Come vivere insieme? - Giovanni Caudo


Come vivere insieme? – Giovanni Caudo  

Urbanista, già presidente di Municipio a Roma, responsabile del pnrr romano.

Il punto di domanda di fondo è: come vivere insieme?
La biennale di Venezia quest’anno aveva il titolo: come vivremo insieme?
E’ un tema trasversale. Perchè ci facciamo questa domanda? 40 anni, 80 anni fa ce la saremmo fatta questa domanda?  E’ successa una epopea da 40, 80 anni fa.   Dal 31 al 61 ad oggi siamo passati da 1 milione a 2 milioni a 3 milioni di abitanti. Anche negli altri passaggi c’erano quantità di persone diverse. Eppure il tema non si poneva. C’era una modalità di organizzarsi della società che, anche fisicamente, dava risposte a queste esigenze di stare insieme. A partire dal diritto alla casa. Le lotte anni 70. C’era una costruzione collettiva della possibilità condivisa di abitare uno spazio insieme. Oggi è venuto a mancare questo presupposto.

Questo ha a che fare con la famiglia. Facciamo bene a fare tanta retorica sulla famiglia, ma quando si è soli, si è soli anche in famiglia. “Come vivere insieme?” è la domanda che oggi attraversa tutto, anche il nucleo più piccolo. Ciò che vediamo nella società è lo specchio reso fisico di come viviamo. Le città non esistono in natura, sono manifestazione antropica e sono la cosa più complessa che l’uomo ha messo al mondo. Guardando la città vediamo come viviamo, ci vediamo allo specchio. 

“Come vivere insieme?” è la domanda di questo tempo e riguarda tutte le scale. Dalla famiglia, al vicinato, ai gruppi, alla città nella sua interezza. Abbiamo bisogno di una agency che costruisca le possibilità di abitare insieme lo spazio. Perché non è più qualcosa che è dato per scontato. Prima era dato per scontato che mettendo assieme le persone queste avrebbero trovato una formula per stare assieme, oggi non è così. Prima esistevano grandi visioni che si confrontavano ed in cui l'esperienza si inseriva, oggi non è più così. 

Gli esempi di solitudine, potrei raccontare tante cose di quando ero Presidente di Municipio ed una volta al mese facevo ascolto degli abitanti del mio municipio. Signora della mia età, 56 anni, che scopriamo a seguito di piccolo incidente (perché pioveva acqua in un atrio di case popolari). Scopriamo che aveva stipato nel mobile, in modo ossessivo, uno strato di carta, uno strato di plastica, uno di bottiglie, via via fino a 80 cm dal soffitto. Con una sorta di barbonismo domestico in usciva di notte per lavarsi alla fontana della casa popolare. La domanda è: perché succede? L’Acea stacca la luce senza porsi il tema di se c’è qualcuno dentro. L’amministrazione comunale non ha antenne per sapere se dove stanno staccando ci vive qualcuno. La Asl ha bussato una volta, nessuno ha risposto…. Ci si è fermati lì. I vicini, essendo occupanti abusivi, per non autodenunciarsi non si interfacciano con le istituzioni... Insomma, esistono n istituzioni, in quel palazzo vivono n persone, ma si è comunque soli. 

Il tema di come vivere insieme ha a che fare con una condizione contemporanea in cui le istituzioni fanno fatica a trovare soluzioni. Quando non c’erano telefonini, sui mezzi pubblici si incrociava lo sguardo. Oggi è quasi impossibile incrociare lo sguardo di qualcuno su un mezzo pubblico. La prossimità oggi non è ciò che ti sta vicino. Il prossimo è quello con cui si sta parlando con il telefono. La questione della prossimità si pone in modo del tutto diverso da prima. Se vivere insieme non è scontato. Vivere la condizione urbana è sempre più complicato e difficile. Difficoltà di muoversi, di trovare il tempo libero, di trovare soddisfazione, di trovare i servizi… 

Questa difficoltà di avere una visione e di percepire il futuro, si monta con l’esigenza di dover vivere in una condizione in cui il prossimo non è quello fisico ma è quello collocato chissà dove e quello vicino a te fisicamente può esserti totalmente estraneo e lontano. Di fatto bisogna che l’amministrazione e il modo con cui concepiamo la città assuma il compito di rispondere in concreto a questa domanda e non la lasci tutta solo sulle spalle delle persone. 

