Animazione e comunità: come abbiamo fatto lavorare questi due concetti nelle aree interne


Animazione e comunità, come abbiamo fatto lavorare questi due concetti sulle aree interne

In queste aree abbiamo creato delle equipe chiamando dei progettisti che andavano sui territori e facevano attività di scouting. Cercavano soggetti con cui immaginarsi il futuro di questi territori. Noi guidavamo il processo di stimolo, ma il processo doveva essere costruito da amministratori locali, portatori di interessi e attori rilevanti. La teoria che sta dietro questa SNAI è che per fare sviluppo in questi territori bisogna portare visioni che aprono conflitti. E’ necessario che la gente dibatta (nella maniera che diceva Sen) e che costruisca visioni. Il dibattito è sempre stato acceso, perchè non nascondevamo nulla sotto il tappeto. 

In un’area con il 14% degli immigrati, se non c’era un immigrato presente chiedevamo: come mai non c'è nemmeno un immigrato? E poi proseguivamo: “Adesso parliamo, ma noi vogliamo la rappresentanza di tutti”. E lo dicevamo consapevoli che su questo loro si sarebbero scazzati. Ma chiedevamo. Sollevavamo i problemi: “Come mai oggi abbiamo individuato cose innovative e non ci sono?” “Come facciamo a costruire il futuro se c'è solo il sindaco?”. Cercavamo di introdurre elementi di conflitto e di rottura nella costruzione della visione locale. Con l’idea che le politiche di sviluppo vanno fatte con la logica stakeholder. Spesso chi è al tavolo e rappresenta sono agenti estrattivi. Intermediano le risorse pubbliche per mantenere il consenso del territorio. Non hanno interesse a cambiare. Hanno interesse a governare una sorta di declino. Chiamiamo persone che fanno nascere dibattiti forti. Agiamo in una logica di decostruzione della comunità. Di svelamento. Abbiamo disvelato il fatto che non è che se c'è forte appartenenza di un gruppo, allora tutti gli abitanti condividono quello stesso senso di appartenenza territoriale. Abbiamo notato che chi abita da poco (neo rurali) fa scelte differenti da chi è sul luogo da molto. Abbiamo fatto emergere le visioni e abbiamo iniziato a farle confliggere.  Quante visioni di sviluppo ci sono sul territorio? Sentivamo di dover far confliggere queste visioni, in modo governato. 

Per fortuna in questa politica c'è stata l’idea di uno Stato che si mette a dispozione del territorio, che innesta dinamiche e cerca di ricomporle. In un modo anche molto difficile e molto stancante. L’animazione può essere l’attivazione di risorse che stanno sul territorio. L’attivazione di  risorse palesi ma anche di risorse latenti. L’attivazione che può produrre discontinuità e conflitto. Con l’idea che sia possibile ricomporre il tutto in una strategia. Non necessariamente in modo del tutto consensuale. Ma ricomposto. 

Un tema posto è stato: come fanno tutti (rientranti, giovani emigrati…) se vogliono ritornare, come fanno ad accedere alla terra? Se voi non siete figli di contadini, ma avete una grandissima passione che volete provare a seguire, arrivate in un posto ed iniziate a cercare la terra. Nessuno ve la vuole né vendere né affittare. Perchè c’è un grandissimo feticismo proprietario. Siccome era del bisnonno, io la tengo. Non importa che resti incolto. Ma resta in onore al bisnonno. Meglio incolto ma mio, piuttosto che rigenerato ma dato a qualcun altro.  Con il passare delle generazioni, questo produce una grandissima frammentazione fondiaria. Significa che immaginate questa stanza come una campo, divisa in 25 proprietà. In alcuni casi non trovi più i proprietari. In altri piuttosto che darlo a qualcuno lo tengo come è. Come facciamo a rendere la terra nuovamente accessibile a chi vuole coltivare e quindi vuole ricostruire un’identità di quel territorio, che non sia il passato e il declino e l’abbandono? 

