Era l'11 aprile 1963. La pacem in terris. - Daniele Rocchetti


Era l’11 aprile 1963, giovedi santo. Almeno dal punto di vista della pace, non era molto diverso da oggi. Meno di 2 anni prima si era avviata la costruzione del muro che segnava la divisione del mondo in blocchi e c’era stata la crisi di Cuba, che aveva condotto l’umanità sul filo di un conflitto mondiale. Papa Roncalli aveva già scritto un messaggio alle due super potenze e aveva già mandato un radio messaggio, maturando la decisione di intervenire con un pronunciamento solenne. Era già la guerra mondiale a pezzi di cui parla oggi Papa Francesco. 

E’ la sua ultima enciclica. Papa Giovanni ha un tumore, sa di dover morire, il testo è il suo lascito spirituale. Mette per scritto ciò che gli sta a cuore. Lo fa indirizzandolo non solo ai singoli vescovi, come era uso al tempo, non solo al clero e al popolo dei fedeli, ma anche a tutti gli uomini di buona volontà, variante mai usata in precedenza. Di fatto consegna l’enciclica al Concilio. Era appena terminata la prima sessione, c’erano questioni aperte, si preparava la seconda sessione (che poi fu rimandata a settembre). 

E’ un’enciclica che delinea le questioni che hanno rilevanza per la vita dei popoli e delle comunità. E’ il primo testo di un magistero in cui viene ricordata la carta dell’ONU. Sono segni dei tempi. Le prime avvisaglie della globalizzazione e di disegno di nuovo ordine mondiale. Come ogni volta che si parla davvero di Vangelo (e non si è solo custodi del buon senso) l’enciclica ha una enorme risonanza. A Bergamo c’erano due giornali a quel tempo. L’Eco di Bergamo, della Curia, che continua anche ora. E il Giornale di Bergamo, di Confindustria. Il giorno dopo l’uscita della Pacem in terris il Giornale di Bergamo esce con un editoriale dal titolo:  La falcem in terris. 

Giovanni XXIII non era solo un bergamasco, era un grandissimo uomo della diplomazia. Era stato in Bulgaria, in Turchia con Ataturk, nel 1944 era stato mandato a Parigi. Ad alcuni vescovi era così tanto piaciuto il moschetto e il balilla del regime, che De Golle li voleva far fuori. Fu mandato lui, come diplomatico a risolvere la questione. E la risolse brillantemente. 

Il punto centrale della Pacem in terris. L’Art 67. “Che la guerra serva per risolvere le controversie è irragionevole”. Si sa che le encicliche sono redatte in latino e poi da quello tradotte in tutte le lingue. Il testo in latino dice: è “alienum a rationem”. E’ stato tradotto con irragionevole, ma è persino di più, è alieno alla ragione, è da fuori di testa. Questo è il cuore del messaggio, ed è un messaggio che ha un carattere rivoluzionario. E’ una presa di distanza dalla posizione che, ragionevolmente, il Magistero fino ad allora aveva sostenuto, da Ambrogio in poi. L’idea di guerra giusta, a determinate condizioni e con relative limitazioni. Perché c’era bisogno di cambiare? Perché l’idea precedente era quella secondo cui si poteva mettere un freno alla guerra. Quando lui scrive eravamo a 18 anni da Hiroshima e Nagasaki. Era dopo il Vietnam. L’enciclica è un no alla bomba atomica, ma anche alle armi chimiche e batteriologiche.  Ma, vorrei che almeno noi, da credenti, ne fossimo convinti, non lo fa per un ragionamento politico. Lo fa perché “Pace a voi” è la prima consegna di Gesù Risorto. Lo shalom è l’augurio evangelico. 

La maggior parte delle volte che parliamo di pace lo facciamo in forma tautologica. Come se bastasse affermare le cose per realizzarle. Lui nella Pacem in terris dice di evitare la retorica della pace. La pace si dà attraverso libertà, giustizia, amore, verità. La pace si dà nella sua concreta realizzazione. 

