Aree interne vuol dire postura territoriale





Il tema delle aree interne ha a che fare con il tema delle periferie. 

In Italia non si usa il termine periferie, per indicare le aree interne. Ma a livello europeo si usa un termine che è periferie inner. In italia si parla semmai di territori marginali rurali.  Perchè è interessante usare il criterio di area interna? Perchè esiste il problema dello stigma della definizione. Per molti anni si sono chiamate aree marginali. Ma marginale rimandava a marginalità. Alcuni politici hanno spinto per definirsi marginali o sottosviluppati. Il polesine (delta del po, area interna anche se sotto il livello del mare, tenuto asciutto con le idrovore, dopo l’ultima bonifica del fascismo) ha fatto carte false per rientrare in una legge di finanziamento del mezzogiorno negli anni 70. La marginalità è uno stigma, ma quando c'è una politica pubblica che attiva un finanziamento, la politica locale si attiva e dello stigma se ne fa una ragione. 

Area interna è stato un tentativo di definizione neutra, anche se non immediatamente intellegibile. Periferico non è solo la periferia della grande città,  periferico è tutto ciò che è periferializzato dai processi di innovazione. Quindi anche, forse soprattutto, le aree interne. 

Aree interne e periferie delle grandi città condividono l'essere periferia. Ma ci sono differenze sostanziali tra periferie urbane e aree interne:
  • c’è un tipo di economia diversa. Le aree urbane sono più industriali e sul terziario. Le aree interne sono più rurali. Anche se ora c’è anche un tessuto urbano rurale.
  • il tessuto sociale nelle aree interne è connotato da più relazioni, ci si saluta di più, ci si conosce di più, si va più piano. C’è un mito della comunità come cosa positiva. Non è detto che sia sempre reale. Ma nella area interna c’è una connotazione maggiormente di comunità. Con i pregi e difetti della comunità. 
  • tra periferia urbana e area interna c’è una presenza di classi socio economiche differenti. Nella periferia urbana ci sono prevalentemente stranieri, a basso reddito. Nella zona isolata per abitare devi avere una casa di proprietà ed una macchina. Nell’area urbana ci sono anche abitazioni in affitto, case popolari… 
  • Le forme della povertà sono diverse. E' diverso il peso della povertà relativa. Nella periferia urbana c'è maggiormente povertà, nella periferia interna c'è una situazione più interclassista. Ci sono ceti sociali diversi anche affiancati. 
  • Struttura demografica. Il tasso di persone anziane nelle aree interne è molto molto alto. I demografi dicono che se superi il 30% di popolazione anziana, se non arriva qualcuno da fuori si deperisce fino a diventare residuali. Ci sono parti delle aree interne hanno anche più del 35% di popolazione anziana. 
  • Disagio: il tipo di disagio è differente. Nelle aree interne è difficile individuare le soglie di sostenibilità per i servizi, perchè non c’è massa critica. E’ complesso organizzare la mobilità delle persone per raggiungere i servizi. Ma il rapporto tra uomo ed ambiente è positivo, c’è un rapporto numerico tra superficie e persone molto ragionevole. 
Altra cosa che caratterizza in modo diverso periferia urbana e periferia inner sono le politiche. E’ vero che esiste la SNAI (Strategia nazionale delle aree interne) che si occupa di questi territori, ma è una eccezione nelle politiche territoriali di sviluppo in Europa. Tutte le politiche hanno sempre in mente la città. Quando parliamo di povertà, di esclusione, di diritto alla casa… Di fronte alle risorse scarse un politico e un amministratore se devono investire soldi scegliendo tra periferia urbana degradata e paesini con poche persone, sceglie sempre la periferia urbana. E’ inevitabile che sia così, ma in realtà il tema delle aree interne è una urgenza, rispetto al cosa sarà il nostro paese tra 20 anni. Se è vero che le aree interne potrebbero diventare appetibili per motivi climatici, se è vero che esistono sempre più giovani che si reinventano la vita in queste aree, si potrebbe avere una nuova dinamica di sviluppo in questi territori. 

Infine c’è un elemento che accomuna le periferie urbane e le aree interne. Ed è un elemento che ha più a che fare con la politica che con le politiche. Oggi va molto di moda parlarne, ma fino a qualche anno fa i politologi dicevano che la dimensione territoriale non contava niente nella determinazione dell’orientamento politico. Semplificando le espressioni di voto in centro destra, centro sinistra e 5stelle. E rapportando questi dati con la classe di ampiezza dei comuni, si notano dei fenomeni che sono interessanti perchè non coinvolgono solo l’Italia e perchè superano una concezione diffusa (concezione che considera la contrapposizione tra città con orientamento a sinistra e provincia con orientamento a destra). Leggendo l’immagine che emerge da questa analisi infatti vediamo che il centro delle grandi città va a sinistra, mentre periferia ed aree interne vanno a destra. Il dato politico quindi è che le periferie (sia urbane che interne) sono soggette ad un fenomeno che stiamo chiamando deriva autoritaria. Sono soggette ad un emergere di domanda di comunità chiusa, di rigetto della diversità, di ricerca della omogeneità, di rabbia verso gli esperti e l’elite, di richiesta di autorità in grado di stigmatizzare i comportamenti devianti.  Per questa ragione oggi, il tema delle periferie (interne e urbane) sta entrando nel dibattito pubblico.

