Esercizi di futuro, pensando alle Acli - Paola Villa


Acli bresciane. Ma il cielo è sempre più blu... 
Percorso formativo per pensare il futuro delle Acli e delle nostre comunità... 
terza tappa. Io, noi e le Acli. con Paola Villa. 

Siamo nel 2024 – Epoca di grandi trasformazioni. Quali sono i grandi cambiamenti sociali, antropologici, che attraversano il nostro vivere e che quindi impattano sulle nostre comunità e sul nostro fare ed essere Acli, oggi?

- La velocità. Il cambiamento c’è sempre stato. Oggi è molto più accelerato. Da cui il senso di spaesamento. Il bisogno di orientarsi. Di comprendere, di dare senso, di trovare un filo.

- La molteplicità delle opzioni. La personalizzazione delle offerte. La profilazione. Da cui il bisogno, continuo, di fare scelte. Da cui la necessità di essere aiutati ad orientarsi su queste scelte, di essere affiancati, di avere l’offerta di criteri per effettuare le scelte. E sostenere il peso che il fallimento porta nelle proprie vite (ho scelto io, quindi il fallimento è colpa mia). 

- La complessità. Non è solo la somma delle precedenti. E’ qualcosa di più. E’ la consapevolezza che tutto è connesso. Da cui che il nostro modo tradizionale di ragionare causa/effetto, una causa produce un effetto. Non regge più. Abbiamo la necessità di cambiare il modo di guardare alle cose. 

- Il futuro. Abbiamo  la fatica di trovare un modo nuovo di approcciarci al futuro. Da un lato tendiamo a pensare ancora linearmente. Se in passato c’è stato questo, in futuro ci sarà quest’altro. Per continuità o per frattura, ma facciamo derivare il futuro dal passato. Dall’altra abbiamo l’impressione che se tutto cambia, tutto ciò che c’era fino ad oggi crolla. Tutto, in automatico. Tutto ciò che c’era non vale più, tutto ciò che sarà è necessariamente un nuovo che parte da zero. 

Non si può prevedere il futuro. Ma si possono fare esercizi di futuro. Si può allenarsi a pensare che dal passato di ieri e dal presente di oggi partono moltissimi futuri possibili. Alcuni sono futuri più probabili, alcuni sono futuri più auspicabili, non necessariamente questi due concetti coincidono. Anzi. Ma per districarci dobbiamo tenere presenti entrambi. 

E soprattutto, in realtà a noi spetta, in questo scenario, un ulteriore scelta da compiere. Dobbiamo comprendere cosa, di ciò che è stato, ci serve ancora e dobbiamo preservarlo e cosa invece va cambiato. 

Allora, facciamo un piccolo passo indietro… 

1944/45/46 – Nascita delle Acli – 
Quali sono i grandi cambiamenti che attraversano quel periodo del vivere e che quindi impattano sulla nostra nascita come Acli? E sulla forma che hanno scelto in quel periodo le Acli? 

Guerra che sta finendo. Paese che (già durante la guerra) si sta attrezzando non solo per la resistenza armata, ma anche per porre le radici di una ripresa culturale e sociale. 

Si forma l’Assemblea Costituente. Con una alleanza larga. 
Si mettono le premesse per il formarsi di un sindacato unitario (a cui poi non si arriva).

Dall’altro c’è il grande timore di essere annullati. E’ l’epoca di don Camillo e Peppone. Di PCI e DC. Le Acli nascono, su iniziativa della Chiesa. Per provare ad occupare lo spazio del mondo del lavoro. Per entrare in rapporto con il mondo dei lavoratori. Che era tutto PCI. 

Da un lato c’è quindi un’istanza, fortissima, di mettersi assieme ad altri. Di creare spazi in cui tutti gli uomini (e donne) di buona volontà possano collaborare a creare le regole e gli spazi comuni. 

Dall’altra c’è l’istanza, altrettanto forte, di rafforzare la propria identità. Di un identità cattolica che, per stare in dialogo con altri, approfondisca e sviluppi se stessa.

La prima forma delle Acli è una capillarità territoriale:
-       Circoli (sul territorio, prevalentemente in parrocchia ma non solo)
- Nuclei (nei luoghi di lavoro, nuclei di fabbrica)
- Nuclei (in ospedali e sanatori) 
L’idea era la diffusione massima e presenza ovunque. Ma la prevalenza di circoli, rispetto ai nuclei, è qualcosa di attuale? No. Il circolo era, già da allora, il prevalente. Perché? Perché le fabbriche erano già occupate (dai sindacati e dalla sinistra in generale). Ma anche perché c’era un’idea di lavoratore come persona a 360gradi. Di persona che vive 24h al giorno. Non solo dentro la fabbrica. E quindi il territorio, la città, diventa il luogo principale di presenza e azione per le Acli. Un territorio che sta in mezzo tra fabbrica e campanile. Ma che è spazio civico. 

L’organizzazione interna delle Acli iniziali era una organizzazione per territorio, attraverso i circoli e le province, ma anche attraverso le associazioni di categorie (tabacchini, metalmeccanici, ferrovieri etc etc…). 

Successivamente nascono le associazioni di settore (sport, turismo, ricreazione…). Ma, per il diverso livello di importanza che si vuole dare, questa parte non ha peso in termini di democrazia interna, non davano accesso alla democrazia associativa. Nelle Acli delle origini, centrate sull’obiettivo di portare il Vangelo e la Chiesa e la capacità dei cattolici di organizzarsi, nel mondo del lavoro, la centralità era il mondo del lavoro. Il resto era contorno. 

