Profughi - Zagajewski

In attesa di trovare le parole per ricostruire il filo.
Ci si appoggia alla poesia.

"Curvi sotto pesi che a volte
si vedono a volte no,
si trascinano tra fango o sabbie del deserto,
ingobbiti, affamati,
uomini silenziosi in giacche pesanti,
vestiti per le quattro stagioni,
donne vecchie con visi accartocciati,
stringono in mano – un bimbo, la lampada
di famiglia, l’ultima forma di pane?
Potrebbe essere la Bosnia oggi,
la Polonia nel settembre del ’39, la Francia
otto mesi dopo, la Germania nel ’45,
la Somalia, l’Afghanistan, l’Egitto.
C’è sempre un carro o almeno una carriola
piena di tesori (una coperta, una tazza d’argento,
un residuo sentore di casa),
un’auto a secco abbandonata in un fosso,
un cavallo (presto abbandonato), neve, molta neve,
troppa neve, troppo sole, troppa pioggia,
e sempre quell’andatura speciale,
quasi protesi verso un altro pianeta, migliore,
con generali meno ambiziosi,
meno neve, meno vento, meno cannoni
meno Storia (ma quel pianeta non
esiste, c’è solo l’andatura).
Trascinando i piedi,
si muovono lenti, molto lenti
verso la patria di nessun dove,
e la città di nessuno
sul fiume del mai".

Zagajewski - poeta polacco nato a Leopoli/Lviv

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...