L'impressione, a fronte di questo tipo di lavoro, è che la domanda profonda delle aree interne sia di riconoscimento. Che la rabbia nei confronti dello straniero origini da un "riconosci persino loro, perchè non riconosci me" indirizzato alla politica. Che non ha politiche per le aree interne. E che, anche culturalmente, considera arretrato e "da civilizzare" tutto ciò che non è città. 
  
La definizione di area interna è una definizione molto particolare. Voi come provereste a misurare le diseguaglianze? Ci sono molti diversi modi di studiare le diseguaglianze. Uno è quello di guardare alle diseguaglianze sociali, di reddito, di disponibilità… studiare le diseguaglianze territoriali è un’altra cosa. C’è una diseguaglianza territoriale quando le condizioni aggregate delle persone che vivono in quel territorio sono complessivamente diverse rispetto a quelle che vivono in un altro territorio. Storicamente la marginalità territoriali sono sempre state misurate con criteri economici. C’è sempre stato un assunto in tutte le politiche di sviluppo: se bisogna intervenire in area di sottosviluppo, va fatto portando lavoro, facendo impresa e quindi la priorità è produrre ricchezza. I servizi arriveranno dopo. Il problema è che i servizi  poi non arrivano. Quindi, per definire le aree interne, abbiamo fatto una operazione culturale. Abbiamo iniziato a misurare queste aree interne non in base ai valori economici ma in base ai diritti di cittadinanza. Persone che hanno più diritti di cittadinanza o meno diritti di cittadinanza. L’idea è quella di misurare il divario civile. Nel nostro paese esistono persone che hanno più possibilità di accedere ai servizi e persone con meno possibilità di accedere ai servizi, non in base al reddito individuale, ma su base territoriale. In questo modo abbiamo detto che ci sono interi comuni caratterizzati da perifericità spaziale, rispetto ai poli dei servizi. 

Abbiamo detto che non ci convince la sola dimensione nord/sud. Perchè il nostro Paese è articolato e politicentrico. L’Italia è un paese che ha tanti centri, non è un paese come la Francia, che ha Parigi e poco altro. L’Italia è il paese dei tanti campanili, delle tante città medie, dove gravita la vita civile e la vita sociale. La rappresentanzione nord/sud non aiuta ad aggredire le diseguaglianze. Esistono tanti sud nel nord e tanti nord nel sud. I poli sono comuni o sistemi intercomunali presenza di: offerta scolastica, mobilità, sanità.  Più ci si mette per raggiungere i poli, più l’area è interna. Con il metodo dei quintili abbiamo diviso il tempo per raggiungere i poli: 20-40 minuti sono aree intermedie. Superiori ai 40 sono periferiche. Oltre i 75 minuti sono ultraperiferiche. A questo punto abbiamo preso Google, abbiamo preso il Catalogo Acli, abbiamo messo al lavoro due statistici e comune per comune abbiamo prodotto la mappa. 
Il rapporto tra concetto di divario civile e l'indicatore distanza è molto indiretto. É un modo indiretto dire che chi sta in un luogo ultraperiferico ha meno diritti. Ma serve per produrre mappa non accademica, con capacità euristica, che permette di confrontare i territori.  Poi c’è stato il confronto. La Sardegna ci ha detto: da noi dovevate considerare gli hub dei pullman. Benissimo, abbiamo preso il pullman come riferimento e ricalcolato.

Tutto questo serve a trasmettere contenuti sul piano politico. Il criterio della distanza è efficace perchè possiamo tradurlo in tantissime storie di vita. Persone che per andare a scuola prendono il pullman alle 5.15 del mattino, poi tornano e fanno lo stesso al ritorno. Per la scuola superiore. Immaginate che forza resta, dopo 5 ore di pullman su stradine, per imparare. O che voglia viene, di continuare a studiare, in chi già fa fatica. Chi arriva alla fine lì vuol dire che è un fenomeno. Gli altri però restano indietro. Stessa cosa si traduce in donne che nel periodo verso il termine della gravidanza, abitando molto lontano, vanno in ospedale giorni prima, per evitare di partorire in macchina. O il sindaco di un paese, che per venire a Roma alle riunioni si alzava alle 3 per raggiungere l’aeroporto e poi essere a Roma alle 10.30 di mattina. Il dato accademico magari era indiretto. Ma è stato un indicatore in grado di entrare nel sentimento delle persone. Ha toccato la pancia. In questo è stato efficace. Non ha guardato il dato economico, ma la difficoltà di accedere ai servizi.