La ricomposizione dei terreni agricoli, può sembrare una questione tecnica, ma è una questione sociale. Si tratta di prendere le persone e convincerle,  discutendo di bene comune e di sviluppo. Convincerle che quel pezzo di terra è meglio unirlo ad altri, o affittarlo ad un giovane, piuttosto che lasciarlo così come è. Non è che noi avessimo la soluzione. Noi avevamo capito che questa era una domanda. E allora ci siamo messi a cercare in giro per l’Italia per vedere dove si erano inventati un modo di ricomporre la proprietà fondiaria (siamo andati a cercare l’innovazione sociale). E guardando i diversi modi abbiamo visto che c’erano alcuni fattori comuni: serve cooperazione tra fattori economici (i proprietari) ed istituzioni. Le istituzioni devono creare un clima favorevole. Devono dire che il tema è importante per il futuro delle comunità. Cosa possono fare per attivarsi? Possono fare politiche locali, tipo mettere insieme i catasti o creare banche della terra locali. Abbiamo terre pubbliche? Creiamo un portale dove mettiamo tutte le terre pubbliche che vogliamo dare ai giovani e creiamo un match tra domanda e offerta. Serve una forte intenzionalità per processi di questo tipo. Servono persone che, in maniera perseverante, perseguano un obiettivo, superando i mille fallimenti. Con un orientamento al bene comune. E con attenzione alla cultura territoriale locale. E’ diverso ragionare dove c’è una cultura cooperativistica e dove c’è il clan del pascolo che mette i bastoni tra le ruote. 

C’è un caso, dove non hanno lavorato alla ricomposizione fondiaria in senso famigliare. La proprietà è rimasta frammentata, ma si è puntato al fatto che concedessero le terre ad uno stesso consorzio. C’era un agronomo che voleva mettere in piedi un consorzio forestale per fare una filiera di energia termica. Voleva scaldare le scuole con la biomassa locale. E voleva tornare a lavorare il bosco. Le prime riunioni che ha fatto, i proprietari terrieri non erano disponibili a dialogare tra loro. E' partito con il lavorare su chi aveva le proprietà vicine. Poi ha capito che doveva lavorare con chi aveva intenzionalità di farlo. Ma quelli erano pochi ed avevano le proprietà distanti tra loro. Ha pensato: se io unisco in un consorzio quelli distanti, dal punto di vita economico è un disastro, ma dal punto di sociale intanto devo avere il passaggio, poi lentamente loro vedono il migliorare e si convinceranno che stanno facendo una cosa positiva. E’ partito dai volenterosi. Che erano tutti persone non residenti. E tutti quelli che non avevano concesso erano persone del posto. Poi è scattato il processo di mimetismo ed emulazione, hanno iniziato a vedere il bosco del vicino. Ed ha puntato a ricostruire  una comunità del posto. Hanno inventato la festa del bosco,  per costruire capitale sociale e per ricomporre. Convinti che le politiche servono a creare contesti, ma che sarebbe ora che le istituzioni investissero in figure che curano sul territorio questi processi. Una delle cose che Barca disse è: invece di fare tante politiche costruendo burocrazia, assumi 1000 giovani che vadano sui territori e facciano animazione al conflitto. Così in Europa fai vedere che sui territori succedono elle cose. E’ più importante lavorare sul processo che sulle regole. Le regole una volta stabilite ti creano una gabbia che non ti permette di lavorare davvero. Lavorare sul processo e costruire politiche sul processo è investire davvero. Si è visto che un gruppo di persone con forte intenzionalità e con una idea molto chiara delle cose, le cose le ha portate a casa. 

Il nostro modo di lavorare è stato questo: Lo Stato è ignorante. Non ha competenze per fare politiche publiche, può ingaggiare esperti che sono in grado di leggere se ciò che trovano può portare a diventare politiche pubbliche o no. Dal territorio veniva fuori il tema. Ci siamo mobilitati, abbiamo fatto un seminario nazionale, abbiamo invitato 30 casi che avevamo individuato noi, facendo attività su internet, chiamando il funzionario che dice... conosci qualcuno che... abbiamo trovato 30 casi, abbiamo convocato tutte le aree e abbiamo raccontato tutte le esperienze. Dicendo: non esiste una politica publica univoca. Ma esiste un'idea. Attivare un processo di costruzione di capitale sociale, di relazione, su un territorio, in un certo modo. Imparato questo, abbiamo provato in alcune aree a sperimentare. Quindi l’idea è: ci sono competenze diffuse che il pubblico può conoscere, può fare proprie, traducendo quelle competenze in azione o in politica pubblica.