La scuola. Possiamo pensare la scuola come un servizio scolastico. Nello stesso tempo possiamo immaginare che il servizio scolastico non siano le aule. Cosa è il concetto di comunità educante? Un conto è offrire il servizio scolastico, un conto è un’amministrazione che si fa carico di facilitare una comunità educante in un contesto scolastico. Questo è un esempio.  Il modo in cui il servizio viene costruito, con o senza la partecipazione degli stessi abitanti e delle associazioni, fa la differenza. Perché la partecipazione costruisce quella possibilità di vivere insieme che altrimenti non ci sarebbe e costruire la possibilità di vivere insieme è il tema. L'amministrazione che offre, anche bene, un singolo servizio, non risponde più alla domanda, non arriva al livello minimo di ciò che serve. 

Una delle questioni più chiare emerse dopo il covid è che c’è una vera epidemia, che è la salute mentale, soprattutto nei ragazzi giovani. Storie concrete di persone in carne ed ossa. Di queste persone non si occupa nessuno. La scuola dà un servizio scolastico ma non riesce a stare su altro. Il servizio di salute mentale comincia appena ora ad accorgersi ora di queste cose ma non ha le forze per farsene carico… Nell’area di Modena una ricerca dice che gli accessi ai servizi di salute mentale sono aumentati del 300%. In che modo questo malessere segnala questa difficoltà di vivere insieme? In che modo segnala la difficoltà di ricongiungere l'esperienza fisica del corpo con le nostre relazioni? 
Io non credo alla città dei 15 minuti a Roma, perché in 15 minuti a Roma al massimo arrivi alla macchina. Ma il punto è tradurre la prossimità fisica in possibilità di relazione. Si deve offrire le occasioni per rompere il ghiaccio e fare in modo che la prossimità fisica possa diventare… 

come si fa? Come si è sempre fatto….Quel santuomo di Papa Francesco, non è un caso che nella Evangeli Gaudium abbia dedicato un intero capitolo alle culture urbane. Vedete da dove viene Papa Francesco, viene da un barrio in Argentina. E’ una ricetta vecchia, ma è la ricetta che possiamo mettere in campo, consapevoli dei cambiamenti anche in nuove modalità. La prossimità o diventa anche prossimità fisica o non riusciamo a vivere insieme.  Che vuol dire: costruiamo luoghi ed opportunità concrete di incontro, oppure la perdiamo.  Così come nella casa non devi prescrivere ma devi trovare l’occasione per rompere il modo “ognuno nella sua stanza”,  così nella città hai bisogno di trovare l’engagment per ridurre la distanza e per far diventare lo spazio di prossimità fisico, opportunità di relazione. 

Le istituzioni? Devono essere soggetti che attivano possibilità di partecipazione. Mettiamo questo criterio al centro delle scelte che facciamo: ciò che facciamo o che vogliamo fare attiva relazioni? Che tipo di relazioni porta in campo? Si riduce la distanza? Chi amministra la città non può più pensare di guardare alla città dal punto di vista della stanza dei bottoni. Non funziona più così. Chi amministra la città deve porsi il tema della presenza comune, fisica, nella città. Ce lo insegnano le esperienze di luoghi in cui i processi sono ancora più estremi che da noi. Sono stato a New York, sono andato a vedere un bando pubblico che ha selezionato 8 progetti che provano a declinare come lo spazio pubblico possa curare il disagio e il malessere mentale.  Lì le condizioni sono più al limite che qui. Ma noi siamo sullo stesso crinale. O ritroviamo il senso del corpo dentro lo spazio oppure anche noi siamo rassegnati a perdere la scommessa di riuscire a vivere insieme. Non è una questione culturale. E’ una questione esperienziale. Abbiamo bisogno di ricomporre, nelle esperienze, la prossimità emotiva, affettiva, sociale, con la prossimità fisica e di facilitare le occasioni per metterci assieme. Più diventa difficile farlo, più è segno che ce n'è bisogno. 

Per farlo abbiamo bisogno di alleanze tra tutti e l’alleanza, come si diceva, è più della rete. 




Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...