Le famiglie chiedono di essere riconosciute come soggetti sociali complessi. - Frate Marco Vianelli - Pastorale familiare


Frate Marco Vianelli: Ascolto delle famiglie a partire dalla Chiesa.

Quale è il grido delle famiglie? 
Quale è il modo per liberare le risorse della famiglia?

Tre sottolineature: 

A. Merita una definizione dal punto di vista ecclesiologico. Altrimenti c’è il rischio di guardare la Chiesa in modo clericale. Non è che la chiesa ha dei laici. Non è che la Chiesa ha delle famiglie. Non è che la Chiesa ha delle realtà associative….
La Chiesa in quanto tale è fatta di famiglie, di laici, di associazioni… 
La Chiesa in uscita non è la chiesa dei preti in uscita verso le famiglie. 
Altrimenti questo tempo di Sinodo rischia di diventare la gentile concessione di un tempo transitorio. 
Invece dobbiamo prendere consapevolezza che c’è già una Chiesa che è Chiesa e che vive, per natura sua, in uscita. Non è che la Chiesa non conosce ciò che succede nel mondo. Le famiglie vivono nel mondo. Le famiglie sono già Chiesa. 

Nel tempo si è creata una contrapposizione tra gerarchia e famiglie, tra gerarchia e laici. Ma ripartiamo da una idea ecclesiologica diversa. 


B. Ascoltare il grido delle famiglie. Le famiglie non gridano. L’agone politico usa uno stile narrativo che è l’urlato, lo scritto in maiuscolo su twitter o whatsapp. Lo slogan…. 
Lo stile delle famiglie non è questo. Le famiglie non urlano, non gridano, anche quando hanno bisogno, anche quando la situazione è drammatica o ingiusta. Questo non vuol dire che le famiglie non sono capaci di rivendicare i propri diritti o di ritagliarsi uno spazio, ma lo stile famigliare è lo stile del fare. Perché di fronte alle ingiustizie, ai drammi, la famiglia difficilmente scende in piazza a fare sciopero. Anche perché, che fai? Come fai a fare sciopero in famiglia? Puoi non far da mangiare al figlio? 

Al tempo del covid, la famiglia è stata data per scontata. Si aprivano e chiudevano le scuole con la libertà di chi guardava altro. Alle famiglie si chiedeva di lavorare e di tenere i figli a casa, di lavorare e fare scuola a casa….Quando si presenta un problema in famiglia, anche se ha il sapore dell’ingiustizia, la prima cosa che si fa è prendere in mano la situazione. Non abbiamo il modo?  Ci attrezziamo. La famiglia, prima di gridare, risolve il problema, lo affronta. Per sua natura la famiglia non grida. 

C. Ascoltare le famiglie.  Ascoltare non è mai neutro. Non è un atto impersonale. Io ascolto, tu ascolti. Per quanto ci possiamo allenare e avere una intenzionalità e un ascolto empatico, questo non significa essere neutri. Io non sono mai un foglio di carta bianco di fronte a te. Io farò il possibile perché non ci siano troppe scritte già presenti sul foglio che sono, ma delle scritte ce ne sono. Allora, l’unico modo onesto è dichiarare con che occhi guardo e con che orecchie ascolto. 

Sapere chi ti sta dicendo una cosa cambia tutto. Dire “con quei pantaloni non puoi uscire!”.  Se è tua mamma che te lo dice (perché non sono puliti), se è tua sorella che te lo dice (perché sono i suoi e li hai presi senza dirlo), se è tuo padre che te lo dice (perché ti si vede tutto…). Il punto di vista di chi parla cambia tutto. La stessa frase detta da persone diverse ha motivazioni diverse, significati diversi ed effetti diversi. 

Il punto di vista è necessario dichiararlo, per facilitare il cammino di conoscenza che avviene.  

Fatte le premesse, dal punto di vista della Pastorale delle famiglie: 

Cosa chiedono le famiglie oggi? Chiedono di  essere riconosciute come soggetti sociali, come realtà complessa.
E una richiesta alla Chiesa e alla società. E’ anche una richiesta nuova.
Abbiamo sempre visto la dimensione del soggetto, della persona. Ci siamo presi cura o della massa o del battezzato. Ma il fatto che tu sia sposo, che tu sia figlio, che tu sia padre ha una implicanza che è sia sociale che ecclesiale. 
La richiesta è essere visti come realtà complessa e non monolitica, come realtà magmatica e dialogica. Complessa e non complicata.
E’ la prima provocazione di trasformazione sociale ed ecclesiale.
E’ un invito a stare di fronte alla complessità. 
La famiglia chiede di non essere spacchettata. 

(…) Il tentativo è sempre spacchettare la realtà. 
E’ difficile ascoltare la dimensione armonica e sinfonica della famiglia. 
E’ difficile stare di fronte alla complessità. 
Invece è anche l’opportunità di non gestire un arcipelago di isole scollegate. 

Cosa portano le famiglie oggi? Portano il tema del per sempre. 

Il contributo della famiglia è il tema del per sempre, vuoi o non vuoi. 
La famiglia cristiana custodisce il sacramento che ha dentro il per sempre. Ma è la dimensione della generatività, che è caratteristica della famiglia, ad avere comunque dentro il tema del per sempre. 
Per vivere assieme, prenderti cura di qualcuno che magari metti al mondo, non puoi pensare con la scadenza dello yogurt. Devi per forza pensare ad un tempo lungo. 

Penso anche all’assegno unico universale. Pensato con il forum e con le associazioni. Si passa dall’idea di bonus (una tantum), all’idea di assegno (qualcosa di stabile). Questo è bene, perché un figlio non è una decisione per quest’anno. Non è qualcosa che ricade in un anno. Un figlio è per sempre e va valorizzato in questa sua dimensione di per sempre, questa è la sfida di prendere in carico la complessità. Le cose vanno sistemate, non è a posto, ma se prendi in carico la complessità e il per sempre comincia a fare progetti e a dare risposte non estemporanee. 

Il contributo della famiglia è la logica del dialogo. Il mettere in rete generi, generazioni e stirpi. Ed è una palestra interessante. E’ il contenitore e lo spazio che (sempre di meno e sempre in modo più complicato) fa dialogare il maschile e il
femminile, padri e madri con figli, che tiene in rete i nonni. Questa visione di famiglia come contesto relazionale è un valore prezioso da non perdere. E’ la prima palestra dove si impara la grammatica sociale. 
Anche i valori civili “classici”: libertà, fraternità, uguaglianza…. Come si fa ad apprenderli in un mondo di figli unici?  Dove impari ad essere fratello se al massimo (se hai culo) hai dei cugini? Se questo riguarda tutti, perché nessuno ha più fratelli e sorelle?  E’ qualcosa che non abbiamo sperimentato ma che in una dimensione di massa erode la dimensione sociale, la capacità di convivenza sociale.

Il tema dell’amore nel famigliare tiene insieme la dimensione affettiva e la dimensione etica. Amare non è sentire. Nel familiare amare diventa anche responsabilità rispetto all’altro. Diventa cura. Vuol dire non dormire la notte, lottare, preoccuparti... Non è solo fare ciò che senti, quando lo senti. Vuol dire fare quello che c’è bisogno, quando c’è bisogno. Non vuol dire che la dimensione familiare è perfetta. Non lo è. Si fa fatica. Ma è una dimensione che oggi è nel nostro dna e che porta con sé queste cose. 

(Appunti presi in diretta e non rivisti dall'autore, al seminario "Ascoltare il grido delle famiglie" promosso dalle Acli Nazionali delega famiglie e stili di vita)

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