70 ragazzi in vacanza dalla guerra


Le Acli nazionali e milanesi coinvolte in un progetto Caritas per ospitare giovani e giovanissimi in fuga, anche se solo temporanea, dalla guerra

Dal 16 al 26 agosto 70 ragazzi ed educatori ucraini sono stati accolti per una vacanza solidale a Vezza d'Oglio in alta Valcamonica, provincia di Brescia.

L'iniziativa è stata promossa, insieme ad altre due accoglienze (a Sondalo e Massa Marittima) da Caritas italiana in collaborazione con Caritas Ucraina e Caritas Spes.

L'esperienza a Vezza è stata presa in carico dalle Acli Nazionali e Milanesi ed ha visto il coinvolgimento di 27 volontari che si sono occupati dell'organizzazione, della pulizia, della cucina e dell'animazione. 

È stata una esperienza molto ricca e significativa per tutti quelli che hanno partecipato. 

Il tempo di preparazione, brevissimo, il periodo estivo e le vacanze già diversamente programmate da quasi tutti, avevano portato qualche timore nel momento della decisione. Riusciremo a trovare volontari? Riusciremo a organizzare tutto ciò che serve?

Ma non solo, le domande erano anche più profonde: riusciremo a pensare attività adatte a persone con un'altra lingua, un'altra cultura, che arrivano da un contesto di guerra, con età così differenti (i più piccoli erano sugli 8 anni, i più grandi sui 17)? Gli adolescenti, età preziosa e delicata, avranno voglia di partecipare e ci aiuteranno con i più piccoli o saranno in crisi più degli altri e avranno voglia solo di stare per conto loro?

E ancora: siamo sicuri che abbia senso far uscire dei ragazzi da un paese in guerra per dieci giorni per poi rimandarli lì? 

Le incertezze erano molte, ma ad un certo punto ha preso il sopravvento la sensazione che la proposta avesse senso. In fondo, ad altri l'arrivo della guerra aveva messo a rischio e sconvolto tutta l'esistenza. A noi era solo chiesto di rischiare e riprogrammare un'estate. Ciò che serviva in quel momento non era avere tutto chiaro.

In base a questo si è deciso che valeva la pena buttarsi, di scegliere alcuni punti fermi e poi il resto sarebbe venuto passo passo.

I punti fermi iniziali che sono stati intuiti come essenziali sono stati:

- volontari: non dovevamo cercare qualcuno interessato ad un lavoretto estivo. Dovevamo cercare volontari. Persone che venissero a dare gratuitamente il loro tempo. Per motivi economici, ovviamente. Ma anche perché solo un incontro tra persone con alta motivazione e precedenti esperienze simili avrebbe permesso di creare il clima necessario a reggere l'esperienza e a rivedere in corsa tutti i programmi in base a ciò che accadeva;

- comunità: con tutte le difficoltà di gestire i movimenti di un gruppo da 80 persone, con la necessità di momenti di sottogruppi, di squadre, etc., ma l'idea di fondo era che dovesse essere un'esperienza organizzata, in cui si sta assieme, tra attività, giochi, laboratori, gite... Un mix tra un campo scout, un'animazione di Terre Libertà, un gemellaggio del Sorriso per la Bosnia in un campo profughi sloveno e una esperienza parrocchiale estiva con adolescenti. Ognuno ha pescato i propri riferimenti e le proprie competenze pregresse per costruire il puzzle;

- comunità anche nel senso di pensare al rapporto con il gruppo dei ragazzi ucraini come qualcosa di non privato. Assumendo l'impegno di condividere la possibilità di incontro, essendo mediatori e facilitatori del rapporto tra il gruppo degli ucraini e la comunità locale di Vezza d'Oglio.

Ed infine, ultimo punto essenziale: chiedere aiuto. Riconoscere di non avere le forze per fare una cosa del genere ci ha messo in condizione di cercare persone che, in un moto di fiducia, potessero decidere di mettersi a disposizione, scommettendo su qualcosa che era molto poco chiaro e definitivo ma di cui si intuiva una potenzialità. 