1955. Quando finisce l’orizzonte del sindacato unitario, le Acli o accettano che sia finito il loro compito o si reinventano. E’ qui che Pennazzato colloca il suo discorso con le 3 fedeltà. La parola fedeltà oggi suona stantia. Ma sono i paletti identitari che hanno connotato anche il periodo successivo: 
- la fedeltà al lavoro (che allora era detta come fedeltà alla classe lavoratrice) era l’identità iniziale. Le Acli nascevano per quello. 
- la fedeltà al Vangelo (che allora era detta come fedeltà alla Chiesa) era la famiglia di provenienza. Erano i genitori. Chi ci aveva fatto nascere. Non siamo il frutto di un moto di un fondatore illuminato. Siamo frutto della scelta della Chiesa in quanto tale. 
- la fedeltà alla democrazia era in fondo qualcosa di nuovo. Era mettere le premesse per Acli che siano movimento sociale. Successivamente abbiamo declinato quell’essere movimento come movimento educativo. E recentemente stiamo riprendendo questo termine. Ma questo è stato un seme che ha posto le premesse di ciò che è stato dopo.

In fondo questa triplice fedeltà collocava le Acli su un crinale molto moderno. Il conflitto/rapporto tra democrazia e capitalismo. 

Nel frattempo i circoli avevano sviluppato tantissime attività. Che non erano, almeno all’inizio, altro dall’identità associativa. Segretariati sociali (che erano il corrispettivo delle case del popolo), formazione professionale, distribuzione di aiuti… I circoli, già da quegli anni, diventavano un sistema di welfare (anche se la parola viene dopo). Ma il discorso di Pennazzato indica come crinale questo snodo da tenere assieme: essere movimento e essere sistema di welfare. Non come due mandati separati, ma come due identità da tenere assieme. 

Sistema di welfare significa un insieme di iniziative, fatte per rispondere ai bisogni del territorio e dei lavoratori del territorio in primo luogo. Movimento democratico significa pensare che tutti i lavoratori (in forma non individuale, per questo attraverso i circoli) sono chiamati a partecipare alla definizione del il programma, alla direzione, a scegliere nelle sfide che questo movimento deve prendere. Da questo il complesso reticolo di congressi, assemblee, appuntamenti… a cui ogni 4 anni andiamo incontro…

Poi succede tanto altro… ma torniamo al presente, quali sono i grandi temi del presente? C’è qualcosa che è dirimente oggi e che si connette con il patrimonio che ci portiamo dietro noi da allora? 

- La democrazia è ancora un valore? La democrazia riesce ad essere efficace per promuovere diritti? La democrazia riesce a far partecipare o è diventata una retorica senza contenuto? I grandi scontri mondiali si collocano qui, oggi. 

- Il sistema di welfare, le iniziative che permettono di proteggere le persone nelle situazioni che attraversano durante la vita, creando un bilanciamento alla disuguaglianza, perché non dipendono dal reddito individuale, regge ancora? Se quelle pubbliche (intese come promosse e pagate e sostenute e gestite direttamente dal pubblico) arretrano, quelle private (di terzo settore e non) che ruolo hanno? 

- E’ i tema della partecipazione. Che anche la Chiesa italiana ha messo in luce in questo periodo: come promuovere azioni che mobilitino altri? Che attivino processi che vanno oltre noi? Che favoriscano la partecipazione e il protagonismo altrui? Si connette con la democrazia (che se non diventa più partecipata non funziona più) e con il sistema di welfare (che se non propone partecipazione ai soggetti che intercetta, resta indietro anche rispetto all’aziende profit). 

- Cosa vuol dire essere movimento, in un tempo in cui le grandi ideologie sono crollate e non esistono più partiti che si aggregano attorno alle idee? 

- Come è fatta l’azione sociale oggi? Di cosa si costituisce l’associarsi? Ci sono varie riflessioni. Una di queste mette in luce come di fondo conti molto più di un tempo il cosa si fa, come lo si fa, con chi lo si fa. L’esperienza che l’associarsi produce. Non sono sufficienti i fini, i valori, le motivazioni. Serve che il quotidiano dell’esperienza del fare sociale volontario motivi a continuare. Serve che produca almeno un po’ di felicità. Le ricerche dicono che non è un problema in sé la tessera. Ma la tessera non è più un valore in sé. Sono disponibile a fare la tessera se ne vale la pena. Può valerne la pena per tante cose diverse. Per gli sconti, per le convenzioni, perché mi dà accesso ad un’offerta o ad un’esperienza interessante, perché mi piace il gruppo… 

- Postura territoriale. Vale per chi, come me, guarda ai territori a partire dal nazionale. Ma vale anche per chi, come alcuni di voi qui, guardano ai territori a partire dal provinciale. Non funziona più l’idea di una unica azione progettata al centro e realizzata identica nei diversi luoghi. Funziona l’idea di una pista di lavoro attorno al quale ci si si muove e ognuno la personalizza e definisce e adatta in base al proprio territorio. 

In tutto questo a che punto siamo? 
Rileggiamo il nostro quotidiano alla luce di queste sollecitazioni, partendo da 4 "situazioni tipo" e provando a capire cosa ci viene in mente, pensando assieme, per affrontarle. 

Brescia - 11 marzo 2024

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