Con il Governo Monti nasce questo ministero, dove un ministro si dà una missione che riguarda l’art. 3 della costituzione: tutti i cittadini devono poter avere garantiti gli stessi diritti, indipendentemente da…Si è deciso quindi che una persona per avere le stesse possibilità deve avere: istruzione, mobilità pubblica e accesso alla salute. Dopo una serie di riunioni, si è visto che queste tre traduzioni empiriche erano le 3 soluzioni migliori (di compromesso) per fare una mappatura su scala nazionale. Avremmo potuto prendere in esame il casello autostradale, ma saremmo andati sulla  mobilità privata. Quella mobilità non la garantisce lo Stato. Lo Stato dovrebbe garantire, anche a non ha mobilità privata, la possibilità almeno di fare le cose essenziali per vivere. E’ evidentemente un compromesso. E non è facile scegliere. Ma è stata la scelta più convincente. Così è nata la SNAI. La SNAI esiste ancora, io oggi ne faccio parte a titolo gratuito, la strategia è ancora in fase di attuazione. 

Cosa viene fuori dalla mappa? Emerge una Italia molto frastagliata. Esiste un divario nord/sud. Con un sud con aree interne molto rilevanti. Ed un nord policentrico. Ma tutto molto a mappa di leopardo. Molti centri e molte periferie. Ed alcuni errori. C’è un errore che spicca. C'è una area interna che non ha tutti i criteri di internità. Nel nostro modo di identificare i servizi il Trentino Alto Adige risulta periferico, ma non è periferico. A questo punto quindi siamo andati sui territori, per raddrizzare il tiro. Non siamo andati con un approccio: noi abbiamo fatto la mappa, sappiamo tutto. Siamo andati a confronto su molte problematiche. Ed il confronto è stato molto proficuo. Alla fine emerge che le aree interne sono il 70% del territorio con il 22% della popolazione. 

Poi andati su territori per raddrizzare il tiro. Non abbiamo avuto approccio noi abbiamo fatto mappa. Siamo andati e confrontati su molte problematiche. In queste aree interne sono il 22% della popolazione e 70% territorio. E abbiamo suddiviso in Comuni Polo, Comuni cintura e comuni intermedi e Comuni interni. Nel confronto qualcuno ci ha fatto notare che abbiamo mappato anche parte del suolo urbano. Perchè c’è il fenomeno per cui le grandi città si stanno spopolando mentre le grandi cinture urbane vedono una urbanizzazione in crescita, senza servizi. La geografia classica sfugge a tutte le geografie utilizzate per le politiche di sviluppo. 

La scelta di questo indicatore ha aperto un contenzioso enorme con l’Unione Europea. Perchè volevamo usare soldi comunitari e i soldi della coesione sociale e territoriale, tramite le regioni. Ma quei fondi ragionano con criteri di divisione tra: aree competitive, area ad obiettivo convergenza e aree di ritardo. Noi però abbiamo detto all’Europa: guarda che questa classificazione è troppo rozza. Abbiamo bisogno di differenziare maggiormente. Non possiamo trattare Milano e un’area interna della Lombardia allo stesso modo. Da questo lavoro sono nate le 72 aree in cui la Strategia delle Aree Interne lavora. Sono aree che presentano anche differenze tra loro. Ma tutto sommato le aree interne hanno strutture demografiche, tipi di economia e identità materiali delle persone molto simili. Le aree interne rappresentano il vero collante dell’identità nazionale. Nelle metropoli si vedono le differente. Nelle aree interne c’è il punto di unità. L’esperienza ci ha detto che non è vero che con l’Europa non si può trattare. Con un inglese dignitoso e parlando con sicurezza e conoscenza della propria materia, si può. Anzi, questa può essere una occasione anche per l’Europa. Che non è stata felicissima di questo lavoro ma alla fine questo è entrato nell’accordo di parternariato Italia/Europa. Sono passati 5 governi. Ma non è stato possibile, finora, rivedere questa parte. Perchè se un criterio entra nell’accordo di parternariato, la politica da sola non riesce a modificarlo, serve quanto meno anche un grosso lavoro da parte dei tecnici. 

   

Pragmatici esercizi di umanità, spostamenti e trasformazioni.

La Bosnia. I profughi. L'Europa. La Bosnia é un luogo che non ha più voglia di presentarsi come "quella della guerra". 30 anni...