Ciò che ne è uscito è stato qualcosa di realmente molto intenso e significativo per tutti. Per i ragazzi ucraini, per le educatrici di Caritas Ucraina, per i volontari italiani, per la comunità locale di Vezza d'Oglio ed anche per Acli e Caritas (che si sono trovate a sperimentare insieme, in un modo molto più pratico e concreto di tante altre volte). 

Ne è uscito un incontro. L'avvio di una relazione con i centri di Caritas in Ucraina che adesso sentiamo la voglia e la responsabilità di portare avanti, con azioni future uguali e diverse da questa.

Ne è uscita, per noi, una forma diversa di conoscenza di cosa è una guerra in Europa nel 2022. Dei suoi aspetti di violenza sottile e mentale, anche diversa da ciò che abitualmente abbiamo in mente.

Essere una ragazzina bionda, vestita in modo simile a tanti ragazzi italiani, con i capelli colorati e lo sguardo furbetto, sta assieme con il venire da una zona di guerra combattuta, aver passato settimane in un rifugio, essere uscita dalla città assediata con un corridoio umanitario ed essere ora sfollata in un'altra città.

Essere un giovane dinamico, che si fa i selfie sui social, che ascolta i Maneskin, sta assieme con l'essere orgoglioso del proprio Paese, ballarne i balli tradizionali, commuoversi pensando a chi combatte e a chi è lontano da casa. 

Essere un'educatrice solare, capace di entrare a ballare in mezzo al cerchio e coinvolgere altri allegramente, sta assieme con l'avere un marito al fronte, parenti vittime di guerra, essere sfollata e dover convivere con il dubbio di non essere una buona madre, per il fatto che si sceglie di restare e non di portare i figli al sicuro altrove. 

Per i ragazzi ucraini e per le operatrici Caritas ne è uscito (ce l'hanno detto in tutti i modi) la possibilità di rilassarsi, di abbassare le difese, di riprendere fiato. Sono persone che vogliono restare in Ucraina. Che non vogliono andare via. Di fronte al pericolo, finché possibile, cambiano città, ma restano all'interno del Paese. Ma la tensione della guerra è sottile e pesante. E dopo 6 mesi di guerra, di scelte sempre difficili da prendere, di tensione, di super lavoro, di fatica... questa vacanza in Italia è stato un modo per poter non pensare, per godersi panorami e tempi senza sirene. Per loro ha avuto senso. 

Sono state tante le riflessioni nate. Molte non previste in anticipo. 

Nell'organizzare al volo abbiamo coinvolto i figli ed alcuni dei volontari italiani erano 18enni. Da una scelta anche un po' casuale e contingente è nata una delle intuizioni più chiare per il futuro. Tra ragazzi la relazione scatta facilmente ed immediatamente e la curiosità di conoscere l'altro è un motore potente. Usare rudimenti di inglese e google traduttore per capirsi, per raccontarsi, per scambiarsi foto e musica viene spontaneo ed è il primo passo per poi parlare (con propri codici e modi) di guerra, di Europa e di altro...

Perché non pensare, per il futuro, a momenti di scambio tra ragazzi italiani ed ucraini coinvolgendo parrocchie, gruppi scout, scuole, circoli ed altro? 

Trovarsi tutti a dormire nello stesso posto, stare assieme a pelar patate, ad apparecchiare e fare giochi in mezzo ad un cerchio ha creato una sorta di rispecchiamento anche tra noi adulti. 

Siamo tutti operatori sociali, tutti persone che cercano di dare il proprio contributo per una comunità migliore e che al tempo stesso cercano di fare del proprio meglio con la famiglia, i figli, la vita privata non sempre facile... Non c'è nessun merito nell'essere nella parte in cui ci si trova. Nessuna certezza che le divisioni restino queste eternamente. Non ci sono ruoli di vittima e di persone solidali fissamente separati ed assegnati. Ognuno è chiamato a fare ciò che può, al meglio che può, nella situazione in cui è.

(Pubblicato su POP Acli - 9.2022) 

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