Noi non abbiamo preso le persone e ricomposto. Noi abbiamo offerto al territorio una attività di formazione per capire come fare a ricomporre. E abbiamo creato il tessuto istituzionale e l'autorevolezza nazionale che dice che questo è un tema sentito. Capiamo cosa possono fare i sindaci, cosa i proprietari, cosa i privati. Lavorare a mettere insieme servizi che i comuni gestiscono. In una logica di Co-progettazione. Stato, territorio, istituzioni locali e attori rilevanti del territorio. Siamo andati con il pullman in tutte le aree. Abbiamo fatto 100.000 km. Si è creata anche tra noi una comunità di policy making. La politica è stata fatta sul pullman. Le decisioni sono state prese sul pullman. 

Ci sono mille esperienze. C’è un racconto che è mitologia. Paese in cui ci mettono un’ora e 45 per andare a scuola. Abbiamo incontrato i ragazzi. Abbiamo capito la situazione. Abbiamo sentito che questo era un tema che ci dovevamo prendere a cuore. Ci siamo detti: la Stai non può andare a casa senza aver risolto questo tema. Ci sono questioni che magari non sono prioritarie. Ma che diventano simboliche. Noi abbiamo visto questa questione come simbolica. 

Riguardava 6 ragazzi. Ma noi abbiamo sentito che se risolvevamo questa potevamo dire in tutta Italia che era fattibile. La regione diceva: sono 10 ragazzi, cosa dobbiamo spendere per 10 ragazzi? Qualcuno molla, qualcuno va avanti, ci siamo impiccati per anni sui tavoli in regione e con il  consulente da Roma… Ad un certo punto... qualcuno ha una intuizione. Mi pare che nessuno riesca ad avere una empatia umana. Proviamo a viverla anche noi. 

Abbiamo proposto al tavolo di lavoro di prendere il pullman e fare il percorso dei ragazzi. Andata e ritorno. La reazione è stata: come ti permetti tu che vieni da Roma di dire che non conosciamo il territorio... alla fine ciò che ha fatto sbloccare è stata la forza di una politica tradizionale, dove lo Stato ha il pallino. La mia coordinatrice chiama e dice “lo facciamo”. A volte ci vuole anche lo scontro istituzionale. La mia coordinatrice non aveva nessun titolo per chiamare e imporre. Ma ha chiamato. Abbiamo preso gli studenti, i genitori, i dirigenti (che vivevano tutti in città in centro). I tecnici. E l’azienda dei trasporti e una serie di soggetti che avevamo individuato. Ed un autista in pensione che ricordava tutti i tragitti di tutte le corriere. 70 km di tornanti. Noi tutti con il mal di stomaco a lavorare su un pullman, un po’ di schiena… Ad un certo punto l’autista ha una idea. Facciamo fermare alla piazzola e gli chiediamo: come la vede? E lui sbotta: lo dico da 10 anni: se facessimo la piazzola di smistamento in un comune intermedio. E facessimo partire due pullman, quello piccolo e quello grosso, risparmieremmo in gasolio e in tempo. Perchè invece di fare tutti i comuni ne faremmo solo alcuni. 

Il risparmio complessivo era di 40 minuti. Che non è tutto. Ma è qualcosa. Il nostro tecnico SNAI inizia a lavorarci sopra. Si convince che l’idea è sensata. Organizziamo un tavolo di soli tecnici. Anche la regione si convince. L’azienda di trasporti comincia a dire di no. Ma poi capiamo che per loro la questione era di tariffe. Loro erano pagati a km, non a persona. Alla fine l’idea dell’autista è passata. Ed è stata finanziata. Ed è stata costruita la piazzola. E’ un esempio da manuale di come la conoscenza locale ci sia, magari tacita. 

Perchè non è stata fatta prima? Perchè la conoscenza non è emersa prima? Perchè, senza una politica dietro, i ragazzi non avevano voce. Potevano protestare, ma non avevano efficacia per farlo. Non è una best practice. Non è che ha funzionato qui e quindi si replica altrove. E’ il metodo che conta. E il metodo è anche quello di fare una cosa eterodossa. Se uno diceva: io non vengo perchè non sono assicurato…gli appigli burocratici, gli scoraggiatori militanti, sono infiniti. Se uno non ti vuole fare fare una cosa non te la fa fare. Cosa fa funzionare? In un sistema di regole soffocante come il nostro, le persone fanno la differenza. 











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