dalla farraginosità delle comunicazioni e delle interazioni sia verticali che orizzontali (relazioni tra circoli, associazioni specifiche).
L’associazione debba essere più aperta e portare i suoi iscritti e coloro che le sono vicini, ad intervenire, a fornire opinioni, pareri e ad essere parte integrante delle dinamiche associative. Deve imparare a comunicare non solo per informare ma per interagire perché, nell’epoca di facebook e twitter, la comunicazione è un processo creativo in continuo divenire e non un semplice canale di dare/ricevere con momenti ben definiti e separati.
Con la fine delle grandi famiglie del ‘900 si è sgretolata la rappresentanza e la comunicazione di massa ha aperto nuovi mondi e nuovi città (virtuali) da esplorare. Sbaglieremmo a considerare i social dei semplici strumenti di comunicazione, sono di più, sono un prolungamento delle relazioni quotidiane, sono dei luoghi con codici, regole, stili di comportamento.  Prima di giudicarli giusti o sbagliati dovremmo avere la sincerità di prendere atto di quello che sono.
Dobbiamo tornare a “chiamarci per nome”, sentirci nell’associazione non semplici numeri, tessere, destinatari di servizi. Dobbiamo sentirci nomi, storie, idee che camminano. Le persone hanno voglia di sentirsi chiamati in causa, di scoprire se stesse prima ancora di una appartenenza di gruppo (che spesso si rifà a semplici canoni passati).
Qualsiasi percorso di formazione perde di senso se non è oggi supportato da una empatia di fondo che unisce le persone. Nel mondo del tutto e subito, dello streaming e della possibilità di coprire migliaia di km con un click, la gente la si smuove solo con la fiducia, con una rete di relazioni di amicizia che ci facciano sentire visibili e importanti. Non conta quanto buona è l’offerta ma quanto riesce a toccare le corde dell’interesse reciproco.
È qui che concretizza il paragone con la Coca cola…se una bevanda può intercettare il desiderio di esprimersi, perché noi che  siamo una realtà di formazione e promozione sociale non riusciamo (e nemmeno proviamo) a trasmettere questa voglia di sentirci, ognuno con le proprie caratteristiche, con il proprio nome, con la propria canzone a segnare il ritmo dei passi, protagonisti di questo tempo.

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

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