Capacità negativa


"La complessità porta con sè incertezza, ambiguità, trade off difficili da gestire. Si tratta di condizioni che non favoriscono i decisori. E' più semplice agire come se la complessità non esistesse, proponendo soluzioni semplici e semplicistiche, facilmente attuabili e comprensibili da tutti". O quasi, aggiungo io. E in quel quasi credo ci passi una parte del problema che oggi abbiamo nella gestione della pandemia. 

Nei primi mesi di emergenza la situazione imponeva di provare a governare gli effetti immediatamente visibili e di breve periodo. L'azione di governo si è quindi naturalmente concentrata sugli aspetti sanitari, provando a contenere i decessi e poi sugli aspetti economici, elargendo ristori per bilanciare le perdite. Ma nel frattempo il tempo è passato e la complessità della realtà è risultata sempre più evidente. "Ridurre la complessità significa rinunciare a gestire il complesso bilanciamento tra gli aspetti, schermandosi dietro il parere di esperti". "Se si coinvolgono virologhi ed epidemiologi nelle decisioni politiche il loro punto di vista e la loro consapevolezza della situazione saranno naturalmente sbilanciati verso uno dei poli del trade off, nel caso specifico la salguardia della salute umana. Viceversa, se si coinvolgessero nella decisione economisti, psicologi, sociologi, imprenditori... per loro natura sarebbero portati a considerare in maniera dominante gli impatti delle scelte politiche sulla tenuta economica del Paese e sulle ripercussioni sociali e psicologiche delle persone".  Ridurre la complessità puntando ad un unico obiettivo semplifica certamente l'azione di governo ma crea effetti esponenziali sulle variabili che si è scelto di non considerare. 

Tra chi obietta alle modalità di gestione della pandemia probabilmente c'è chi è in mala fede, chi è particolarmente e irrazionalmente spaventato, ma credo ci sia anche chi in realtà ha una comprensione maggiore della media della complessità del presente e fatica ad accettare il ragionamento eccessivamente riduzionista ed estremamente semplificato che si tende a presentare. 

Uno dei fondamenti per stare nella complessità è allenarsi a "pensare bene" che vuol dire, tra le altre cose, riconoscere i limiti della conoscenza e resistere alla tendenza di conformarsi all'idea dominante. Non si tratta di cercare protagonismo a tutti i costi facendo il "bastian contrario". Si tratta di riconoscere che il dubbio non è nemico della scienza. Il dubbio è fonte di conoscenza. In fondo Edgar Morin diceva "L'unica conoscenza che valga è quella che si alimenta d'incertezza e il solo pensiero che vive è quello che si mantiene alla temperatura della propria distruzione". Difendere le scelte politiche contingenti, assunte oggi in virtù di una difesa della "verità assoluta ed universale" dell'approccio scientifico è un paradosso. Lo era già in tempi passati, lo è ancora maggiormente oggi, in tempo di complessità. La complessità del presente richiede il rapportarsi con diverse verità contestuali

Dal momento che è passato un po' di tempo, oggi è possibile dirci che molte delle misure antiterroristiche adottate negli aeroporti dopo il 2001 non diminuivano realmente la minaccia estremistica ma servivano da "messa in scena" per rassicurare e dare l'impressione che le autorità stessero facendo qualcosa (la fonte non sono io, è un tal Bruce Schneier, esperto di sicurezza degli Stati Uniti, citato nel libro). Ma i ceck in sono restati in tutti gli aeroporti e stazioni, così come sono restati i blocchi di cemento all'entrata dei mercati rionali. Probabilmente in quel momento non c'era alternativa a ciò che è stato messo in campo. Ma almeno oggi possiamo riconoscere che spesso perdiamo la capacità di registrare che cosa sta avvenendo perchè siamo accecati dall'obiettivo che vogliamo ottenere. 

Per vivere nella complessità è necessario coltivare ciò che viene chiamato ridondanza cognitiva, ossia la capacità di farsi le domande giuste, riuscendo a cambiare prospettiva per osservare la situazione da punti di vista differenti. Ed è qualcosa che riusciamo a mettere in campo quando ci serve, solo se l'abbiamo precedentemente allenato. 

Per governare la complessità abbiamo bisogno di complessificare il pensiero, ricercare il confronto ed il diverso, aspettarsi l'inaspettato, uscire dai confini del sapere specialistico, farsi domande nuove, non accontenterei delle solite risposte. le nostre azioni sono guidate da ciò che riusciamo ad immaginare. Essere in grado di generare diverse opzioni di mondo, diverse alternative di realtà è il modo di approcciarsi al futuro. Non più pianificare una modalità per arrivare al punto x. Ma ampliare i nostri modelli mentali per attivare ed appliare il circolo di apprendimento continuo. La realtà è talmente mutevole da non essere meccanicamente prevedibile. Ogni sforzo in questo senso è vano. Non si tratta di prevedere il futuro, ma di allenarsi ai diversi futuri possibili. Ampliare la nostra capacità di complessificare il pensiero e ampliare l'abilità di visualizzare il maggior numero di futuri possibili. Questo ci rende più pronti a ciò che verrà. Non perchè azzeccheremo di più l previsioni, ma perchè ridurrà la probabilità di restare sorpresi ed immobilizzati di fronte agli eventi e ed agli effetti negativi delle nostre stesse azioni e decisioni. 

Demonizzare chi la pensa diversamente, deriderlo, non è eticamente sbagliato nei suoi confronti. E' egoisticamente sbagliato nei confronti di noi stessi. Il confronto collaborativo con persone ed idee diverse ha una valenza di arricchimento cognitivo ed emozionale. Ma non avviene in automatico. Se la discussione è orientata a vedere chi ha ragione o a ribadire chi dei due detiene maggiore potere, il miracolo dell'arricchimento cognitivo non si compie. Per attivare il circolo di apprendimento abbiamo bisogno di reale apertura verso gli altri, includendo i loro saperi, le loro esperienze, la loro diversità. Abbiamo bisogno di essere capaci di costruire contesti in cui lo scambio possa avvenire. 

Può essere questo uno dei mestieri della società civile, oggi? Può essere uno dei compiti trasversali dell'associarsi? E' ancora possibile che questo sia un compito degli "intellettuali"? 

Noi siamo essenzialmente dei costruttori di certezze. Affrontiamo l'ignoto riducendolo al noto. Questo è ciò che spesso mi pare accada, da entrambe le parti del "fronte". Incertezza, precarietà e ambiguità invece sono ineliminabili. Abbiamo bisogno di allenarci a tollerarne la presenza, senza cadere in ansia o sequestro emotivo.  Altrimenti siiamo talmente preda di forti emozioni che queste finiscono per prendere il controllo della nostra attenzione. Il risultato è che ci fissiamo su ciò che ci turba dimenticando tutto il resto" (Goleman). Questo è ciò che viene chiamato capacità negativa. Ed è un'altra cosa che ci serve in questi tempi. 










 

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

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