Ma non si accontenta di indicare le ombre. E’ preoccupato delle condizioni attraverso cui la pace si può costruire. Tutto sommato nella Pacem in terris la parola pace è presente poche volte. Con quell’ottimismo che credo ci debba costituire, perché non è altro che realismo cristiano. Lontano da una valutazione superficiale cinica e acritica. Realismo, ma aperto al futuro.  

Uno dei segni dei tempi di cui parla la Pacem in terris è l’ascesa economica e sociale del lavoratori. Siamo nel 63, poi negli anni 70 verrà lo statuto dei lavoratori etc… Quelle battaglie oggi rischiano di scomparire, noi stessi, quando parliamo di lavoro? Possiamo parlare di tutto, ma il lavoro è nella nostra stessa sigla ed il lavoro ha bisogno di essere rimesso al centro.  

In un tempo in cui la maggior parte dei soci è pensionata, come facciamo a far sentire le Acli come una casa per i giovani? Come tradurre oggi questo segno dei tempi? In un tempo in cui sempre più si fanno parti uguali tra diseguali? 

Se leggete la bella ricerca delle Acli nazionali sul lavoro povero, fa impressione. 15% dei giovani è in povertà assoluta. Cosa significa riprendere questo segno dei tempi per una associazione che fa del lavoro la sua mission?

Secondo segno dei tempi, l’ingresso della donna nella vita pubblica. Anche qui, dopo anni 70, basta vedere il basso quoziente di donne… C’è un problema serio, le lavoratrici hanno redditi inferiori e rappresentano la parte povera del paese. E vale anche per la Chiesa. Diciamolo sottovoce ma dobbiamo dirlo, non credo che qualche passo avanti coraggioso di Papa Francesco sia sufficiente, manca ancora un reale riconoscimento della donna nella chiesa…

Terzo segno dei tempi, il sorgere di comunità politiche indipendenti. Allora erano i processi di decolonizzazione. Quello portò ai diritti umani, alle costituzioni di diversi paesi. Io oggi la leggo nella logica della nostra fedeltà alla politica. Cosa è oggi essere fedeli alla democrazia? La maggior parte dei paesi al mondo oggi non è democratica. C’è l’affermarsi di democrature. Noi che abbiamo a cuore la politica, che vediamo questi continui segnali in cui andiamo verso forme sempre più spedite che riducono gli spazi reali di partecipazione, in nome della semplificazione, cosa possiamo fare? 

Alla fine l’enciclica mette azioni concrete. La centralità del disarmo. Qui si apre una autostrada per noi delle Acli. Reagendo alla tendenza dell’aumento alla corsa agli armamenti. Si investono soldi, ma pochissimo in salute, istruzione, diritti di tutti. Dopo la pandemia c’è stato un aumento di spesa militare in tutto il mondo e in tutta Europa, 7% nel nostro paese, con la retorica che bisogna portare la spesa militare al 2% del PIL, che secondo molti è la soglia minima. Che se non lo facciamo saremo i Pierini della Nato, si dice. Peccato che si sta discutendo di un target non vincolante, mentre ci sono altri campi vincolanti in cui l’Italia è ultima in Europa ma questo non interessa a nessuno. Siamo ultimi in istruzione, 4° per incidenza della povertà. Oltre ad essere inadempienti sul target della spesa in cooperazione e sullo stop ai sussidi fonti fossili. 

A 1 km da qui è sepolto Turoldo, è stato un maestro anche da vivo, non solo da morto. Molte Acli mi hanno chiamato a parlare di lui. Ha speso la vita per la pace. 

La specificità delle Acli parrebbe quella di non avere specificità -

Tra religione e organizzazione  Il caso delle Acli – A cura di Ilvo Diamanti e Enzo Pace Pubblicazioni della facoltà di scienze politiche de...